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Cosa sono i virus

Il termine Virus  deriva dal latino e significa“veleno.”

Un virus è un piccolo agente infettivo che può replicarsi solo all’interno delle cellule di un altro organismo. I virus infettano quasi tutti gli organismi viventi come animali, piante e persino batteri a cellula singola.

I virus furono scoperti per la prima volta nel 1898 dallo scienziato olandese Martinus Beijerinck. Lo scienziato usò un esperimento di filtrazione per dimostrare che una malattia che infettava le piante di tabacco era causata da qualcosa di più piccolo dei batteri, che ha chiamato un virus. Il virus che ha scoperto è il virus del mosaico del tabacco. Oggi ci sono milioni di diversi tipi di virus, di cui circa 5.000 sono noti in dettaglio.

I virus  sono incredibilmente piccoli. La maggior parte sono così piccoli che devono essere misurati in nanometri (circa un miliardesimo di metro). Sono disponibili in una straordinaria varietà di forme e dimensioni e possono avere dimensioni comprese tra 20 e 750 nm, che è 45.000 volte più piccola della larghezza di un capello umano. La maggior parte dei virus può essere vista solo con un microscopio elettronico a scansione.

La struttura di base dei virus è costituita essenzialmente da un acido nucleico (DNA o RNA) racchiuso in un rivestimento di natura proteica (CAPSIDE).

• Il polimero di acido nucleico può contenere da 4 a 7 geni per i virus più piccoli,  da 150 a 200 geni per i virus più grandi.
• In alcuni virus l’acido nucleico può esistere in più pezzi.
• Alcuni possiedono propri enzimi complessi ma, senza assistenza, non sono capaci di riprodurre le informazioni contenute nei loro genomi.
• Spettro d’ospite: micoplasmi, alghe, batteri, piante e animali superiori.

I virus usano diverse vie di trasmissione per spostarsi da un organismo all’altro. Alcuni possono essere trasmessi attraverso l’aria che respiriamo, altri devono essere ingeriti o trasferiti attraverso sangue o fluidi corporei. Alcuni possono anche essere trasmessi semplicemente toccando qualcun altro.

Ecco perché lavarti le mani prima di mangiare, stare lontano dagli altri quando ti senti male ed evitare i fluidi corporei di qualcun altro è così importante.

I virus sono l’entità biologica più comune nell’oceano. Ci sono milioni di particelle virali che galleggiano in ogni millimetro cubo (una piccola goccia) di acqua dell’oceano. 

Quando un singolo virus è nella sua forma completa e ha raggiunto la piena infettività al di fuori della cellula, è noto come virione.  I virus hanno diverse strutture: icosaedrica, avvolta, complessa o elicoidale.

1) struttura  icosaedrica  ——                                           2) struttura complessa    ——                                               3) struttura elicoidale  ——       4) struttura avvolta

1) Esempio di virus a struttura  icosaedrica: il poliovirus, il rinovirus e l’adenovirus.                  

2) Esempio di virus a struttura complessa: il virus variola che causa il vaiolo.                                

3) Esempio di virus a struttura elicoidale: il virus del mosaico del tabacco.   

4) Esempio di virus a struttura avvolta: il virus dell’influenza, dell’epatite C e dell’HIV.

IL CORONAVIRUS

Il coronavirus prende il suo nome dalla corona che si vede quando il virus viene visto al microscopio elettronico. Questa morfologia è in realtà attribuita alle glicoproteine ​​che il virus utilizza per attaccarsi alla cellula ospite.

Nell’uomo i coronavirus infettano le cellule del tratto respiratorio superiore e del tratto gastrointestinale e sono responsabili di circa un terzo di tutti i comuni raffreddori. Altri coronavirus sono anche gravi minacce agricole perché sono noti per infettare bovini, maiali, uccelli, cani, gatti e roditori.

 

“I terribili due anni”: etichetta o generalizzazione?

“Ormai anche io sono diventato grande. Dalla mia bocca non escono più solo versetti, ai quali i miei genitori un tempo rispondevano solo con sorrisi giganti e un po’ spaesati.

Sorrisi così dolci e divertiti, che facevano ridere anche me. Ora da quando ho cominciato a dire “pappa”, in pochi minuti mi ritrovo tra le mani un gustoso biscotto da mordicchiare. A volte è un po’ un’impresa riuscire a divorare quella bontà croccante, perché i dentini non mi sono ancora cresciuti tutti e le gengive hanno da lavorare parecchio quando c’è da masticare! Inoltre è inevitabile per me sporcarmi ogni volta le manine con la saliva mischiata a pezzettini di biscotto. Quindi se mi innervosisco troppo per la lentezza di questa procedure, l’impulso è inevitabile! Devo lanciare per terra il biscotto!!! Quando, invece, sono talmente felice ed eccitato, mi viene spontaneo scalciare e gettare tutto ciò che mi trovo in mano! Tanto poi mi arriva qualcos’altro da sgranocchiare… Quando, invece, mi sento sazio e riesco a divorarlo tutto, mi sento davvero molto soddifsatto!

Quando dico “mamma” o “papa” i miei genitori sembrano impazzire di gioia, si mettono a cantare, mi prendono in braccio e mi riempiono di baci.

In questi mesi ho imparato a fare tante altre cose. Sto finalmente in piedi da solo e riesco anche a muovere qualche passo in avanti. E vi assicuro che rispetto a quando gattonavo è una grande comodità! Mi sento più libero, posso andare in esplorazione per la casa. Il prossimo traguardo, per cui mi sto duramente allenando è quello di salire sul divano! Quando riuscirò ad arrivarci mi sentirò davvero un campione! Non ho ancora capito, in realtà, se non riesco perché è troppo faticoso o perché vengo sempre fermato dai grandi. Io vorrei così tanto arrivare sulla cima e sembrare più alto! E quando questo mi viene impedito, vado su tutte le furie!!

Mi sembra di essere proprio forte in questo periodo, capace di avere maggiore controllo sul mio corpo, anche nei movimenti, in cui prima ero un po’ più impacciato. Ora ho anche imparato a fare la cacca nel vasino, ma presto proverò anche a sedermi sul water e a spingere con forza anche lì nel momento del bisogno. Penso che il meccanismo sia lo stesso, devo solo verificare che il mostro del water sia scomparso, così mi posso rilassare!

E’ proprio motivo di grande orgoglio per me sentirmi in grado di parlare, camminare, fare la cacca non più nel pannolino! Ho ancora tanti passi da fare perché non mi percepisco ancora così sicuro e ho la sensazione che, in alcuni momenti, i miei genitori non capiscano bene le mie emozioni e intenzioni. Ad esempio, ieri ero molto annoiato e mi stavo allenando per raggiungere la cima del divano. Mi mancava veramente un soffio e ce l’avrei fatta! All’improvviso un “NO!” severo e risonante mi è vibrato nelle orecchie, facendomi perdere l’equilibrio, finchè non sono finito tra le braccia di mamma. Quest’ultima mi continuava a parlare con un tono lamentoso (non so cosa mi stesse comunicando, credo la sua solita ramanzina incomprensibile..). Di reazione, percependo una sensazione spiacevole a metà tra lo spavento e la frustrazione di non essere riuscito nel mio intento, ma non riuscendo ad esprimerlo a parole, ho provato prima a imitare la mamma con i suoi lamenti e poi sono scoppiato in un pianto inconsolabile! NOOO…quello era la MiA gara, il MIO spazio e ci stavo riuscendo da solo!! Come sono arrabbiato e deluso! Mi sento impotente e riesco solo a piangere e urlare! Uaaaaaaaaaa!!

Dopo qualche minuto di disperazione, finalmente la mamma riesce a calmarmi, mi abbraccia e mi parla. Forse ha capito quanto fosse importante per me il raggiungimento di quel traguardo, infatti, mi solleva sul divano, ma questa volta sono avvolto dalle sue braccia, protetto. Finalmente mi sento capito”.

Il bambino del racconto sta sperimentando l’ingresso nella cosiddetta terribile “fase dei no”, o “periodo dei due anni”, a cui generalmente gli adulti attribuiscono l’origine dei moti di ribellione infantili. E’ il momento storico in cui si sviluppano i primi “capricci”, connotati con disperazione, come degli atteggiamenti di mancata obbedienza, fastidiosi e insopportabili, e che si manifestano proprio nei momenti peggiori: quando si è di fretta o quando ci si trova in contesti pubblici, come al supermercato.

Ho pensato di affrontare questo argomento perché spesso in seduta i genitori, in presa all’ansia e alla preoccupazione, mi chiedono “Dottoressa, nostro figlio è irritabile, urla, ci provoca, che cosa dobbiamo fare?!”. Il mio ruolo non è semplice perché spesso mi trovo a deludere l’aspettativa di ricevere una risposta nell’immediato da parte di genitori, che già si trovano a sperimentare un fallimento rispetto alle proprie funzioni, sono arrabbiati e delusi. In situazioni simili cerco di offrire comprensione rispetto ai vissuti familiari e aiuto i genitori a esplorare le possibili cause che scatenano le crisi nei figli.

Dalla parte dei genitori, nei quali possono circolare diverse preoccupazioni, fantasie, ambivalenze, ci può essere una oscillazione tra la deresponsabilizzante generalizzazione delle crisi infantili (ad esempio “tutti i bambini vanno in crisi ed è del tutto normale”) e una più preoccupata etichettatura (“Aiuto, mio figlio sta per compiere i due anni! Mi troverò in casa un alieno? Come lo gestirò?). Da parte degli adulti, più strutturati, difesi e attrezzati sotto tutti i punti di vista rispetto ai bambini, che, invece, possiedono maggiore spontaneità e flessibilità nella sperimentazione, ma più esigenze di protezione e contenimento, ci possono essere delle fatiche importanti nel processo di sintonizzazione affettiva con loro.

Non sono rare le situazioni in cui il genitore, già di per sé provato dal lavoro, colmo di preoccupazioni, sfinito dalla stanchezza, non possiede né le energie né l’intenzione di assecondare il bisogno più o meno esplicitato dal bambino. I “capricci”, infatti, anche se a volte si fa fatica a crederlo, non vanno intesi come una modalità per manipolare il genitore affinchè consenta al piccolo di fare tutto ciò che vuole purchè la smetta di gridare. Essi sono piuttosto la manifestazione insoddisfatta di un bisogno di varia natura che il bambino non ha ancora gli strumenti per esprimere.

Mi focalizzerò quindi sugli aspetti evolutivi e sani di queste manifestazioni.

Ma che cosa vuole comunicare allora il bambino con i propri “capricci”? Non esiste, purtroppo, una risposta universale, come non esiste una ricetta da seguire per diventare un “bravo genitore”. Alcune figure professionali, come i pedagogisti, possono essere di grande aiuto nel fornire alcune indicazioni pratiche ed educative da utilizzare con i propri figli. Nel mio lavoro con le famiglie, invece, cerco di approfondire che vissuti emotivi cercano di comunicare i bambini. Forse sono arrabbiati per qualcosa? Si sentono frustrati o impotenti, come il bambino del racconto? Si sentono soli e vorrebbero un contatto fisico di vicinanza e affetto? Oppure alla base c’è un disagio psichico più profondo che potrebbe esitare in psicopatologia?

Nella maggior parte dei casi, e di questo i genitori che leggono potranno rassicurarsi, le crisi dei bambini sono evolutive e fondamentali. Come in ogni altra situazione di passaggio significativa, l’essere umano sperimenta una crisi, ma anche un cambiamento rispetto allo stato iniziale di equilibrio. A due anni, come si può intuire dalla narrazione, i bambini cominciano ad acquisire una serie di competenze, tra cui quella del controllo sfinterico, possono muoversi con più sicurezza nell’ambiente e cominciano a pronunciare le prime parole di significato. Il raggiungimento di tali traguardi viene vissuto dai bambini con forte orgoglio e con il bisogno di “marcare” il proprio territorio. La fiducia in se stessi aumenta e ci si deve assicurare il controllo e il possesso sia del proprio corpo sia degli oggetti circostanti. Ecco perché in quella fase esordiscono con frasi come “NO! E’ mio!!”.

Ma questo è un discorso limitato alla teoria psicologia o ci sono delle evidenze scientifiche?

Anche le ricerche di neuroscienze dello sviluppo hanno confermato che durante l’infanzia il bambino non possiede ancora un cervello completamente sviluppato, ma è comunque molto plastico e in continua trasformazione. Pensate che il completamento della corteccia prefrontale, l’area più evoluta e deputata alle funzioni più sofisticate, come il pensiero, la logica, la pianificazione avviene solo a venticinque anni! Ogni volta che il bambino compie una nuova esperienza si attivano le connessioni tra i neuroni, ossia le sinapsi. Quest’ultime, intrecciandosi tra loro, generano reti di “impalcature” che sono alla base della successiva costruzione della propria identità e personalità. Attraverso il gioco e l’imitazione i bambini apprendono e si nutrono non solo a livello relazionale, ma anche cerebrale. Gli studi di neuroimaging hanno evidenziato, inoltre, l’attivazione dei neuroni a specchio, proprio quando si osserva e si imita il comportamento dell’altro (al “no” si reagisce con un altro “no”).

Per favorire un sano sviluppo psico-fisico è allora di fondamentale importanza che i genitori sostengano nella relazione queste “impalcature”, aiutando il bambino a creare idealmente un “ponte” di comunicazione tra pensiero, emozioni e comportamento; tre regioni interdipendenti che se durante la crescita resteranno il più possibile collegate, grazie a un rapporto sicuro con le figure primarie e significative, consentiranno lo sviluppo e il consolidamento dell’autocontrollo, dell’autoconsapevolezza e dell’intelligenza emotiva.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.

Le vitamine

L’alimentazione ideale prevede l’uso di cibi freschi e non surgelati, frutta e verdura di stagione.  Considerando che, per vari motivi,  i cibi sono spesso surgelati o preparati da qualche tempo, la stagionalità di frutta e verdure viene forzata dall’industria, i cibi contengono conservanti ecc… dobbiamo valutare la riduzione delle vitamine, sali minerali ed oligoelementi, quelle sostanze che non sempre riusciamo ad introdurre con una dieta corretta.

Le vitamine sono nutrienti indispensabili (in piccole quantità) per il corretto funzionamento dell’organismo umano. Sono suddivise in:

vitamine idrosolubili (vitamine del gruppo B e vitamina C) solubili in acqua, (ad eccezione della vitamina B12, vengono trattenute nella dose sufficiente alle necessità contingenti dell’organismo e l’eccesso viene eliminato).
Vitamine liposolubili (vitamina A, D, E e K), solubili nel grasso (vengono accumulate nell’organismo).

 

Rispettando un’alimentazione varia ed equilibrata (limenti di origine animale e vegetale secondo i principi della Dieta Mediterranea) si garantisce l’apporto adeguato di vitamine.

L’alimentazione dei bambini risulta a volte selettiva (rifiuto di alimenti salutari, ricchi in vitamine, come frutta o verdura) o squilibrata (con mancanza di pesce, legumi o carne ricchi di altre vitamine per rifiuto o scelta etica)… proviamo a capire a cosa servono e dove trovare le vitamine utili ad una crescita ottimale.

 

  • VITAMINA A –  E’ presente in vari alimenti di origine animale (sotto forma di RETINODI) nei  latticini, pesce e carne (soprattutto nel fegato). Oppure la troviamo nei CAROTENOIDI, ovvero i precursori della vitamina A, in particolare il beta-carotene, in:  verdura o frutta di colore giallo-arancione-rosso (carote, pomodori, meloni, pompelmi, albicocche, frutti di bosco).
  • VITAMINE DEL GRUPPO B – Sono: la B1, la B2, la B3, l’acido pantotenico, la B6, la B7, l’acido folico e la vitamina B12. Sono raccolte in un unico gruppo perché accomunate da proprietà chimiche e funzionali simili. Le vitamine del gruppo B sono essenziali per trasformare il cibo in energia. Alcune hanno un ruolo antiossidante (riducono il danno e l’invecchiamento delle cellule). Conosciamole meglio:
    B1 è necessaria per un normale funzionamento dei nervi. – B6 ha un ruolo nello sviluppo del cervello e nella formazione dell’emoglobina (la molecola che trasporta l’ossigeno nel sangue). – Acido folico:  serve a costruire globuli rossi funzionanti e previene dei danni a livello del sistema nervoso durante la vita embrionale. – B12 serve per il corretto sviluppo e funzionamento dei nervi, ed è necessaria per uno sviluppo adeguato dei globuli rossi, è coinvolta nella sintesi del DNA.  Gli alimenti ricchi di vitamine del gruppo B sono: i legumi, le patate, i lieviti,  le farine integrali. La B12 la troviamo in: carne, pesce, uova, latte e latticini ma assente negli alimenti di origine vegetale.
  • VITAMINA C – O acido ascorbico, è una vitamina idrosolubile. Deve essere assunta con l’alimentazione perchè   non può essere prodotta dall’essere umano.  La vitamina C è presente in diversa  frutta e verdura: agrumi, frutti di bosco, kiwi, melone, peperoni, pomodori, spinaci, broccoli. Serve al nostro organismo per sintetizzare una molecola chiamata collagene, che si trova, tra l’altro, nella pelle, nelle articolazioni, nelle ossa e nella parete dei vasi sanguigni; ha  proprietà antiossidanti (riesce a rallentare o a prevenire l’invecchiamento delle cellule).
  • VITAMINA D – E’ prodotta nella pelle esposta ai raggi solari,  è essenziale per promuovere l’assorbimento del calcio dall’intestino e il riassorbimento del calcio e del fosforo da parte del rene. È indispensabile per il deposito del calcio nelle ossa e per conferire loro la solidità e la resistenza che le caratterizzano. E’ importante anche peril  funzionamento del sistema immunitario e alcune funzioni neuromuscolari.  Troviamo questa vitamina:nel  pesce grasso come il salmone, le aringhe, le sardine e il fegato di pesce (olio di fegato di merluzzo), il tonno in scatola, il tuorlo d’uovo, il burro, le verdure a foglia verde
  • VITAMINA E – E’ una vitamina liposolubile, caratterizzata da una potente azione antiossidante e, dopo essere stata assorbita a livello intestinale, la vitamina E si accumula nel fegato.  Il suo scopo è  proteggere le cellule dell’organismo dai danni dei radicali liberi, sostanze che il nostro corpo produce quando converte il cibo in energia.  E’ utile per la salute della pelle e dei vasi sanguigni, e permette un corretto funzionamento del sistema immunitario. Troviamo la  vitamina E in: oli vegetali di canapa, mais, arachidi, girasole, e anche l’olio d’oliva, ma
    anche in noci, nocciole, mandorle. Anche il germe di grano è ricco di vitamina E.
  • VITAMINA K – E’ liposolubile e serve per la coagulazione del sangue, assicura il corretto funzionamento di un enzima che permette la sintesi di alcune proteine coinvolte nella coagulazione. Ha un ruolo importante anche nella salute delle ossa. Troviamo la vitamina K nelle verdure a foglia verde: spinaci, broccoletti, lattuga, nei legumi, negli oli vegetali e in alcuni frutti (ad esempio i mirtilli e i fichi). Gli alimenti di origine animale (carne, formaggio, uova) contengono quantità inferiori di vitamina K che possiamo invece trovare come prodotto  dei batteri che vivono nel nostro intestino.

COS’È L’AUTISMO?

Sindrome di Asperger

 

La sindrome di Asperger fa parte di una categoria più ampia chiamata disturbo dello spettro autistico (ASD).

Chi ne soffre è intelligente, ma ha più problemi con le abilità sociali, generalmente tende anche ad avere un’attenzione ossessiva su un argomento o ad eseguire sempre gli stessi comportamenti. Nel mondo ci sono molte persone con la sindrome di Asperger. Non possiamo dire se una persona ne soffre semplicemente guardandola; infatti viene anche chiamata “disabilità nascosta”. La sindrome di Asperger dura per tutta la vita e a volte le persone sanno di averla da quando sono bambini, altri lo scoprono da adulti. Le persone con la sindrome di Asperger possono fare molte cose e apprendere molte abilità.

In pratica è un tipo di ASD “altamente funzionale”. Questo significa che i sintomi sono meno gravi di altri tipi di disturbi dello spettro autistico.

Le persone con la sindrome di Asperger trovano difficoltà a fare le seguenti cose:

  • per esempio trovano difficoltà a dire alle altre persone come si sentono e di che cosa hanno bisogno
  • trovano inoltre le difficoltà ad incontrare altre persone e a farsi nuove amicizie
  • incontrano difficoltà anche nel comprendere cosa pensano e come si sentono le altre persone.

Non tutte le persone con la sindrome di Asperger trovano difficoltà a fare queste cose; questo perché ogni persona con la sindrome di Asperger è diversa dall’altra.

I sintomi cominciano presto nella vita. Il bambino che ha l’Asperger non riesce a stabilire un contatto visivo, sembra imbarazzato in situazioni sociali e non sa cosa dire o come rispondere quando qualcuno gli parla. Può perdere gli spunti sociali che sono evidenti ad altre persone, come il linguaggio del corpo o le espressioni sui volti delle persone.

Il bambino può mostrare poche emozioni. Può non sorridere quando è felice o ridere a uno scherzo. Oppure può parlare in modo piatto e robotico, può parlare di sé stesso con molta intensità oppure insistere su un singolo argomento (come rocce o statistiche calcistiche). E potrebbe ripetersi molto, soprattutto su un argomento che gli interessa. Potrebbe anche fare gli stessi movimenti più e più volte.

Potrebbe anche non gradire il cambiamento. Per esempio, può mangiare lo stesso cibo per la colazione ogni giorno o avere difficoltà a spostarsi da una classe all’altra durante il giorno di scuola.

 

 

I 5 sensi e la sindrome di Asperger

Vista. Ad alcune persone con la sindrome di Asperger possono dar fastidio le luci forti ed i colori, mentre altre invece possono gradirli molto.

Udito. Alcune persone con la sindrome di Asperger possono essere infastidite da rumori forti. Altre possono invece gradire particolarmente alcuni tipi di rumori.

Olfatto. Alcune persone con la sindrome di Asperger possono essere infastidite da certi odori, mentre altre possono gradire alcuni odori.

Tatto. Ad alcune persone con la sindrome di Asperger può non piacer essere toccate, mentre altre persone con la sindrome di Asperger lo gradiscono.

Gusto. Ad alcune persone con la sindrome di Asperger piace mangiare lo stesso cibo ogni giorno mentre ad altre persone possono piacere vari tipi di cibi.

 

(by Donatella Fiorini)

Sindrome del bambino scosso (shaken baby syndrome)

La Sindrome del bambino scosso identifica una forma di  di maltrattamento fisico del bambino.

Si verifica solitamente nel primo anno di vita, più frequentemente nei primi sei mesi del bambino.

Come avviene?
La forma di comunicazione di un  neonato è il pianto. A volte è inconsolabile e porta chi accudisce il bambino a gesti estremamente pericolosi, come lo scuotimento violento che può procurare un trauma celebrale e conseguenti complicanze neurologiche.

Partendo da fatto che con il pianto il bambino esprime le sue esigenze e i suoi sentimenti è fondamentale imparare ad ascoltare e ad interpretare correttamente il significato del pianto.

Il piccolo  può piangere perché ha fame, ha il pannolino sporco, l’ambiente che lo circonda è troppo caldo o troppo freddo. Può essere infastidito dai rumori oppure qualcosa nei  familiari non va: troppo nervosismo o eccessiva ansia arrivano fino al bambino.
Bisogna quindi imparare ad ascoltare le caratteristiche del pianto, in particolare il suo timbro, la sua intensità e durata. In questo modo se ne ricavano utili informazioni per distinguere se è un pianto da fame (generalmente parte con bassa intensità e poi diventa forte e ritmico);
un pianto causato da dolore (parte già intenso, forte  e prolungato nel tempo con e con momenti di silenzio e presenza di singhiozzi alternati a brevi inspirazioni).
Il pianto da collera si presenta come il pianto da fame, ma con tonalità più bassa ed intensità costante.

Se chi accudisce il bambino non ha consapevolezza della delicatezza dell’encefalo di un lattante e tenendolo per  il tronco lo scuote  vigorosamente, il capo subisce rapidi movimenti di rotazione. Avendo la testa del bambino grandi dimensioni ed una muscolatura del collo ancora non formata, il contenuto della cavità del cranio o encefalo (cervello, cervelletto e midollo allungato) vanno incontro a una rapida accelerazione e decelerazione, questo porta ad un trauma contusivo contro la scatola cranica, alla lesione dei nervi e alla rottura dei vasi sanguigni con conseguenti emorragie. Più il bambino è piccolo e più le conseguenze dello scuotimento sono gravi.

 

 

 

 

 

D S A

DSA = disturbi specifici dell’apprendimento.

Col termine DSA si identificano disturbi del neuro-sviluppo che riguardano la capacità di leggere, scrivere e calcolare in modo corretto e fluente che si manifestano con l’inizio della scolarizzazione.

Questi disturbi dipendono dalle diverse modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo.
Non sono causati né da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali.

 

DSA si dividono in:

  • DISLESSIA, cioè disturbo specifico della lettura che si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo;
  • DISORTOGRAFIA, cioè disturbo specifico della scrittura che si manifesta con difficoltà nella competenza ortografica e nella competenza fonografica;
  • DISGRAFIA, cioè disturbo specifico della grafia che si manifesta con una difficoltà nell’abilità motoria della scrittura;
  • DISCALCULIA, cioè disturbo specifico dell’abilità di numero e di calcolo che si manifesta con una difficoltà nel comprendere e operare con i numeri.

 

Non voglio fare le nanne!

Non voglio fare le nanne! Come vivono i bambini l’addormentamento e il sonno.

“E’ sera. Mamma e papà, che ancora stanno terminando di sistemare la nuova libreria in sala, mi dicono che è ora di fare le nanne e, allora, andiamo tutti insieme a lavarci i denti. Purtroppo devo lasciare sul tavolo un puzzle degli animali che stavo completando, ma lo finirò domani. Uffa! Non è che abbia proprio voglia di andare a dormire, vorrei finire il mio gioco e poi iniziarne un altro, ma domani devo andare alla scuola materna e sono un po’ stanchino.

Mentre mamma impila qualche scatolone del trasloco, che abbiamo fatto ieri, vado verso il bagno e prendo il mio spazzolino verde e spazzolo forte i denti, come mi ha insegnato papà. La mamma nel frattempo arriva e mi porge il mio pigiamino preferito, che mi fa sentire come spiderman, perché è proprio uguale a quello del supereroe. Lui, infatti, ogni notte mi protegge dai mostri cattivi che si intrufolano nei miei sogni e che mi fanno avere tanta paura. Spiderman mi dà la forza per sconfiggerli e cacciarli via.

La mamma mi accompagna nella mia nuova cameretta: si sente ancora l’odore di pittura ed è tutta azzurra, come la volevo, anche se alcuni giochi sono ancora negli scatoloni! Il desiderio di restare sveglio tutta la notte per aprire gli scatoloni e ritrovare i miei giochi è forte e mi accompagna, mentre entro malvolentieri nel letto. Lì però trovo il mio orsetto preferito, compagno di tutte le mie avventure, sempre al mio fianco sia nei momenti di pianto sia in quelli di gioia, e, anche se ora è un po’ consumato, forse perché è invecchiato, resta sempre per me il mio pupazzino di fiducia, che mi consola quando mamma e papà non sono lì con me.

Il papà, sentendomi lamentare, mi rimbocca le coperte e mi dice con affetto “Dai, dormi bene! Buonanotte, piccolo!”, dandomi un bacio sulla fronte. Poi la mamma ed io, prima di salutarci, dedichiamo gli ultimi minuti insieme alla lettura di una favola. Quando la mamma mi legge le storie di personaggi, come principi che salvano le fate, streghe cattive che fanno sortilegi, folletti simpatici e strani del bosco, fatine buone, orchi malefici e valorosi guerrieri, ascolto la sua voce soave che mi tranquillizza e mi calma, aiutandomi pian piano a rilassarmi e ad entrare nel mondo dei sogni…

Sembra tutto quieto, ma all’improvviso mi accorgo che mamma e papà non ci sono più! Diventa tutto scuro e compare un ragno che diventa sempre più grande. E’ enorme e spaventoso, con i suoi artigli giganti! E’ lui che ha portato via i miei genitori in un’altra casa, lasciandomi qui da solo! Che ne sarà di me? Mi mangerà?… Mi sveglio con il cuore in gola. Era solo un brutto sogno. Ora sono nel lettino con il mio orsetto e va tutto bene..mi posso riaddormentare senza chiamare mamma e papà.”

L’addormentamento è una fase di passaggio tra la veglia e il sonno, per cui ci si lascia andare e abbandonare ad un tempo e uno spazio, sui quali non si ha molto controllo, in cui si lasciano per qualche ora le persone e i luoghi conosciuti, per entrare in un mondo ignoto, nel quale, attraverso i sogni possono verificarsi eventi strani e diversi da quelli della realtà. E questo vale sia per i bambini che per gli adulti. Tuttavia per i bambini, specialmente i più piccoli, il sonno può rappresentare un porto insicuro, un mondo popolato da incubi, per cui è preferibile restare svegli, tormentando la quiete notturna dei genitori. Pertanto è importante che mamma e papà garantiscano, specialmente nelle ore serali, tranquillità e serenità in casa, per aiutare i propri figli a lasciarsi andare al sonno con più facilità.

Nel racconto che vi ho riportato emerge come questo bambino, per quanto abbia due genitori affettuosi e attenti, che gli hanno trasmesso uno schema di abitudini che precedono le nanne, come lavarsi i denti, mettersi il pigiama, ricevere il bacio della buonanotte e leggere una storia, abbia trovato una modalità specifica per sconfiggere i fantasmi della notte e le cose che lo preoccupano di più: gli incubi. In particolare in questo sogno spaventoso il bambino rievoca la paura di rimanere solo, legata a una probabile situazione stressante che sta vivendo in famiglia a causa del trasloco.

Infatti eventi nuovi, come il cambio di una casa, la nascita di un fratellino, o i passaggi evolutivi importanti, come lo svezzamento, l’ingresso al nido o a scuola, possono avere un impatto significativo anche sul sonno, e nei casi peggiori creare anche una serie di disturbi. Tra questi ricordiamo: le irregolarità del ritmo sonno-veglia, difficoltà nell’addormentamento, incubi costanti, “pavor nocturnus”, paralisi del sonno e sonnambulismo.
Le cause possono essere molto varie: come ad esempio, quelle organiche (difficoltà respiratorie), quelle situazionali (non avere specifici orari, ritmi e regole, che possano garantire la routine dell’accompagnamento sicuro al sonno) e quelle emotive (in compresenza con situazioni stressanti, conflitti familiari o angosce profonde, anche a livello transgenerazionale).

Considerato il fatto che il sonno è un fenomeno fisiologico essenziale per l’organismo, perché permette di “ricaricarsi”, nutrendo le aree cognitive, come la memorizzazione, attenzione e l’apprendimento, e migliorando le difese immunitarie e l’umore, in assenza o in carenza di esso le diverse aree della nostra vita ne risentiranno. Quindi è importantissimo che sia i genitori sia il bambino riescano a dormire per un totale di ore necessario per far fronte ad ogni giornata e che, in presenza di disturbi del sonno, si prendano accorgimenti in breve tempo per garantire un’adeguata qualità della vita.

Quando il proprio figlio presenta un prolungato problema di insonnia o altri disordini del sonno, risulta indispensabile prendere in considerazione l’intervento di uno specialista, come uno psicologo dell’età evolutiva o un neuropsichiatra infantile, che aiuti i genitori a comprendere e affrontare la problematica nella sua complessità e specificità.
Tuttavia, sebbene non esistano delle ricette preconfezionate per far dormire i propri bimbi, credo che sia importante tenere bene a mente questi passaggi, ma anche il fatto che ad esempio è utile fornire l’“oggetto transizionale”, scelto dal bambino durante la fase dell’addormentamento, come l’orsetto del bambino del racconto. Per “oggetto transizionale”, si intende un gioco, un pupazzino o una copertina che il bambino tiene vicino a sé per consolarsi in assenza delle figure genitoriali e che li rappresenta.
Inoltre, dato che non tutti i bambini sono uguali, c’è chi ha più bisogno e chi ne ha meno di essere rassicurato dalle proprie paure e, di conseguenza, anche i tempi dell’addormentamento possono essere molto variabili. Sicuramente l’ansia eccessiva di alcuni genitori proprio nei confronti del sonno del bambino, viene da lui percepita e interiorizzata, e quindi lo angoscia ancora di più e non lo aiuta!
Infine un altro suggerimento può essere quello di leggere al bambino delle favole che, oltre a favorire l’addormentamento, favoriscono le capacità linguistiche del bambino, sviluppano la memoria uditiva e nutrono l’immaginazione e la fantasia.

Quindi, cari genitori, non preoccupiamoci troppo se nostro figlio la notte si sveglia o fa degli incubi, in quanto questi sono il segnale che il processo di maturazione mentale e di immaginazione creativa sta crescendo, permettendo al bambino di crearsi naturalmente un mondo fantastico, che dia un senso profondo alla sua esistenza. Se, invece, il bambino fatica ad addormentarsi, specialmente se è molto piccolo, spesso è a causa dell’ansia da separazione dai propri genitori, cioè dalla paura di perderli quando ci si addormenta. Perciò è bene far addormentare il piccolo nello stesso posto in cui si sveglierà, per evitare possibili disorientamenti. La buona notizia è che i problemi del sonno nel bambino con l’età tendono a sparire spontaneamente, ma in ogni caso, se dovessero ripresentarsi o faticare a risolversi, esistono figure sanitarie specializzate che potranno esservi eventualmente d’aiuto, a partire dal pediatra o dallo psicologo infantile.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.

L’importanza della figura paterna

La figura paterna e sviluppo del bambino

 

“Alcuni risvegli sono più turbolenti di altri. Mamma, tirami fuori da questa culla! Le lenzuola sono scomode e sanno di detersivo! Sono stanco di dormire e sono un po’ nervosetto! Mamma, ti prego, accoglimi tra le tue braccia, le più morbide che esistano, e fatti annusare e toccare dalle mie manine… Ora che sono appoggiato al tuo petto sento il tuo respiro, che calma il mio pianto, ma resta un’inconsolabile bisogno, a cui nemmeno io so dare una spiegazione.

Mamma, che disperazione! Nemmeno le tue carezze, i colpetti sulla schiena e le tue ninne bastano a tranquillizzarmi. Mamma, percepisco l’affetto e il calore che mi trasmetti, e anche le fatiche e gli sforzi che fai per calmarmi… Lo sento dal tuo cuore, che aumenta ogni minuto, di battito in battito… Ma tutto questo non è sufficiente per consolare il disagio che sto provando, che non è dato dal sonno né dalla fame né da un dolore fisico… ma dalla noia! Sento una voce familiare che dice:” Tesoro, sarai stanca, provo io a calmarlo!”.


All’improvviso mi sento catapultato in un vortice, per cui perdo il contatto della mamma, sono sospeso per aria e il fastidio aumenta! Mamma, dove sei finita?! In poco tempo, però, succede qualcosa che capovolge la situazione. Spunta all’improvviso una faccia barbuta e sorridente, che mi vien voglia di toccare, come quella della mamma. La sua voce è così calma, come il suo respiro e questo mi infonde tranquillità. I riccioli della sua barba sono così soffici da prendere tra le mie ditine, e il suo corpo è così caldo e spazioso, tanto da sentirmi avvolto e protetto da esso. La calma dopo la tempesta…

il gioco delle facce e dei versi! Lui mi sorride e spalanca la bocca e anche a me viene spontaneo imitarlo! Inizia uno scambio di espressioni buffe e di versetti. Io lo chiamo e lui mi risponde. E’ proprio divertente! Finalmente qualcosa, che mi allontana sempre di più da quel disagio, che pian piano si cancella dalla mia memoria… E, allora, cosa potremmo offrire in cambio a questo bel faccione, per ricordarlo, come colui che è arrivato, dove la mamma non è riuscita, che mi ha calmato attraverso il gioco e l’affetto? Diamogli un nome! Sarà, al pari della mamma, una figura, che spero che mi starà vicina per tutto il resto della mia vita. Eccolo! :”Pa..Papà!”.

Attraverso la storia di questo bambino, che dice per la prima volta la parola “papà” , vi ho raccontato come la figura paterna entra a far parte pian piano della vita dei piccoli, prima come figura di supporto a quella materna, attenuando le sue fatiche, ma che, poi, viene riconosciuta anche dal figlio, in quanto significativa e unica per la sua crescita. Se la psicologia in passato ha riconosciuto principalmente l’importanza della figura materna, negli ultimi decenni si sta riscoprendo anche il valore del padre, che con le sue funzioni normative, ma anche protettive, svolge un ruolo fondamentale per i figli. Infatti la presenza di un terzo, nella relazione duale, pone le basi per lo sviluppo delle relazioni sociali di quel bambino.

Come avrete potuto leggere nei miei articoli precedenti, nei primi mesi il bambino e la mamma sono uniti in un legame fusionale, in cui lo stato emotivo di ciascuno è interdipendente da quello dell’altro. Il corpo del neonato si adagia tra le curve della madre in modo armonico e da lei viene sostenuto e avvolto, come se fosse ancora dentro la pancia. Il pianto del bambino viene consolato di volta in volta tramite la sintonizzazione con la figura materna, la quale impara pian piano a interpretare i bisogni del figlio. Tuttavia, nonostante si sia strutturato un legame così speciale e profondo tra i due, ci sono dei momenti, in cui la frustrazione del bambino può non essere adeguatamente contenuta dalla sua mamma, che magari non riuscendo a consolarlo può provare dei sofferti sensi di colpa e non sentirsi una madre abbastanza brava a riconoscere i bisogni del figlio. In realtà sono queste le occasioni, in cui il bambino ha la possibilità di sperimentare e di trovare delle modalità per auto consolarsi e in cui può rinforzare il suo senso di sé, riconoscendosi pian piano come “soggetto distinto e agente”, desideroso di esplorare ciò, che sta intorno a sé, tra cui anche il padre. Quest’ultimo, se inizialmente non veniva quasi percepito dal bambino, troppo intento a instaurare un legame simbiotico con la sua mamma, fin da quando il piccolo è nella pancia, esercita delle funzioni specifiche di protezione e supporto.

Durante i primi mesi di vita, infatti, il papà ha il compito di proteggere la coppia mamma-bambino, inserendosi pian piano tra di loro e diventando una figura fondamentale per il piccolo. Nel corso della crescita, poi, favorendo un graduale distacco dalla figura materna, aiuterà il bambino a rivolgere la sua attenzione verso il mondo esterno e a sviluppare le principali competenze sociali. E’ quindi importante che fin dalla nascita il padre non si metta da parte, lasciandosi escludere, ma continui a essere presente a fianco della madre, sostenendola in questo passaggio dalla coppia al trio familiare.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.

Lo sviluppo emotivo dalla gravidanza all’infanzia: scopriamolo attraverso gli occhi dei bambini.

“Vita intrauterina. Il marasma più completo. Tutto è fuso insieme e c’è la sensazione di essere piacevolmente immersi in una bolla piena di acqua calda. Tutto è tranquillo e ha lo stesso profumo… All’improvviso le acque si agitano, si sente anche da dentro questa irrequietezza, tutto si muove e si confonde. Dei rumori forti arrivano, da non si sa dove e alimentano questa sensazione di agitazione. Poi torna tutto tranquillo e piacevole… Che bello stare qui!


La nascita. Il Big Bang, una luce abbagliante mi colpisce. Tutto arriva diretto. Suoni, immagini, stimoli. Non ovattati, come prima. Dove sono capitata?! Dov’è finita quell’acqua termale, in cui dormivo pacificamente? Aiuto! Malessere… malessere finchè non sento di nuovo quella voce dolce e acuta… quel profumo, quella morbidezza e quel calore, che mi tranquillizzano e mi fanno ritrovare la pace di un tempo… lontano.


Passano i mesi. Ormai il suo viso è diventato familiare. Quando lo vedo provo piacere e il suo sguardo mi fa sorridere. E’ la mia mamma. Anche se siamo una cosa sola. Infatti quando è preoccupata per qualcosa, anche io mi sento agitata perché mi accorgo che non mi guarda più. Quando non è a suo agio, sento rumori troppo forti, confusione, voci che non mi piacciono. Mi sento sparire! Mamma, guardami! Finalmente il suo sorriso torna a rispecchiarsi nei miei occhi e la sua voce, calma e giocosa, mi fa sentire tranquilla.

Entrambe siamo quiete. All’improvviso compare qualcosa di morbido e colorato, che mi fa spostare l’attenzione da lei. Sembra interessante! Sono curiosa e, per confermare questa ipotesi, lo avvicino alla bocca con le manine. Lo assaggio. Buono! Cerco di addentarlo, ma mi sfugge dalla bocca. La saliva non aiuta! Lo assaggio ancora, ma non ha quel sapore dolce e caldo che pensavo… non sa di niente! Che fastidio! Basta, lo allontano, e cerco quello che, invece, mi piace tanto! Dov’è?? … Mamma, ho fame! Non vedi che mi dimeno e piango? Di nuovo a contatto con lei. Coccole… Mi sento cullare, mi arrivano carezze sulla schiena, il suono piacevole della sua voce arriva alle mie orecchie.. ma è quel suono ripetuto, un po’ noioso, che sento quando è ora di dormire! Ma, mamma, io non ho sonno! Ho fame! Non senti il mio lamento? Finalmente sono di nuovo a contatto con quella morbidezza, quel profumo di mamma… La mia bocca si avvicina a quella fonte di piacere. Traguardo, mamma! Ora siamo di nuovo un tutt’uno.

Un anno di vita. Mamma, in questi mesi ho imparato tante cose. Tu sei la mia preferita, ma ci sono altri volti che mi piacciono e mi fanno divertire. Alcuni, invece, non li conosco e mi fanno spaventare, ma poi so che, se piango forte, tu mi senti e mi proteggi. Anche io, adesso, riesco a muovermi di più e posso fare tantissima strada da sola. Raggiungo il mio tappetino morbido e i miei giochi, che mi piace tanto prendere in bocca perché mi ricordano il tuo sapore.

In particolare, c’è un orsetto che ha il tuo stesso profumo, è piacevole al tatto e mi tiene caldo, come te. Infatti nei momenti in cui sono triste o arrabbiata e tu non ci sei, stringo forte il mio orsetto, come quando tu abbracci me, e mi sento meglio. Se, invece, l’orsetto è lontano e non ho voglia di gattonare per andare a prendermelo, ho trovato un’altra soluzione, mamma. Il mio pollice! Non è proprio saporito, ma succhiarlo mi fa sentire meno sola.

Primi anni. Arrivano dei sentimenti nuovi, mai provati prima. Colpa. Mamma, mi spiace, ma io sono io, e non sono te, anche se mi piace tanto stare con te. Mamma, è colpa mia? Ho scoperto quanto è bello stare con il papà, giocare con lui e ridere insieme. Mi piace la sua voce e quando mi porta sulle spalle, vedo tutto dall’alto e mi sembra di volare. Che ridere! Mamma, non soffrire per questo ok? Rabbia. Da quando è nato il mio fratellino, non sento più tutte quelle attenzioni che mi venivano date prima. E poi, i miei giochi sono i miei! Non voglio che me li rubi! Invidia.

Da quando è nato il mio fratellino, papà mi ha fatto tanti regali. Mi ha portato due bambolotti con il biberon. Sono ancora piccoli, a loro piace solo il latte, ma non sanno quanto sono buone le pappe! Poi mi ha regalato il castello delle fate. Adoro le fate e anche io vorrei un mondo così! Però io ho solo questi giochi, mentre il mio fratellino ne ha molti di più! Non è giusto! Io, però, sono più grande di lui e so fare molte più cose!

Infanzia. Mamma e papà, sono passati un po’ di anni e ho imparato tantissime cose! Ora dico tante parole, so correre veloce, sono diventata bravissima a fare le ruote e ho tanti amici. Alcuni, a volte, a scuola piangono e, allora, li abbraccio e tutta la tristezza scompare! Le mie amiche preferite sono Maria, Roberta e Sara. Con loro gioco a fare le principesse, ballo e invento le canzoni! Mi piace immaginare le cose e giocare con la fantasia, pensare di volare e di finire in un mondo incantato! Da grande farò la ballerina!”

In queste righe ho voluto rappresentare la storia di una bambina dalla sua prospettiva e come la sua crescita abbia influito sullo sviluppo delle sue emozioni, con l’obiettivo di aiutare i genitori a immedesimarsi in questo profondo processo di acquisizione e vedere con gli occhi dei propri bimbi i progressi man mano raggiunti. Come si può intuire da questo racconto, i sentimenti sono già presenti nella vita intrauterina, a livello di sensazioni piacevoli o spiacevoli e percepiti attraverso una “proto-coscienza”. L’ambiente emotivo attraverso la placenta raggiunge il feto ed esercita un’influenza su di lui. A differenza di quanto si pensa, numerose ricerche hanno dimostrato che i neonati sono creature che non si limitano solo a mangiare e dormire, ma possiedono una sensibilità sofisticata. L’Infant Research e l’Infant Observation testimoniano che i neonati riconoscono l’odore e il viso della mamma e sanno fare distinzioni tra suoni e sapori diversi.

Inizialmente il legame che c’è tra il piccolo e la sua mamma è fusionale, per cui il neonato non si sente un essere distinto da lei, ma si percepisce come un’unità duale. Attraverso il rispecchiamento emotivo materno il bambino si sente amato e apprezzato. Poi, quando il piccolo raggiunge dei traguardi specifici, come camminare, fare la cacca nel vasino, parlare, scopre di avere un corpo e capisce di essere qualcosa di separato dalla sua mamma. Nasce, quindi in lui il desiderio di autoregolare la propria emotività e sentirsi autonomo nelle sue conquiste. Oltre alla mamma il bambino sperimenta anche l’amore del papà e da esso ne è attratto. Col tempo le emozioni si diversificano sempre di più, in relazione ai legami sociali che il bambino costruisce. Inizia a provare vergogna, senso di colpa, invidia e altri sentimenti sempre più complessi. L’ingresso a scuola, in particolare, dà il via a un generarsi di stati emotivi diversi e allo svilupparsi di una sensibilità sempre più affinata. I bambini, quindi, a questo punto, sono in grado di immedesimarsi e di provare empatia, che è alla base dei comportamenti pro-sociali futuri.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva.

2 Ottobre – Festa dei nonni

Scopriamo insieme alla dott.ssa Giulia Spina l’importanza di queste figure significative per i bambini.

Il 2 Ottobre è considerata la festa dei nonni perché nella stessa data la Chiesa festeggia gli Angeli. I nonni, quindi in occasione di questa festa, istituita nel 2005, sono stati paragonati a degli Angeli custodi per i loro nipotini.
In effetti è proprio così; molti nonni crescono i figli dei loro figli, si occupano di loro, ci giocano e rappresentano per loro delle figure educative e normative, quasi quanto i genitori. I nonni fanno di tutto perché i propri nipoti crescano felici e sani, addirittura a volte più di quanto abbiano fatto per i propri figli.

Forse la maggior distanza di età, ma anche l’esperienza di vita che sicuramente per un anziano conta molti anni di sacrifici, fatiche, conoscenze, affetti, rendono il rapporto con i propri nipoti qualcosa di unico e magico. La relazione che ognuno di noi ha instaurato con il proprio nonno sarà stata probabilmente qualcosa di prezioso che conserveremo gelosamente nei nostri ricordi per tutta la vita.

Quando nasce un nipotino i nonni si sentono genitori per la seconda volta e questo li fa sentire come “rinati” e dotati di nuovi legami importanti.
I nonni nelle generazioni precedenti ci hanno insegnato a giocare a carte, a ripetere a memoria le tabelline, a cantare le canzoni popolari, raccontandoci molto della propria infanzia e del proprio passato. Non mancavano mai esclamazioni del tipo “Eh, ai miei tempi le cose erano diverse! C’era molta più povertà”, piuttosto che “Un tempo a scuola non c’erano tutti questi libri!”.

Oggi i nonni sono rimasti delle risorse fondamentali nel processo di crescita di ogni bambino perché rappresentano un collegamento tra la tradizione e la realtà tecnologica moderna. Infatti navigando sul web capita a volte di vedere dei video, in cui i ragazzini hanno coinvolto anche il proprio nonno e/o la propria nonna. Ormai tutti i nonni sono dotati di un cellulare e qualcuno usa perfino Whatsapp! Sono nonni moderni che mantengono, comunque, ancora vivo nel tempo lo spirito delle tradizioni antiche.

Il progresso della medicina ha permesso a molti nonni anziani di mantenere uno stile di vita salutare, prevenendo l’insorgenza di malattie e intervenendo in caso di bisogno. Tuttavia i nonni rimangono delle figure molto fragili, possono sentirsi soli, ad esempio nel caso in cui rimangano vedovi e i figli si dimentichino di andarli a trovare, e richiedono moltissimo l’amore da parte dei propri nipotini.

Perciò il mio invito a tutti i bambini è quello, se possibile, di festeggiare con i propri nonni questa data, magari preparando per loro un piccolo dono o una letterina!

Alla mia nonna, Elide Cazzago, che ci guarda da lassù..
Dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva.

Si torna sui banchi: le emozioni che accompagnano i primi giorni di scuola elementare.

E’ settembre. Da qualche giorno è ricominciata la scuola. Anche per quest’anno salutiamo i luoghi piacevoli, in cui abbiamo trascorso le vacanze e che ci hanno tenuto compagnia: “Ciao!” al mare, “Al prossimo weekend di sole!” al lago e “Ci vediamo a Natale!” alla montagna.

Con qualche lacrimuccia presto saluteremo, ahimè, anche l’abbronzatura e il caldo. Oltre alla malinconia, che i bambini, ma anche noi adulti proviamo nelle fasi di separazione, c’è anche l’ansia che accompagna sempre le novità della vita. Che ne sarà del mio bambino? Ce la farà a compiere questa nuova avventura? Si troverà bene con le maestre? Socializzerà con i compagni?

Immaginiamo che questi due elementi astratti, l’ansia e la novità, prendano forma e si personifichino, un po’ come accade nel film “Inside out”, in cui le emozioni sono rappresentate con dei personaggi con identità e colori distinti. Ci troveremmo di fonte ad Ansia che sta a braccetto con Novità, camminando sempre insieme. A un certo punto si avvicina Curiosità e tutte e tre iniziano a saltellare, felici e entusiaste, per il loro percorso.

Questa è una rappresentazione simpatica di ciò che accade nel bambino quando torna tra i banchi di scuola o quando fa, per la prima volta, il suo debutto alle elementari. Certamente l’ansia è tanta, ma anche la curiosità e la voglia di scoprire un mondo nuovo, fatto non solo di giochi, ma anche di acquisizioni, di voti, di maestre e di compagni. Quando l’ansia viaggia insieme alla curiosità, allora possiamo stare tranquilli e tirare un sospiro di sollievo. La curiosità ci spronerà e l’ansia ci farà stare sull’attenti, pronti a recepire qualsiasi nuovo stimolo e ad assorbirlo come una spugna. E’ così che i bambini arrivano a scuola, con zaini fiammanti e all’ultima moda, astucci scintillanti, quaderni nuovi e, soprattutto, il diario!

Alcuni genitori lamenteranno le ore infinite perse dietro alla scelta del diario e altri si sentiranno sollevati dal confronto con loro perché, grazie al cielo, tra il loro figlio e il diario, invece, è stato un colpo di fulmine! In ogni caso penso che la scelta di questo strumento sia fondamentale e motivi molto lo studente a frequentare con profitto l’anno scolastico. Il diario è un oggetto molto personale e va scelto con cura perché, poi, i bambini ne fanno qualcosa di unico ed esclusivo nel corso dei mesi, inserendoci canzoni, poesie, dediche dei compagni. Non è solo un’agenda in cui segnare i compiti, ma è un mezzo con cui il bambino racconta qualcosa di sé.

Questi sono gli strumenti con cui l’alunno si sente attrezzato nell’affrontare il suo debutto alle elementari, in cui le aspettative degli insegnanti sono molto più definite e complesse. Infatti ora, rispetto alla materna in cui le richieste delle maestre si limitavano alla partecipazione alle attività e a un minimo rispetto delle regole, come quello di stare in fila o di aspettare il proprio turno, ci si aspetta che ogni studente impari a rispettare le regole, ad auto-regolare il proprio comportamento verso gli altri, ad ascoltare ciò che viene detto e spiegato, a rispettare i tempi e le scadenze, a studiare e a fare i compiti. Sono tantissimi gli obiettivi da raggiungere, che richiedono, ciascuno a proprio modo, un enorme adattamento da parte del bambino e non sempre possono essere in armonia con i suoi bisogni, perché ognuno implica dei limiti. Questi ultimi però non devono essere vissuti come degli ostacoli, ma come delle modalità con cui i bambini possono ritrovare la propria identità e separarsi pian piano dal legame inseparabile che avevano con la mamma.

Alcune regole saranno impartite dalle maestre in modo chiaro, come quelle di stare in silenzio e concentrarsi, anche se altre saranno più implicite e meno facili da afferrare dai bambini. In ogni caso ciò che dirà l’insegnante diventerà una regola universale per tutti i compagni “Bisogna sederci tutti per terra perché lo ha detto la maestra!”. A volte questo accadrà anche fuori dal contesto scolastico, tanto che in alcune occasioni saranno le regole della maestra a prevalere su quelle del genitore. Inoltre man mano che il bambino si inserirà sempre di più nel contesto classe, sentirà maggiormente il bisogno di farne parte, di non esserne escluso e anche di sentirsi “grande”. Negli anni della primaria infatti i bambini oscillano spesso tra il bisogno di dipendenza e quello di autonomia, dalla stima di sé all’insicurezza, dalla razionalità all’impulsività perché devono ancora trovare la propria strada. Ed ecco che mamma e papà cominceranno a chiedersi “Ma che ne è del nostro piccolo?” “E’ lo stesso di prima?” “Perché sta cambiando?” “Io alla sua età ero diverso!”.

Sicuramente molti genitori si immedesimeranno nel proprio figlio e riporteranno alla memoria ricordi della propria infanzia per cercare degli elementi in comune con la storia attuale del proprio bimbo e per provare a capire i suoi vissuti. Cari genitori, può essere che il vostro bambino sia diverso da voi in certi aspetti, abbia interessi anche completamente opposti dai vostri, prenda voti più bassi di quelli che prendevate voi, ma questo non significa che non saremo pronti a sostenerli e a dar loro fiducia ogni giorno. Aiutiamoli davvero nella spinta verso l’autonomia e la sperimentazione di sé, possibilmente in un clima familiare tranquillo; crediamo in loro e nelle loro capacità, anche se questo può generare in noi l’insicurezza di non averli preparati abbastanza o di non essere stati dei genitori sufficientemente bravi; lasciamoli provare, ma allo stesso tempo, qualora ne avessero bisogno, offriamo loro il nostro appoggio.
Dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva.

Primo giorno d’asilo.

Andiam, andiam, andiamo all’asilo nido: l’impatto emotivo di questa fase di passaggio sul bambino e sul genitore.

“Un posto nuovo. Diverso da casa. Sembra un po’ l’oratorio o un parco. C’è molto rumore: bambini che corrono, quelli che sembrano mamme e papà che salutano, altre figure mai viste. Tantissima confusione! Non mi piace questo posto. Dove sono finito? La mamma mi tiene la mano. Vicino a lei mi sento al sicuro. Sposto il mio sguardo, in alto, verso di lei. Mamma, è questo il posto bello di cui mi parlavi? Mamma, tienimi la mano, non voglio lasciarti! All’improvviso arriva una figura che mi parla. Ha una voce gentile e dolce, come quella della mamma. Ma non è la mamma. Singhiozzi… Mamma, non vorrai lasciarmi qui?! Gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime, le pieghe della bocca si inarcano verso il basso..

Mamma, dici che qui mi divertirò, che conoscerò altri bambini, che farò tanti giochi. Ma io voglio la mia mamma e il mio papà! Mi sento agitato, tutto il corpo è teso, le lacrime stanno per traboccare. Piango. Le lacrime scorrono copiose davanti ai miei occhi come una cascata in piena. Singhiozzi… Un po’ di muco mi scende dal naso, come quando ho il raffreddore. Tiro su col naso. La mamma mi consola. La figura con la voce simile alla mamma anche. E’ la mia maestra e quelli intorno a me sono i miei nuovi compagni. La mamma mi abbraccia. Sento il suo profumo che sa di casa. Mi dice che finito l’asilo verrà a prendermi e che andremo a mangiare un gelato con la mia sorellina. Vedo intorno a me, con gli occhi ancora un po’ appannati dal pianto, uno scivolo colorato nel prato. Mi sfrego gli occhi con la manica del grembiulino. Sembra un parco giochi! Un bambino mi prende la mano e mi chiede di andare a giocare con lui. Tiro su col naso. Ciao mamma, ci vediamo dopo! Sorrido e corro tenendo la mano al mio nuovo amico.”

Quello che ho raccontato è un possibile scenario dell’ingresso all’asilo nido di un bambino che, di fronte a uno dei primi distacchi importanti dalla propria mamma, reagisce piangendo con disperazione. Anche se poi, dopo essere stato rassicurato, riesce a separarsi da lei, incuriosito da un ambiente nuovo e desideroso di fare nuove amicizie. Ovviamente la reazione di ogni bambino in questo delicato passaggio può essere anche molto diversa l’una dall’altra. Ad esempio ci sono bimbi che soffrono molto la separazione e hanno bisogno di un tempo maggiore di adattamento oppure c’è anche chi non sembra preoccuparsene più di tanto.

Ci tengo molto a far presente due aspetti significativi: il pianto del bambino, a meno che non sia eccessivo, non è indice di disagio, ma di espressione dei propri bisogni. I bambini possono reagire in modo diverso a volte mostrando segnali di disagio oppure adattandosi senza troppa fatica.

Il pianto è una reazione fisiologica del bambino a una situazione per lui diversa dal solito, stressante, incomprensibile o faticosa. E’ una modalità con cui ci fa sentire che ha bisogno di qualcosa, della nostra presenza, di un’ulteriore rassicurazione. Non è sempre un capriccio. Quindi un momento particolare come l’ingresso all’asilo può essere che non venga proprio “digerito” in modo pacifico dal bambino. Allora genitori, non preoccupiamoci troppo se il nostro bambino si lamenta, piange più degli altri o fatica a separarsi.

Sicuramente al piccolo gioveranno tutte le manifestazioni possibili di affetto dei suoi genitori, l’essere consolato e aiutato a capire che questo passaggio è fondamentale per la sua crescita e che anche se finora si sono occupati di lui solo mamma e papà, o magari anche i nonni, ci saranno altre figure importanti che lo sosterranno. Ma mamma e papà ci saranno sempre e comunque.
Allora quali sono i bambini che reagiscono in modo più sicuro? Quelli che, malgrado possano manifestare una certa titubanza o fastidio rispetto alla separazione dai propri genitori, riescono pian piano ad adattarsi e partecipano in modo attivo alle proposte di gioco dei compagni e delle maestre.

E quali sono invece i bambini che possono nascondere un disagio emotivo? Sia quelli che impiegano molto tempo ad adattarsi all’ambiente dell’asilo, che non tollerano la separazione dalla mamma e che reagiscono isolandosi alle proposte di attività; sia i bimbi che, al contrario, non manifestano alcun disagio, si staccano dalla mamma senza problemi, anche se poi non sono in grado di costruire buone relazioni con gli altri bambini, sono insofferenti o magari rompono i giochi. I primi sono stati abituati a stare solo con la mamma, che magari per ansie o preoccupazioni personali, non ha molto permesso al proprio figlio di esplorare l’ambiente e scoprire nuovi stimoli; al contrario i secondi non hanno consolidato un legame affettivo unico con la propria mamma e non hanno sperimentato davvero che cosa significhi essere amati.
E’ importante pertanto sottolineare che la reazione di ogni bambino dipende anche dal tipo di accompagnamento del genitore e quindi da quanto mamma e papà hanno rassicurato il proprio figlio in merito a questo cambiamento. I genitori dovrebbero offrire un biglietto di andata e ritorno al proprio bambino.

Non trascuriamo che il passaggio all’asilo nido può avere un impatto significativo anche sui genitori. Le mamme spesso possono essere preoccupate di lasciare per tante ore il proprio piccolo, oppure sentirsi sole, guardare con sfiducia alle maestre come figure che le sostituiranno nel loro ruolo genitoriale. I sentimenti che circolano sono tanti e coinvolgono tutto il nucleo familiare. Così come in ogni altro passaggio significativo della vita.
Come psicologa dell’età evolutiva, il consiglio che mi sento di dare alle mamme è quello di preparare anticipatamente i propri figli a questa delicata e importante fase di crescita, ma anche di distacco da loro, e rassicurarli sul fatto che i genitori finito l’asilo tornano sempre a prenderli. E soprattutto mamme, dite sempre a voi stesse che il vostro bambino, anche se è lontano, sta ogni giorno compiendo dei passi che lo porteranno a diventare sempre più grande e forte.

[Dott.ssa Giulia Spina]

Si, abbiamo anche la giornata “dei mancini”: il 13 agosto.

 

Cosa sappiamo dei mancini? Proviamo insieme a capire qualcosa in più.

Fino a poche decine di anni fa chi aveva tendenze mancine veniva forzato a imparare a usare la mano destra.

I mancini sono veramente una minoranza (circa il 13% della popolazione) e quindi per ignoranza, mistero e una lettura troppo ristretta delle sacre scritture venivano considerati “diversi”. Nel Vecchio Testamento Isaia dice: “È la mia mano destra che ha fondato la terra, è la mia mano destra che ha misurato i cieli”; nel Nuovo Testamento si posiziona il buon ladrone alla destra di Gesù e il cattivo ladrone alla sua sinistra. Una volta asceso al Cielo, Gesù è seduto alla destra del Padre. Ma non è solo la religione cristiana a “preferire” il lato destro: nel Corano è scritto che Maometto, per fare le abluzioni, adoperava la mano destra ritenendo la sinistra impura.

I mancini vivono in un mondo di destrimani. Una ricerca della St. Lawrence University di New York afferma che tra tutte le persone con un quoziente intellettivo importante, cioè i super intelligenti, ci sarebbero più mancini e che l’intelligenza dei mancini è più fluida e che in questi individui vi è una maggior propensione a risolvere i problemi. Per avvalorare questa tesi basta pensare che il mancino Napoleone Bonaparte è considerato uno dei più grandi strateghi militari della storia.

Studi scientifici hanno attribuito il mancinismo all’emisfero destro del cervello. Nei mancini la parte dominante del cervello è la destra, specializzata nell’elaborazione visiva e nella percezione delle immagini, nella loro organizzazione spaziale e nell’interpretazione emotiva. Recentemente però un gruppo di studiosi dell’università della Ruhr, in Germania, hanno affermato che il bambino “sceglie” la sua mano dominante quando è ancora un feto (lo dimostrerebbero le ecografie delle mamme in attesa) e la scelta dipende dal midollo spinale, che in quella fase dello sviluppo non è ancora collegato alla corteccia cerebrale.

Anche se sono una minoranza, i mancini sono ben rappresentati nella storia: è mancino l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, era mancino Albert Einstein, ed era mancino anche Steve Jobs. E l’elenco è ancora lunghissimo: Bill Gates, Mark Zuckerberg, Alessandro Magno, Diego Armando Maradona, Giulio Cesare, Valentino Rossi, Gigi Riva, Johan Cruyff e John McEnroe, Ayrton Senna.  E poi Bob Dylan, Paul McCartney, Paul Simon e Jimi Hendrix, ma anche Charlie Chaplin. E se erano mancini Leonardo da Vinci, Michelangelo, Picasso, Raffaello e Van Gogh, c’è da credere che sia esatta la teoria secondo cui avere più sviluppato l’emisfero destro del cervello (che controlla la mano sinistra) favorisca la percezione della tridimensionalità, la creatività, e dunque la vena artistica.

 

Sport di squadra e sport individuali: confronto, pregi e difetti

La scelta della tipologia di sport è fondamentale.

Il più delle volte il bambino, soprattutto quando ancora piccolo, tende a scegliere un’attività perché svolta anche dai suoi compagni di scuola e amici, più che per scelta proprio personale. Ciò non esclude ovviamente che un ragazzo invece scelga un determinato sport perché questo lo ha sempre affascinato. E che questo sport sia di squadra o individuale, deve avere un unico fine: il divertimento e il pieno coinvolgimento da parte del ragazzo che ne è protagonista. Oltre all’attività fisica, lo sport aiuta a crescere, soprattutto nel superamento dei problemi: la vita sportiva non è infatti sempre rose e fiori. I momenti di difficoltà aiutano il ragazzo cresce, si rafforza ed aumenta la propria esperienza. Di conseguenza, ogni tipologia di sport ha sì dei vantaggi, ma anche condizioni sfavorevoli. Compito del Gazzettino Sportivo sarà, in questo focus, analizzare sia i pro che i contro degli sport di squadra e degli sport individuali.

Sport di squadra

PRO

Il vantaggio più grande dello sport di squadra è sicuramente il consolidamento di un gruppo. Al momento della costruzione della squadra, questa non è che un semplice insieme di individui, conoscenti e non, che andranno a svolgere la stessa attività. Compito dell’allenatore, dell’educatore o dell’istruttore, e ovviamente degli stessi ragazzi, sarà amalgamare tutti in un’unica identità: la squadra. Ogni ragazzo ha ovviamente il proprio carattere, le proprie qualità, che andranno messe a servizio del gruppo. Il luogo principale in cui la squadra si consolida è lo spogliatoio, al quale verrà dedicato un focus a parte. Il bambino dunque impara a lavorare in gruppo, confrontarsi con altri e a fidarsi dei propri compagni. E chissà che poi il rapporto di gruppo non possa essere trasposto nella vita di tutti i giorni, non solo nel campo da gioco.

E’ qui che si collega il secondo pro dello sport di squadra: la cooperazione. Un gruppo e una squadra non sono niente senza il lavoro collettivo dei propri membri. Nel calcio, come nel basket o nell’hockey, un ragazzo non gioca per se stesso, ma sulla maglia porta un nome e uno stemma particolare. E il proprio talento dovrà essere utile alla squadra e ai compagni per raggiungere un determinato obiettivo. E vincere un campionato o un torneo è impossibile senza la cooperazione, così come un allenamento non potrà riuscire senza il supporto reciproco: dopo un passaggio sbagliato o un tiro libero fuori misura, è lì che viene fuori l’apporto dei compagni, che devono essere pronti ad aiutare chi ha commesso l’errore. Come far crescere la cooperazione: solitamente io, quando creo le coppie per gli esercizi, cerco di mettere insieme chi è più bravo con chi magari ha più difficoltà nello svolgimento dell’esercizio: quest’ultimo si sentirà più sicuro e potrà prendere d’esempio chi gli sta di fronte per migliorare.

CONTRO

In un gruppo, soprattutto numeroso, fuoriesce la personalità di alcuni bambini, mentre altri rischiano di essere emarginati, magari a causa della troppa timidezza o dell’insicurezza del ragazzo stesso. Per paura di esporsi, questo può fare fatica ad integrarsi, a farsi sentire, magari senza volerlo: e il carattere competitivo dei bambini non aiuta, considerando il fatto che solitamente tra i ragazzi, soprattutto tra gli 8 e i 12 anni, nasce una sorta di competizione tra di loro per eleggere quelli che sono i punti di riferimento della squadra. Chi più timido dunque rischia di non riuscire a venire fuori.

E, sulla scia del fattore personalità, nello sport di squadra possono nascere conflitti tra i membri del gruppo. La grossa competizione, il giocarsi il posto in squadra, o soltanto le semplici antipatie – naturali, soprattutto in tenera età – possono creare scontri tra i ragazzi. Compito dell’allenatore o dell’educatore sarà dunque quello di aiutare chi è più timido a combattere il proprio stato di timidezza e di placare gli conflitti, invitando alla collaborazione e alla comprensione reciproca.

Sport individuali

PRO

In opposizione al vantaggio della socializzazione nello sport di squadra, in quello individuale il maggiore vantaggio è sicuramente l’autoaffermazione, la crescita autonoma. Il bambino come individuo, nello sport singolo, è pienamente al centro dell’attività, così come sono le sue competenze: obiettivo suo e quello dell’allenatore sarà dunque lavorare sulle sua capacità e migliorarle. Il ragazzo, nel contempo, impara anche a cavarsela da solo: in un momento di difficoltà della partita, il bambino non ha compagni su cui appoggiarsi e dovrà fare affidamento sulla propria tempra e sulle proprie capacità. Questo è sicuramente un grande vantaggio di questa tipologia di sport.

Sulla scia dei conflitti nello sport di squadra, un altro pro dello sport individuale è la mancanza di competizione all’interno del gruppo: anche se l’attività viene praticata in piccoli gruppetti, ognuno gioca comunque per conto proprio e non ci sarà la presenza di leader tra i ragazzi che partecipano allo sport. Non c’è dunque gerarchia e tutto ciò, a livello caratteriale, non influisce sulla testa dei singoli bambini, con ognuno che prosegue sulla sua strada e compie il proprio percorso di crescita sportiva.

CONTRO 

Il fatto che manchi gerarchia e competizione all’interno del gruppo può giocare anche un ruolo anche sfavorevole all’interno dell’attività sportiva. La competizione è infatti il pane quotidiano per i bambini, che, soprattutto nei primi anni, vogliono essere stimolati con giochi ed esercizi sotto forma di ‘gara’, con il fine della vittoria. La mancata competizione e l’individualità possono anche essere visti come una mancanza di stimoli per il ragazzo, che non si confronta con compagni e può anche non essere spronato a migliorarsi per conquistarsi un posto.

L’ultimo contro è sicuramente la mancata socializzazione: nello sport individuale, come già detto più volte, non esiste la coesione di gruppo tipica dello sport di squadra e questo può anche sfavorire la crescita del ragazzo e il suo essere empatico. Fuori dall’attività il bambino avrà sicuramente rapporti di amicizia, ma quelli presenti all’interno dello sport sono importanti: nello sport individuale questo pecca e può non far bene alla voglia di socializzare del ragazzo.

by Marco Astori

 

 

 

L’anguria, la sua importanza per la salute!

Quando siamo stanchi, spossati, accaldati … cosa c’è di meglio e di più naturale, economico, sano e buono per sentirci subito meglio di una bella fetta d’anguria!


Una bella fetta d’anguria permette di riavere rapidamente idratazione, sali minerali, potassio fosforo, magnesio e vitamine A e C.

Questo stupendo frutto è formato per la maggior parte d’acqua, è  ideale per le diete ipocaloriche e per quelle anti-diabete poiché contiene una ridotta quantità di zuccheri.

La colorazione rossa è data dal licopene , un potente antiossidante che favorisce la prevenzione dei tumori.

L’anguria è ricca di carotenoidi che sono in grado di combattere l’azione dei radicali liberi che aiutano a rallentare l’invecchiamento delle cellule. In questo frutto è presente anche la citrullina, un amminoacido che assicura l’equilibrio della pressione e mantiene elastiche le pareti arteriose ed è quindi in grado di prevenire l’ipertensione e le malattie cardiache.

Una sana e buona colazione per i nostri bambini: cosa mangiare?

Secondo la ricerca Eurisko, l’equilibrio nutrizionale dell’intera giornata dipende in buona misura anche dalla prima colazione, che dovrebbe apportare tra il 15 e il 20% del fabbisogno giornaliero.

I nostri bimbi hanno bisogno di energie per crescere e affrontare la loro giornata, ed è importante che le ottengano da un’alimentazione sana e bilanciata.

Il primo consiglio è mettere da parte il più possibile la fretta mattutina e approfittare dell’inizio della giornata per gustare un pasto equilibrato in famiglia.

 

Perché una buona colazione è importante?

Al mattino l’organismo viene da diverse ore di digiuno, motivo per cui la colazione non andrebbe mai saltata. Una sana e buona colazione apporta numerosi benefici ai nostri piccoli, quali l’aumento della concentrazione, dell’energia e il mantenimento del peso-forma.

È dimostrato che saltando la prima colazione il bambino tende a essere distratto e irrequieto, con possibili ripercussioni negative sull’andamento scolastico.

La prima buona norma è quindi consumare carboidrati (o zuccheri) contenuti in cereali e frutta, perché forniscono l’appropriato nutrimento al cervello.

Il compito dei genitori

Mangiare una merendina al volo non basta, sono i genitori che devono istruire e abituare il bambino a una colazione varia ed equilibrata: se i genitori danno poca importanza a questo pasto, questo si ripercuote sul bambino che non darà la giusta importanza alla colazione.

Fare colazione è un’abitudine importante che va stimolata: compito e responsabilità dei genitori è dunque creare un momento di convivialità, durante il quale il bambino sia felice e abbia almeno 10 minuti da dedicare alla colazione. È quindi importante proporre dei cibi che siano “piacevoli” sia al gusto che alla vista. La colazione non va servita come un pasto monotono e stereotipato ma deve essere varia e allegra, ricca di frutti e colori di stagione, sempre diversa e invitante, facendo attenzione al giusto apporto nutrizionale.

Dott. ssa di Giovanni, cosa possono fare i genitori per stimolare i bambini a fare una buona colazione?

“Per molti bambini è difficile fare colazione; alcuni si svegliano all’ultimo momento, altri si preoccupano dell’interrogazione che avranno durante la mattinata, altri ancora si svegliano senza appetito forse dopo un pasto abbondante della sera precedente.

Ma come aiutare i propri figli a fare colazione?

È importante che i bambini seguano l’esempio dei genitori ma non ci si può aspettare che i più piccoli cambino, senza un adulto che mostri di avere dei sani principi alimentari.

Fondamentale è comprendere che le buone abitudini si acquisiscono in famiglia.

 Una raccomandazione è quella di sedersi tutti insieme – evitando di lasciare il bimbo da solo – e senza accendere TV, smartphone o tablet mentre si mangia.

Il consiglio principale per la colazione è quello di variare molto, ma si sa, spesso anche i più piccoli sono abitudinari e la mattina appena svegli non hanno neanche voglia di parlare…figuriamoci di mangiare!

 Questo problema si può ovviare preparando la colazione la sera, prima di andare a dormire.

Nel caso in cui si scelga la stessa colazione, non importa, purché venga consumata abitualmente e sia composta da una parte liquida (latte o yogurt o spremuta d’arancia) e da una parte solida come cereali integrali o biscotti secchi e da proteine (qualora non siano presenti latte o yogurt) come formaggi magri spalmabili o un uovo.

Si può alternare il tipo di colazione con cadenza settimanale.

 Inoltre, alcuni piccoli accorgimenti, possono essere utili per riuscire a far consumare qualcosa ai vostri bambini, come portare con sé dei biscotti (magari integrali farciti con dello yogurt) da consumare nel tragitto casa/scuola.

 Non avete più scuse per non far consumare la prima colazione ai vostri bambini!”

 Dott. ssa Ambra De Giovanni, Dietista Nutrizionista ed esperta di nutrizione pediatrica ed obesità infantile

Quindi, cosa mangiare a colazione?

Che sia dolce o salata, la colazione deve fornire sia zuccheri semplici (che si smaltiscono in appena un’ora) e anche zuccheri complessi (amidi), che danno energie ai nostri bambini fino all’ora della merenda: vanno benissimo pane e marmellata o un toast con il prosciutto, sempre associati a latte (meglio se parzialmente scremato) o yogurt (da preferire, lo yogurt magro).

Per quanto riguarda la marmellata, bisognerebbe scegliere sempre la composta di frutta senza zuccheri aggiunti e preferibilmente biologica.

Il latte è sicuramente un alimento importantissimo nell’alimentazione dei nostri piccoli, soprattutto nelle prime fasi della crescita in quanto fonte di calcio, elemento imprescindibile per la buona crescita delle ossa.

È importante non zuccherare la tazza di latte del bambino, per evitare di alzare più del dovuto la glicemia. Per rendere comunque gradevole la colazione, si può aggiungere del cacao amaro e accompagnare con cereali, biscotti a basso contenuto di zuccheri e grassi (da evitare i frollini, che contengono molto burro e vanno consumati con moderazione).

La frutta (fonte sana di zuccheri, fibre e vitamine) è un elemento che dovrebbe essere sempre presente in questo primo pasto, sia in forma solida (es: spiedini di frutta mista tagliata a pezzetti) che liquida (una spremuta d’arancia o una centrifuga). Proporla in alternative colorate e divertenti aiuterà i nostri bambini a gradirla di più: date sfogo alla creatività!

Se invece volete proporre un’alternativa salata, le uova (se consumate con moderazione: una o due volte alla settimana, mangiando un solo uovo per colazione) sono un’ottima fonte di proteine, ideali se cucinate fritte o alla coque, magari unite a del pane integrale ed a frutta fresca di stagione.

Infine, anche il cioccolato è un’importante fonte di energia che piace molto ai nostri bambini e che, in quantità moderate, allieta una buona e sana colazione. L’importante è scegliere un tipo di cioccolato o crema spalmabile a bassa percentuale di zuccheri semplici.

Proposte per la prima colazione (A cura della Dott. ssa Ambra De Giovanni):

o   Yogurt magro + cereali integrali (es. fiocchi d’avena) + un cucchiaio di semi di zucca

o   Frullato di frutta + una fetta di pane fresco integrale + 2 cucchiai ricotta

o   Yogurt magro da bere + fette biscottate integrali + 1 cucchiaio di marmellata (senza zuccheri aggiunti)

o   yogurt magro + una coppetta di macedonia + 1 cucchiaio di semi di lino tritati

o   Spremuta d’arancia + pane di segale tostato + fiocchi di formaggio magro + ½ pomodoro + ½ cucchiaino di olio EVO

o   Centrifugato di frutta e verdura + una fetta di pane integrale + 1 uovo strapazzato

o   Latte parz. Scremato + biscotti secchi (preferibilmente integrali)

 

A cura della Dott.ssa Ambra De Giovanni (Dietista Nutrizionista ed esperta di nutrizione pediatrica ed obesità infantile) e della redazione di MioDottore.