Ricerca sugli effetti psicologici della pandemia e della quarantena per Covid-19 sulle famiglie

“I terribili due anni”: etichetta o generalizzazione?

“Ormai anche io sono diventato grande. Dalla mia bocca non escono più solo versetti, ai quali i miei genitori un tempo rispondevano solo con sorrisi giganti e un po’ spaesati.

Sorrisi così dolci e divertiti, che facevano ridere anche me. Ora da quando ho cominciato a dire “pappa”, in pochi minuti mi ritrovo tra le mani un gustoso biscotto da mordicchiare. A volte è un po’ un’impresa riuscire a divorare quella bontà croccante, perché i dentini non mi sono ancora cresciuti tutti e le gengive hanno da lavorare parecchio quando c’è da masticare! Inoltre è inevitabile per me sporcarmi ogni volta le manine con la saliva mischiata a pezzettini di biscotto. Quindi se mi innervosisco troppo per la lentezza di questa procedure, l’impulso è inevitabile! Devo lanciare per terra il biscotto!!! Quando, invece, sono talmente felice ed eccitato, mi viene spontaneo scalciare e gettare tutto ciò che mi trovo in mano! Tanto poi mi arriva qualcos’altro da sgranocchiare… Quando, invece, mi sento sazio e riesco a divorarlo tutto, mi sento davvero molto soddifsatto!

Quando dico “mamma” o “papa” i miei genitori sembrano impazzire di gioia, si mettono a cantare, mi prendono in braccio e mi riempiono di baci.

In questi mesi ho imparato a fare tante altre cose. Sto finalmente in piedi da solo e riesco anche a muovere qualche passo in avanti. E vi assicuro che rispetto a quando gattonavo è una grande comodità! Mi sento più libero, posso andare in esplorazione per la casa. Il prossimo traguardo, per cui mi sto duramente allenando è quello di salire sul divano! Quando riuscirò ad arrivarci mi sentirò davvero un campione! Non ho ancora capito, in realtà, se non riesco perché è troppo faticoso o perché vengo sempre fermato dai grandi. Io vorrei così tanto arrivare sulla cima e sembrare più alto! E quando questo mi viene impedito, vado su tutte le furie!!

Mi sembra di essere proprio forte in questo periodo, capace di avere maggiore controllo sul mio corpo, anche nei movimenti, in cui prima ero un po’ più impacciato. Ora ho anche imparato a fare la cacca nel vasino, ma presto proverò anche a sedermi sul water e a spingere con forza anche lì nel momento del bisogno. Penso che il meccanismo sia lo stesso, devo solo verificare che il mostro del water sia scomparso, così mi posso rilassare!

E’ proprio motivo di grande orgoglio per me sentirmi in grado di parlare, camminare, fare la cacca non più nel pannolino! Ho ancora tanti passi da fare perché non mi percepisco ancora così sicuro e ho la sensazione che, in alcuni momenti, i miei genitori non capiscano bene le mie emozioni e intenzioni. Ad esempio, ieri ero molto annoiato e mi stavo allenando per raggiungere la cima del divano. Mi mancava veramente un soffio e ce l’avrei fatta! All’improvviso un “NO!” severo e risonante mi è vibrato nelle orecchie, facendomi perdere l’equilibrio, finchè non sono finito tra le braccia di mamma. Quest’ultima mi continuava a parlare con un tono lamentoso (non so cosa mi stesse comunicando, credo la sua solita ramanzina incomprensibile..). Di reazione, percependo una sensazione spiacevole a metà tra lo spavento e la frustrazione di non essere riuscito nel mio intento, ma non riuscendo ad esprimerlo a parole, ho provato prima a imitare la mamma con i suoi lamenti e poi sono scoppiato in un pianto inconsolabile! NOOO…quello era la MiA gara, il MIO spazio e ci stavo riuscendo da solo!! Come sono arrabbiato e deluso! Mi sento impotente e riesco solo a piangere e urlare! Uaaaaaaaaaa!!

Dopo qualche minuto di disperazione, finalmente la mamma riesce a calmarmi, mi abbraccia e mi parla. Forse ha capito quanto fosse importante per me il raggiungimento di quel traguardo, infatti, mi solleva sul divano, ma questa volta sono avvolto dalle sue braccia, protetto. Finalmente mi sento capito”.

Il bambino del racconto sta sperimentando l’ingresso nella cosiddetta terribile “fase dei no”, o “periodo dei due anni”, a cui generalmente gli adulti attribuiscono l’origine dei moti di ribellione infantili. E’ il momento storico in cui si sviluppano i primi “capricci”, connotati con disperazione, come degli atteggiamenti di mancata obbedienza, fastidiosi e insopportabili, e che si manifestano proprio nei momenti peggiori: quando si è di fretta o quando ci si trova in contesti pubblici, come al supermercato.

Ho pensato di affrontare questo argomento perché spesso in seduta i genitori, in presa all’ansia e alla preoccupazione, mi chiedono “Dottoressa, nostro figlio è irritabile, urla, ci provoca, che cosa dobbiamo fare?!”. Il mio ruolo non è semplice perché spesso mi trovo a deludere l’aspettativa di ricevere una risposta nell’immediato da parte di genitori, che già si trovano a sperimentare un fallimento rispetto alle proprie funzioni, sono arrabbiati e delusi. In situazioni simili cerco di offrire comprensione rispetto ai vissuti familiari e aiuto i genitori a esplorare le possibili cause che scatenano le crisi nei figli.

Dalla parte dei genitori, nei quali possono circolare diverse preoccupazioni, fantasie, ambivalenze, ci può essere una oscillazione tra la deresponsabilizzante generalizzazione delle crisi infantili (ad esempio “tutti i bambini vanno in crisi ed è del tutto normale”) e una più preoccupata etichettatura (“Aiuto, mio figlio sta per compiere i due anni! Mi troverò in casa un alieno? Come lo gestirò?). Da parte degli adulti, più strutturati, difesi e attrezzati sotto tutti i punti di vista rispetto ai bambini, che, invece, possiedono maggiore spontaneità e flessibilità nella sperimentazione, ma più esigenze di protezione e contenimento, ci possono essere delle fatiche importanti nel processo di sintonizzazione affettiva con loro.

Non sono rare le situazioni in cui il genitore, già di per sé provato dal lavoro, colmo di preoccupazioni, sfinito dalla stanchezza, non possiede né le energie né l’intenzione di assecondare il bisogno più o meno esplicitato dal bambino. I “capricci”, infatti, anche se a volte si fa fatica a crederlo, non vanno intesi come una modalità per manipolare il genitore affinchè consenta al piccolo di fare tutto ciò che vuole purchè la smetta di gridare. Essi sono piuttosto la manifestazione insoddisfatta di un bisogno di varia natura che il bambino non ha ancora gli strumenti per esprimere.

Mi focalizzerò quindi sugli aspetti evolutivi e sani di queste manifestazioni.

Ma che cosa vuole comunicare allora il bambino con i propri “capricci”? Non esiste, purtroppo, una risposta universale, come non esiste una ricetta da seguire per diventare un “bravo genitore”. Alcune figure professionali, come i pedagogisti, possono essere di grande aiuto nel fornire alcune indicazioni pratiche ed educative da utilizzare con i propri figli. Nel mio lavoro con le famiglie, invece, cerco di approfondire che vissuti emotivi cercano di comunicare i bambini. Forse sono arrabbiati per qualcosa? Si sentono frustrati o impotenti, come il bambino del racconto? Si sentono soli e vorrebbero un contatto fisico di vicinanza e affetto? Oppure alla base c’è un disagio psichico più profondo che potrebbe esitare in psicopatologia?

Nella maggior parte dei casi, e di questo i genitori che leggono potranno rassicurarsi, le crisi dei bambini sono evolutive e fondamentali. Come in ogni altra situazione di passaggio significativa, l’essere umano sperimenta una crisi, ma anche un cambiamento rispetto allo stato iniziale di equilibrio. A due anni, come si può intuire dalla narrazione, i bambini cominciano ad acquisire una serie di competenze, tra cui quella del controllo sfinterico, possono muoversi con più sicurezza nell’ambiente e cominciano a pronunciare le prime parole di significato. Il raggiungimento di tali traguardi viene vissuto dai bambini con forte orgoglio e con il bisogno di “marcare” il proprio territorio. La fiducia in se stessi aumenta e ci si deve assicurare il controllo e il possesso sia del proprio corpo sia degli oggetti circostanti. Ecco perché in quella fase esordiscono con frasi come “NO! E’ mio!!”.

Ma questo è un discorso limitato alla teoria psicologia o ci sono delle evidenze scientifiche?

Anche le ricerche di neuroscienze dello sviluppo hanno confermato che durante l’infanzia il bambino non possiede ancora un cervello completamente sviluppato, ma è comunque molto plastico e in continua trasformazione. Pensate che il completamento della corteccia prefrontale, l’area più evoluta e deputata alle funzioni più sofisticate, come il pensiero, la logica, la pianificazione avviene solo a venticinque anni! Ogni volta che il bambino compie una nuova esperienza si attivano le connessioni tra i neuroni, ossia le sinapsi. Quest’ultime, intrecciandosi tra loro, generano reti di “impalcature” che sono alla base della successiva costruzione della propria identità e personalità. Attraverso il gioco e l’imitazione i bambini apprendono e si nutrono non solo a livello relazionale, ma anche cerebrale. Gli studi di neuroimaging hanno evidenziato, inoltre, l’attivazione dei neuroni a specchio, proprio quando si osserva e si imita il comportamento dell’altro (al “no” si reagisce con un altro “no”).

Per favorire un sano sviluppo psico-fisico è allora di fondamentale importanza che i genitori sostengano nella relazione queste “impalcature”, aiutando il bambino a creare idealmente un “ponte” di comunicazione tra pensiero, emozioni e comportamento; tre regioni interdipendenti che se durante la crescita resteranno il più possibile collegate, grazie a un rapporto sicuro con le figure primarie e significative, consentiranno lo sviluppo e il consolidamento dell’autocontrollo, dell’autoconsapevolezza e dell’intelligenza emotiva.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.

Non voglio fare le nanne!

Non voglio fare le nanne! Come vivono i bambini l’addormentamento e il sonno.

“E’ sera. Mamma e papà, che ancora stanno terminando di sistemare la nuova libreria in sala, mi dicono che è ora di fare le nanne e, allora, andiamo tutti insieme a lavarci i denti. Purtroppo devo lasciare sul tavolo un puzzle degli animali che stavo completando, ma lo finirò domani. Uffa! Non è che abbia proprio voglia di andare a dormire, vorrei finire il mio gioco e poi iniziarne un altro, ma domani devo andare alla scuola materna e sono un po’ stanchino.

Mentre mamma impila qualche scatolone del trasloco, che abbiamo fatto ieri, vado verso il bagno e prendo il mio spazzolino verde e spazzolo forte i denti, come mi ha insegnato papà. La mamma nel frattempo arriva e mi porge il mio pigiamino preferito, che mi fa sentire come spiderman, perché è proprio uguale a quello del supereroe. Lui, infatti, ogni notte mi protegge dai mostri cattivi che si intrufolano nei miei sogni e che mi fanno avere tanta paura. Spiderman mi dà la forza per sconfiggerli e cacciarli via.

La mamma mi accompagna nella mia nuova cameretta: si sente ancora l’odore di pittura ed è tutta azzurra, come la volevo, anche se alcuni giochi sono ancora negli scatoloni! Il desiderio di restare sveglio tutta la notte per aprire gli scatoloni e ritrovare i miei giochi è forte e mi accompagna, mentre entro malvolentieri nel letto. Lì però trovo il mio orsetto preferito, compagno di tutte le mie avventure, sempre al mio fianco sia nei momenti di pianto sia in quelli di gioia, e, anche se ora è un po’ consumato, forse perché è invecchiato, resta sempre per me il mio pupazzino di fiducia, che mi consola quando mamma e papà non sono lì con me.

Il papà, sentendomi lamentare, mi rimbocca le coperte e mi dice con affetto “Dai, dormi bene! Buonanotte, piccolo!”, dandomi un bacio sulla fronte. Poi la mamma ed io, prima di salutarci, dedichiamo gli ultimi minuti insieme alla lettura di una favola. Quando la mamma mi legge le storie di personaggi, come principi che salvano le fate, streghe cattive che fanno sortilegi, folletti simpatici e strani del bosco, fatine buone, orchi malefici e valorosi guerrieri, ascolto la sua voce soave che mi tranquillizza e mi calma, aiutandomi pian piano a rilassarmi e ad entrare nel mondo dei sogni…

Sembra tutto quieto, ma all’improvviso mi accorgo che mamma e papà non ci sono più! Diventa tutto scuro e compare un ragno che diventa sempre più grande. E’ enorme e spaventoso, con i suoi artigli giganti! E’ lui che ha portato via i miei genitori in un’altra casa, lasciandomi qui da solo! Che ne sarà di me? Mi mangerà?… Mi sveglio con il cuore in gola. Era solo un brutto sogno. Ora sono nel lettino con il mio orsetto e va tutto bene..mi posso riaddormentare senza chiamare mamma e papà.”

L’addormentamento è una fase di passaggio tra la veglia e il sonno, per cui ci si lascia andare e abbandonare ad un tempo e uno spazio, sui quali non si ha molto controllo, in cui si lasciano per qualche ora le persone e i luoghi conosciuti, per entrare in un mondo ignoto, nel quale, attraverso i sogni possono verificarsi eventi strani e diversi da quelli della realtà. E questo vale sia per i bambini che per gli adulti. Tuttavia per i bambini, specialmente i più piccoli, il sonno può rappresentare un porto insicuro, un mondo popolato da incubi, per cui è preferibile restare svegli, tormentando la quiete notturna dei genitori. Pertanto è importante che mamma e papà garantiscano, specialmente nelle ore serali, tranquillità e serenità in casa, per aiutare i propri figli a lasciarsi andare al sonno con più facilità.

Nel racconto che vi ho riportato emerge come questo bambino, per quanto abbia due genitori affettuosi e attenti, che gli hanno trasmesso uno schema di abitudini che precedono le nanne, come lavarsi i denti, mettersi il pigiama, ricevere il bacio della buonanotte e leggere una storia, abbia trovato una modalità specifica per sconfiggere i fantasmi della notte e le cose che lo preoccupano di più: gli incubi. In particolare in questo sogno spaventoso il bambino rievoca la paura di rimanere solo, legata a una probabile situazione stressante che sta vivendo in famiglia a causa del trasloco.

Infatti eventi nuovi, come il cambio di una casa, la nascita di un fratellino, o i passaggi evolutivi importanti, come lo svezzamento, l’ingresso al nido o a scuola, possono avere un impatto significativo anche sul sonno, e nei casi peggiori creare anche una serie di disturbi. Tra questi ricordiamo: le irregolarità del ritmo sonno-veglia, difficoltà nell’addormentamento, incubi costanti, “pavor nocturnus”, paralisi del sonno e sonnambulismo.
Le cause possono essere molto varie: come ad esempio, quelle organiche (difficoltà respiratorie), quelle situazionali (non avere specifici orari, ritmi e regole, che possano garantire la routine dell’accompagnamento sicuro al sonno) e quelle emotive (in compresenza con situazioni stressanti, conflitti familiari o angosce profonde, anche a livello transgenerazionale).

Considerato il fatto che il sonno è un fenomeno fisiologico essenziale per l’organismo, perché permette di “ricaricarsi”, nutrendo le aree cognitive, come la memorizzazione, attenzione e l’apprendimento, e migliorando le difese immunitarie e l’umore, in assenza o in carenza di esso le diverse aree della nostra vita ne risentiranno. Quindi è importantissimo che sia i genitori sia il bambino riescano a dormire per un totale di ore necessario per far fronte ad ogni giornata e che, in presenza di disturbi del sonno, si prendano accorgimenti in breve tempo per garantire un’adeguata qualità della vita.

Quando il proprio figlio presenta un prolungato problema di insonnia o altri disordini del sonno, risulta indispensabile prendere in considerazione l’intervento di uno specialista, come uno psicologo dell’età evolutiva o un neuropsichiatra infantile, che aiuti i genitori a comprendere e affrontare la problematica nella sua complessità e specificità.
Tuttavia, sebbene non esistano delle ricette preconfezionate per far dormire i propri bimbi, credo che sia importante tenere bene a mente questi passaggi, ma anche il fatto che ad esempio è utile fornire l’“oggetto transizionale”, scelto dal bambino durante la fase dell’addormentamento, come l’orsetto del bambino del racconto. Per “oggetto transizionale”, si intende un gioco, un pupazzino o una copertina che il bambino tiene vicino a sé per consolarsi in assenza delle figure genitoriali e che li rappresenta.
Inoltre, dato che non tutti i bambini sono uguali, c’è chi ha più bisogno e chi ne ha meno di essere rassicurato dalle proprie paure e, di conseguenza, anche i tempi dell’addormentamento possono essere molto variabili. Sicuramente l’ansia eccessiva di alcuni genitori proprio nei confronti del sonno del bambino, viene da lui percepita e interiorizzata, e quindi lo angoscia ancora di più e non lo aiuta!
Infine un altro suggerimento può essere quello di leggere al bambino delle favole che, oltre a favorire l’addormentamento, favoriscono le capacità linguistiche del bambino, sviluppano la memoria uditiva e nutrono l’immaginazione e la fantasia.

Quindi, cari genitori, non preoccupiamoci troppo se nostro figlio la notte si sveglia o fa degli incubi, in quanto questi sono il segnale che il processo di maturazione mentale e di immaginazione creativa sta crescendo, permettendo al bambino di crearsi naturalmente un mondo fantastico, che dia un senso profondo alla sua esistenza. Se, invece, il bambino fatica ad addormentarsi, specialmente se è molto piccolo, spesso è a causa dell’ansia da separazione dai propri genitori, cioè dalla paura di perderli quando ci si addormenta. Perciò è bene far addormentare il piccolo nello stesso posto in cui si sveglierà, per evitare possibili disorientamenti. La buona notizia è che i problemi del sonno nel bambino con l’età tendono a sparire spontaneamente, ma in ogni caso, se dovessero ripresentarsi o faticare a risolversi, esistono figure sanitarie specializzate che potranno esservi eventualmente d’aiuto, a partire dal pediatra o dallo psicologo infantile.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.

L’importanza della figura paterna

La figura paterna e sviluppo del bambino

 

“Alcuni risvegli sono più turbolenti di altri. Mamma, tirami fuori da questa culla! Le lenzuola sono scomode e sanno di detersivo! Sono stanco di dormire e sono un po’ nervosetto! Mamma, ti prego, accoglimi tra le tue braccia, le più morbide che esistano, e fatti annusare e toccare dalle mie manine… Ora che sono appoggiato al tuo petto sento il tuo respiro, che calma il mio pianto, ma resta un’inconsolabile bisogno, a cui nemmeno io so dare una spiegazione.

Mamma, che disperazione! Nemmeno le tue carezze, i colpetti sulla schiena e le tue ninne bastano a tranquillizzarmi. Mamma, percepisco l’affetto e il calore che mi trasmetti, e anche le fatiche e gli sforzi che fai per calmarmi… Lo sento dal tuo cuore, che aumenta ogni minuto, di battito in battito… Ma tutto questo non è sufficiente per consolare il disagio che sto provando, che non è dato dal sonno né dalla fame né da un dolore fisico… ma dalla noia! Sento una voce familiare che dice:” Tesoro, sarai stanca, provo io a calmarlo!”.


All’improvviso mi sento catapultato in un vortice, per cui perdo il contatto della mamma, sono sospeso per aria e il fastidio aumenta! Mamma, dove sei finita?! In poco tempo, però, succede qualcosa che capovolge la situazione. Spunta all’improvviso una faccia barbuta e sorridente, che mi vien voglia di toccare, come quella della mamma. La sua voce è così calma, come il suo respiro e questo mi infonde tranquillità. I riccioli della sua barba sono così soffici da prendere tra le mie ditine, e il suo corpo è così caldo e spazioso, tanto da sentirmi avvolto e protetto da esso. La calma dopo la tempesta…

il gioco delle facce e dei versi! Lui mi sorride e spalanca la bocca e anche a me viene spontaneo imitarlo! Inizia uno scambio di espressioni buffe e di versetti. Io lo chiamo e lui mi risponde. E’ proprio divertente! Finalmente qualcosa, che mi allontana sempre di più da quel disagio, che pian piano si cancella dalla mia memoria… E, allora, cosa potremmo offrire in cambio a questo bel faccione, per ricordarlo, come colui che è arrivato, dove la mamma non è riuscita, che mi ha calmato attraverso il gioco e l’affetto? Diamogli un nome! Sarà, al pari della mamma, una figura, che spero che mi starà vicina per tutto il resto della mia vita. Eccolo! :”Pa..Papà!”.

Attraverso la storia di questo bambino, che dice per la prima volta la parola “papà” , vi ho raccontato come la figura paterna entra a far parte pian piano della vita dei piccoli, prima come figura di supporto a quella materna, attenuando le sue fatiche, ma che, poi, viene riconosciuta anche dal figlio, in quanto significativa e unica per la sua crescita. Se la psicologia in passato ha riconosciuto principalmente l’importanza della figura materna, negli ultimi decenni si sta riscoprendo anche il valore del padre, che con le sue funzioni normative, ma anche protettive, svolge un ruolo fondamentale per i figli. Infatti la presenza di un terzo, nella relazione duale, pone le basi per lo sviluppo delle relazioni sociali di quel bambino.

Come avrete potuto leggere nei miei articoli precedenti, nei primi mesi il bambino e la mamma sono uniti in un legame fusionale, in cui lo stato emotivo di ciascuno è interdipendente da quello dell’altro. Il corpo del neonato si adagia tra le curve della madre in modo armonico e da lei viene sostenuto e avvolto, come se fosse ancora dentro la pancia. Il pianto del bambino viene consolato di volta in volta tramite la sintonizzazione con la figura materna, la quale impara pian piano a interpretare i bisogni del figlio. Tuttavia, nonostante si sia strutturato un legame così speciale e profondo tra i due, ci sono dei momenti, in cui la frustrazione del bambino può non essere adeguatamente contenuta dalla sua mamma, che magari non riuscendo a consolarlo può provare dei sofferti sensi di colpa e non sentirsi una madre abbastanza brava a riconoscere i bisogni del figlio. In realtà sono queste le occasioni, in cui il bambino ha la possibilità di sperimentare e di trovare delle modalità per auto consolarsi e in cui può rinforzare il suo senso di sé, riconoscendosi pian piano come “soggetto distinto e agente”, desideroso di esplorare ciò, che sta intorno a sé, tra cui anche il padre. Quest’ultimo, se inizialmente non veniva quasi percepito dal bambino, troppo intento a instaurare un legame simbiotico con la sua mamma, fin da quando il piccolo è nella pancia, esercita delle funzioni specifiche di protezione e supporto.

Durante i primi mesi di vita, infatti, il papà ha il compito di proteggere la coppia mamma-bambino, inserendosi pian piano tra di loro e diventando una figura fondamentale per il piccolo. Nel corso della crescita, poi, favorendo un graduale distacco dalla figura materna, aiuterà il bambino a rivolgere la sua attenzione verso il mondo esterno e a sviluppare le principali competenze sociali. E’ quindi importante che fin dalla nascita il padre non si metta da parte, lasciandosi escludere, ma continui a essere presente a fianco della madre, sostenendola in questo passaggio dalla coppia al trio familiare.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.

Lo sviluppo emotivo dalla gravidanza all’infanzia: scopriamolo attraverso gli occhi dei bambini.

“Vita intrauterina. Il marasma più completo. Tutto è fuso insieme e c’è la sensazione di essere piacevolmente immersi in una bolla piena di acqua calda. Tutto è tranquillo e ha lo stesso profumo… All’improvviso le acque si agitano, si sente anche da dentro questa irrequietezza, tutto si muove e si confonde. Dei rumori forti arrivano, da non si sa dove e alimentano questa sensazione di agitazione. Poi torna tutto tranquillo e piacevole… Che bello stare qui!


La nascita. Il Big Bang, una luce abbagliante mi colpisce. Tutto arriva diretto. Suoni, immagini, stimoli. Non ovattati, come prima. Dove sono capitata?! Dov’è finita quell’acqua termale, in cui dormivo pacificamente? Aiuto! Malessere… malessere finchè non sento di nuovo quella voce dolce e acuta… quel profumo, quella morbidezza e quel calore, che mi tranquillizzano e mi fanno ritrovare la pace di un tempo… lontano.


Passano i mesi. Ormai il suo viso è diventato familiare. Quando lo vedo provo piacere e il suo sguardo mi fa sorridere. E’ la mia mamma. Anche se siamo una cosa sola. Infatti quando è preoccupata per qualcosa, anche io mi sento agitata perché mi accorgo che non mi guarda più. Quando non è a suo agio, sento rumori troppo forti, confusione, voci che non mi piacciono. Mi sento sparire! Mamma, guardami! Finalmente il suo sorriso torna a rispecchiarsi nei miei occhi e la sua voce, calma e giocosa, mi fa sentire tranquilla.

Entrambe siamo quiete. All’improvviso compare qualcosa di morbido e colorato, che mi fa spostare l’attenzione da lei. Sembra interessante! Sono curiosa e, per confermare questa ipotesi, lo avvicino alla bocca con le manine. Lo assaggio. Buono! Cerco di addentarlo, ma mi sfugge dalla bocca. La saliva non aiuta! Lo assaggio ancora, ma non ha quel sapore dolce e caldo che pensavo… non sa di niente! Che fastidio! Basta, lo allontano, e cerco quello che, invece, mi piace tanto! Dov’è?? … Mamma, ho fame! Non vedi che mi dimeno e piango? Di nuovo a contatto con lei. Coccole… Mi sento cullare, mi arrivano carezze sulla schiena, il suono piacevole della sua voce arriva alle mie orecchie.. ma è quel suono ripetuto, un po’ noioso, che sento quando è ora di dormire! Ma, mamma, io non ho sonno! Ho fame! Non senti il mio lamento? Finalmente sono di nuovo a contatto con quella morbidezza, quel profumo di mamma… La mia bocca si avvicina a quella fonte di piacere. Traguardo, mamma! Ora siamo di nuovo un tutt’uno.

Un anno di vita. Mamma, in questi mesi ho imparato tante cose. Tu sei la mia preferita, ma ci sono altri volti che mi piacciono e mi fanno divertire. Alcuni, invece, non li conosco e mi fanno spaventare, ma poi so che, se piango forte, tu mi senti e mi proteggi. Anche io, adesso, riesco a muovermi di più e posso fare tantissima strada da sola. Raggiungo il mio tappetino morbido e i miei giochi, che mi piace tanto prendere in bocca perché mi ricordano il tuo sapore.

In particolare, c’è un orsetto che ha il tuo stesso profumo, è piacevole al tatto e mi tiene caldo, come te. Infatti nei momenti in cui sono triste o arrabbiata e tu non ci sei, stringo forte il mio orsetto, come quando tu abbracci me, e mi sento meglio. Se, invece, l’orsetto è lontano e non ho voglia di gattonare per andare a prendermelo, ho trovato un’altra soluzione, mamma. Il mio pollice! Non è proprio saporito, ma succhiarlo mi fa sentire meno sola.

Primi anni. Arrivano dei sentimenti nuovi, mai provati prima. Colpa. Mamma, mi spiace, ma io sono io, e non sono te, anche se mi piace tanto stare con te. Mamma, è colpa mia? Ho scoperto quanto è bello stare con il papà, giocare con lui e ridere insieme. Mi piace la sua voce e quando mi porta sulle spalle, vedo tutto dall’alto e mi sembra di volare. Che ridere! Mamma, non soffrire per questo ok? Rabbia. Da quando è nato il mio fratellino, non sento più tutte quelle attenzioni che mi venivano date prima. E poi, i miei giochi sono i miei! Non voglio che me li rubi! Invidia.

Da quando è nato il mio fratellino, papà mi ha fatto tanti regali. Mi ha portato due bambolotti con il biberon. Sono ancora piccoli, a loro piace solo il latte, ma non sanno quanto sono buone le pappe! Poi mi ha regalato il castello delle fate. Adoro le fate e anche io vorrei un mondo così! Però io ho solo questi giochi, mentre il mio fratellino ne ha molti di più! Non è giusto! Io, però, sono più grande di lui e so fare molte più cose!

Infanzia. Mamma e papà, sono passati un po’ di anni e ho imparato tantissime cose! Ora dico tante parole, so correre veloce, sono diventata bravissima a fare le ruote e ho tanti amici. Alcuni, a volte, a scuola piangono e, allora, li abbraccio e tutta la tristezza scompare! Le mie amiche preferite sono Maria, Roberta e Sara. Con loro gioco a fare le principesse, ballo e invento le canzoni! Mi piace immaginare le cose e giocare con la fantasia, pensare di volare e di finire in un mondo incantato! Da grande farò la ballerina!”

In queste righe ho voluto rappresentare la storia di una bambina dalla sua prospettiva e come la sua crescita abbia influito sullo sviluppo delle sue emozioni, con l’obiettivo di aiutare i genitori a immedesimarsi in questo profondo processo di acquisizione e vedere con gli occhi dei propri bimbi i progressi man mano raggiunti. Come si può intuire da questo racconto, i sentimenti sono già presenti nella vita intrauterina, a livello di sensazioni piacevoli o spiacevoli e percepiti attraverso una “proto-coscienza”. L’ambiente emotivo attraverso la placenta raggiunge il feto ed esercita un’influenza su di lui. A differenza di quanto si pensa, numerose ricerche hanno dimostrato che i neonati sono creature che non si limitano solo a mangiare e dormire, ma possiedono una sensibilità sofisticata. L’Infant Research e l’Infant Observation testimoniano che i neonati riconoscono l’odore e il viso della mamma e sanno fare distinzioni tra suoni e sapori diversi.

Inizialmente il legame che c’è tra il piccolo e la sua mamma è fusionale, per cui il neonato non si sente un essere distinto da lei, ma si percepisce come un’unità duale. Attraverso il rispecchiamento emotivo materno il bambino si sente amato e apprezzato. Poi, quando il piccolo raggiunge dei traguardi specifici, come camminare, fare la cacca nel vasino, parlare, scopre di avere un corpo e capisce di essere qualcosa di separato dalla sua mamma. Nasce, quindi in lui il desiderio di autoregolare la propria emotività e sentirsi autonomo nelle sue conquiste. Oltre alla mamma il bambino sperimenta anche l’amore del papà e da esso ne è attratto. Col tempo le emozioni si diversificano sempre di più, in relazione ai legami sociali che il bambino costruisce. Inizia a provare vergogna, senso di colpa, invidia e altri sentimenti sempre più complessi. L’ingresso a scuola, in particolare, dà il via a un generarsi di stati emotivi diversi e allo svilupparsi di una sensibilità sempre più affinata. I bambini, quindi, a questo punto, sono in grado di immedesimarsi e di provare empatia, che è alla base dei comportamenti pro-sociali futuri.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva.

2 Ottobre – Festa dei nonni

Scopriamo insieme alla dott.ssa Giulia Spina l’importanza di queste figure significative per i bambini.

Il 2 Ottobre è considerata la festa dei nonni perché nella stessa data la Chiesa festeggia gli Angeli. I nonni, quindi in occasione di questa festa, istituita nel 2005, sono stati paragonati a degli Angeli custodi per i loro nipotini.
In effetti è proprio così; molti nonni crescono i figli dei loro figli, si occupano di loro, ci giocano e rappresentano per loro delle figure educative e normative, quasi quanto i genitori. I nonni fanno di tutto perché i propri nipoti crescano felici e sani, addirittura a volte più di quanto abbiano fatto per i propri figli.

Forse la maggior distanza di età, ma anche l’esperienza di vita che sicuramente per un anziano conta molti anni di sacrifici, fatiche, conoscenze, affetti, rendono il rapporto con i propri nipoti qualcosa di unico e magico. La relazione che ognuno di noi ha instaurato con il proprio nonno sarà stata probabilmente qualcosa di prezioso che conserveremo gelosamente nei nostri ricordi per tutta la vita.

Quando nasce un nipotino i nonni si sentono genitori per la seconda volta e questo li fa sentire come “rinati” e dotati di nuovi legami importanti.
I nonni nelle generazioni precedenti ci hanno insegnato a giocare a carte, a ripetere a memoria le tabelline, a cantare le canzoni popolari, raccontandoci molto della propria infanzia e del proprio passato. Non mancavano mai esclamazioni del tipo “Eh, ai miei tempi le cose erano diverse! C’era molta più povertà”, piuttosto che “Un tempo a scuola non c’erano tutti questi libri!”.

Oggi i nonni sono rimasti delle risorse fondamentali nel processo di crescita di ogni bambino perché rappresentano un collegamento tra la tradizione e la realtà tecnologica moderna. Infatti navigando sul web capita a volte di vedere dei video, in cui i ragazzini hanno coinvolto anche il proprio nonno e/o la propria nonna. Ormai tutti i nonni sono dotati di un cellulare e qualcuno usa perfino Whatsapp! Sono nonni moderni che mantengono, comunque, ancora vivo nel tempo lo spirito delle tradizioni antiche.

Il progresso della medicina ha permesso a molti nonni anziani di mantenere uno stile di vita salutare, prevenendo l’insorgenza di malattie e intervenendo in caso di bisogno. Tuttavia i nonni rimangono delle figure molto fragili, possono sentirsi soli, ad esempio nel caso in cui rimangano vedovi e i figli si dimentichino di andarli a trovare, e richiedono moltissimo l’amore da parte dei propri nipotini.

Perciò il mio invito a tutti i bambini è quello, se possibile, di festeggiare con i propri nonni questa data, magari preparando per loro un piccolo dono o una letterina!

Alla mia nonna, Elide Cazzago, che ci guarda da lassù..
Dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva.

Si torna sui banchi: le emozioni che accompagnano i primi giorni di scuola elementare.

E’ settembre. Da qualche giorno è ricominciata la scuola. Anche per quest’anno salutiamo i luoghi piacevoli, in cui abbiamo trascorso le vacanze e che ci hanno tenuto compagnia: “Ciao!” al mare, “Al prossimo weekend di sole!” al lago e “Ci vediamo a Natale!” alla montagna.

Con qualche lacrimuccia presto saluteremo, ahimè, anche l’abbronzatura e il caldo. Oltre alla malinconia, che i bambini, ma anche noi adulti proviamo nelle fasi di separazione, c’è anche l’ansia che accompagna sempre le novità della vita. Che ne sarà del mio bambino? Ce la farà a compiere questa nuova avventura? Si troverà bene con le maestre? Socializzerà con i compagni?

Immaginiamo che questi due elementi astratti, l’ansia e la novità, prendano forma e si personifichino, un po’ come accade nel film “Inside out”, in cui le emozioni sono rappresentate con dei personaggi con identità e colori distinti. Ci troveremmo di fonte ad Ansia che sta a braccetto con Novità, camminando sempre insieme. A un certo punto si avvicina Curiosità e tutte e tre iniziano a saltellare, felici e entusiaste, per il loro percorso.

Questa è una rappresentazione simpatica di ciò che accade nel bambino quando torna tra i banchi di scuola o quando fa, per la prima volta, il suo debutto alle elementari. Certamente l’ansia è tanta, ma anche la curiosità e la voglia di scoprire un mondo nuovo, fatto non solo di giochi, ma anche di acquisizioni, di voti, di maestre e di compagni. Quando l’ansia viaggia insieme alla curiosità, allora possiamo stare tranquilli e tirare un sospiro di sollievo. La curiosità ci spronerà e l’ansia ci farà stare sull’attenti, pronti a recepire qualsiasi nuovo stimolo e ad assorbirlo come una spugna. E’ così che i bambini arrivano a scuola, con zaini fiammanti e all’ultima moda, astucci scintillanti, quaderni nuovi e, soprattutto, il diario!

Alcuni genitori lamenteranno le ore infinite perse dietro alla scelta del diario e altri si sentiranno sollevati dal confronto con loro perché, grazie al cielo, tra il loro figlio e il diario, invece, è stato un colpo di fulmine! In ogni caso penso che la scelta di questo strumento sia fondamentale e motivi molto lo studente a frequentare con profitto l’anno scolastico. Il diario è un oggetto molto personale e va scelto con cura perché, poi, i bambini ne fanno qualcosa di unico ed esclusivo nel corso dei mesi, inserendoci canzoni, poesie, dediche dei compagni. Non è solo un’agenda in cui segnare i compiti, ma è un mezzo con cui il bambino racconta qualcosa di sé.

Questi sono gli strumenti con cui l’alunno si sente attrezzato nell’affrontare il suo debutto alle elementari, in cui le aspettative degli insegnanti sono molto più definite e complesse. Infatti ora, rispetto alla materna in cui le richieste delle maestre si limitavano alla partecipazione alle attività e a un minimo rispetto delle regole, come quello di stare in fila o di aspettare il proprio turno, ci si aspetta che ogni studente impari a rispettare le regole, ad auto-regolare il proprio comportamento verso gli altri, ad ascoltare ciò che viene detto e spiegato, a rispettare i tempi e le scadenze, a studiare e a fare i compiti. Sono tantissimi gli obiettivi da raggiungere, che richiedono, ciascuno a proprio modo, un enorme adattamento da parte del bambino e non sempre possono essere in armonia con i suoi bisogni, perché ognuno implica dei limiti. Questi ultimi però non devono essere vissuti come degli ostacoli, ma come delle modalità con cui i bambini possono ritrovare la propria identità e separarsi pian piano dal legame inseparabile che avevano con la mamma.

Alcune regole saranno impartite dalle maestre in modo chiaro, come quelle di stare in silenzio e concentrarsi, anche se altre saranno più implicite e meno facili da afferrare dai bambini. In ogni caso ciò che dirà l’insegnante diventerà una regola universale per tutti i compagni “Bisogna sederci tutti per terra perché lo ha detto la maestra!”. A volte questo accadrà anche fuori dal contesto scolastico, tanto che in alcune occasioni saranno le regole della maestra a prevalere su quelle del genitore. Inoltre man mano che il bambino si inserirà sempre di più nel contesto classe, sentirà maggiormente il bisogno di farne parte, di non esserne escluso e anche di sentirsi “grande”. Negli anni della primaria infatti i bambini oscillano spesso tra il bisogno di dipendenza e quello di autonomia, dalla stima di sé all’insicurezza, dalla razionalità all’impulsività perché devono ancora trovare la propria strada. Ed ecco che mamma e papà cominceranno a chiedersi “Ma che ne è del nostro piccolo?” “E’ lo stesso di prima?” “Perché sta cambiando?” “Io alla sua età ero diverso!”.

Sicuramente molti genitori si immedesimeranno nel proprio figlio e riporteranno alla memoria ricordi della propria infanzia per cercare degli elementi in comune con la storia attuale del proprio bimbo e per provare a capire i suoi vissuti. Cari genitori, può essere che il vostro bambino sia diverso da voi in certi aspetti, abbia interessi anche completamente opposti dai vostri, prenda voti più bassi di quelli che prendevate voi, ma questo non significa che non saremo pronti a sostenerli e a dar loro fiducia ogni giorno. Aiutiamoli davvero nella spinta verso l’autonomia e la sperimentazione di sé, possibilmente in un clima familiare tranquillo; crediamo in loro e nelle loro capacità, anche se questo può generare in noi l’insicurezza di non averli preparati abbastanza o di non essere stati dei genitori sufficientemente bravi; lasciamoli provare, ma allo stesso tempo, qualora ne avessero bisogno, offriamo loro il nostro appoggio.
Dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva.

Primo giorno d’asilo.

Andiam, andiam, andiamo all’asilo nido: l’impatto emotivo di questa fase di passaggio sul bambino e sul genitore.

“Un posto nuovo. Diverso da casa. Sembra un po’ l’oratorio o un parco. C’è molto rumore: bambini che corrono, quelli che sembrano mamme e papà che salutano, altre figure mai viste. Tantissima confusione! Non mi piace questo posto. Dove sono finito? La mamma mi tiene la mano. Vicino a lei mi sento al sicuro. Sposto il mio sguardo, in alto, verso di lei. Mamma, è questo il posto bello di cui mi parlavi? Mamma, tienimi la mano, non voglio lasciarti! All’improvviso arriva una figura che mi parla. Ha una voce gentile e dolce, come quella della mamma. Ma non è la mamma. Singhiozzi… Mamma, non vorrai lasciarmi qui?! Gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime, le pieghe della bocca si inarcano verso il basso..

Mamma, dici che qui mi divertirò, che conoscerò altri bambini, che farò tanti giochi. Ma io voglio la mia mamma e il mio papà! Mi sento agitato, tutto il corpo è teso, le lacrime stanno per traboccare. Piango. Le lacrime scorrono copiose davanti ai miei occhi come una cascata in piena. Singhiozzi… Un po’ di muco mi scende dal naso, come quando ho il raffreddore. Tiro su col naso. La mamma mi consola. La figura con la voce simile alla mamma anche. E’ la mia maestra e quelli intorno a me sono i miei nuovi compagni. La mamma mi abbraccia. Sento il suo profumo che sa di casa. Mi dice che finito l’asilo verrà a prendermi e che andremo a mangiare un gelato con la mia sorellina. Vedo intorno a me, con gli occhi ancora un po’ appannati dal pianto, uno scivolo colorato nel prato. Mi sfrego gli occhi con la manica del grembiulino. Sembra un parco giochi! Un bambino mi prende la mano e mi chiede di andare a giocare con lui. Tiro su col naso. Ciao mamma, ci vediamo dopo! Sorrido e corro tenendo la mano al mio nuovo amico.”

Quello che ho raccontato è un possibile scenario dell’ingresso all’asilo nido di un bambino che, di fronte a uno dei primi distacchi importanti dalla propria mamma, reagisce piangendo con disperazione. Anche se poi, dopo essere stato rassicurato, riesce a separarsi da lei, incuriosito da un ambiente nuovo e desideroso di fare nuove amicizie. Ovviamente la reazione di ogni bambino in questo delicato passaggio può essere anche molto diversa l’una dall’altra. Ad esempio ci sono bimbi che soffrono molto la separazione e hanno bisogno di un tempo maggiore di adattamento oppure c’è anche chi non sembra preoccuparsene più di tanto.

Ci tengo molto a far presente due aspetti significativi: il pianto del bambino, a meno che non sia eccessivo, non è indice di disagio, ma di espressione dei propri bisogni. I bambini possono reagire in modo diverso a volte mostrando segnali di disagio oppure adattandosi senza troppa fatica.

Il pianto è una reazione fisiologica del bambino a una situazione per lui diversa dal solito, stressante, incomprensibile o faticosa. E’ una modalità con cui ci fa sentire che ha bisogno di qualcosa, della nostra presenza, di un’ulteriore rassicurazione. Non è sempre un capriccio. Quindi un momento particolare come l’ingresso all’asilo può essere che non venga proprio “digerito” in modo pacifico dal bambino. Allora genitori, non preoccupiamoci troppo se il nostro bambino si lamenta, piange più degli altri o fatica a separarsi.

Sicuramente al piccolo gioveranno tutte le manifestazioni possibili di affetto dei suoi genitori, l’essere consolato e aiutato a capire che questo passaggio è fondamentale per la sua crescita e che anche se finora si sono occupati di lui solo mamma e papà, o magari anche i nonni, ci saranno altre figure importanti che lo sosterranno. Ma mamma e papà ci saranno sempre e comunque.
Allora quali sono i bambini che reagiscono in modo più sicuro? Quelli che, malgrado possano manifestare una certa titubanza o fastidio rispetto alla separazione dai propri genitori, riescono pian piano ad adattarsi e partecipano in modo attivo alle proposte di gioco dei compagni e delle maestre.

E quali sono invece i bambini che possono nascondere un disagio emotivo? Sia quelli che impiegano molto tempo ad adattarsi all’ambiente dell’asilo, che non tollerano la separazione dalla mamma e che reagiscono isolandosi alle proposte di attività; sia i bimbi che, al contrario, non manifestano alcun disagio, si staccano dalla mamma senza problemi, anche se poi non sono in grado di costruire buone relazioni con gli altri bambini, sono insofferenti o magari rompono i giochi. I primi sono stati abituati a stare solo con la mamma, che magari per ansie o preoccupazioni personali, non ha molto permesso al proprio figlio di esplorare l’ambiente e scoprire nuovi stimoli; al contrario i secondi non hanno consolidato un legame affettivo unico con la propria mamma e non hanno sperimentato davvero che cosa significhi essere amati.
E’ importante pertanto sottolineare che la reazione di ogni bambino dipende anche dal tipo di accompagnamento del genitore e quindi da quanto mamma e papà hanno rassicurato il proprio figlio in merito a questo cambiamento. I genitori dovrebbero offrire un biglietto di andata e ritorno al proprio bambino.

Non trascuriamo che il passaggio all’asilo nido può avere un impatto significativo anche sui genitori. Le mamme spesso possono essere preoccupate di lasciare per tante ore il proprio piccolo, oppure sentirsi sole, guardare con sfiducia alle maestre come figure che le sostituiranno nel loro ruolo genitoriale. I sentimenti che circolano sono tanti e coinvolgono tutto il nucleo familiare. Così come in ogni altro passaggio significativo della vita.
Come psicologa dell’età evolutiva, il consiglio che mi sento di dare alle mamme è quello di preparare anticipatamente i propri figli a questa delicata e importante fase di crescita, ma anche di distacco da loro, e rassicurarli sul fatto che i genitori finito l’asilo tornano sempre a prenderli. E soprattutto mamme, dite sempre a voi stesse che il vostro bambino, anche se è lontano, sta ogni giorno compiendo dei passi che lo porteranno a diventare sempre più grande e forte.

[Dott.ssa Giulia Spina]