Vulcani italiani sottomarini

Il bacino tirrenico è la parte più profonda del Mediterraneo occidentale: la Fossa del Tirreno raggiunge i 3800 metri di profondità. L’origine del Tirreno si inquadra in un ampio processo geologico che ha interessato tutta l’area mediterranea, legato alla convergenza tra la placca tettonica Eurasiatica e quella Africana. Il processo, iniziato 10 milioni di anni fa, contemporaneamente alla costruzione dei rilievi montuosi della catena appenninica, è contraddistinto da vulcanismo.

vulcani sottomarini italiaIl suo fondale è quindi caratterizzato dalla presenza di numerose dorsali sottomarine e da rilievi di tipo vulcanico.
In realtà, molti vulcani insulari o costieri hanno parti sottomarine estese. Ad esempio il 95% della superficie del vulcano Stromboli è sotto il livello del mare. Esistono però vulcani interamente sottomarini che possono avere dimensioni simili o maggiori rispetto a quelli in superficie.

I vulcani sottomarini sono molto difficili da studiare per la mancanza di accesso diretto. Ciò nonostante gli studi di geologia marina negli ultimi decenni hanno permesso una maggiore conoscenza della loro natura e del loro funzionamento. Osservazioni e prelievi di campioni vengono effettuati per mezzo di navi oceanografiche.

Nel caso dei mari italiani, l’attività vulcanica sottomarina è concentrata in alcune zone del Mar Tirreno e del Canale di Sicilia, dove la crosta terrestre è più sottile e fratturata. Alcuni vulcani sottomarini sono ancora attivi e talvolta manifestano la loro presenza rilasciando gas e deformandosi molto lentamente; altri ormai estinti rappresentano delle vere e proprie montagne sottomarine o seamounts. La loro attività risulta diversa da quella dei vulcani presenti sulla terra emersa, perché sono circondati dall’acqua marina, che raffredda rapidamente i prodotti emessi e talvolta frammenta il magma generando delle piccole esplosioni, i cui prodotti vengono in parte depositati sul fondo e dispersi dalle correnti marine.

Oltre ai più noti Marsili, Vavilov e Magnaghi, vanno ricordati i vulcani sottomarini Palinuro, Glauco, Eolo, Sisifo, Enarete e i numerosi apparati vulcanici nel Canale di Sicilia, dove le eruzioni sottomarine al largo di Pantelleria nel 1891 e al largo di Sciacca nel 1831 rappresentano le uniche testimonianze storiche di questo tipo di attività.

MARSILI – E’ il più grande vulcano d’Europa, con una lunghezza di circa 50km e una larghezza di 20km. Ha un’altezza di 3km rispetto ai fondali circostanti e la sua “cresta” si estende linearmente in direzione nord – nord est e sud – sud ovest per 20km, raggiungendo profondità inferiori a 1000m.

É formato da una serie di edifici vulcanici di dimensioni diverse. Il fianco occidentale è costituito da edifici conici, mentre quello nord-occidentale è caratterizzato da alcuni “vulcani a cima piatta” e da una scalinata di terrazzi lavici sovrapposti.

Benché non sia mai stata osservata un’eruzione in atto, l’attività del Marsili è testimoniata dalla circolazione di fluidi ad alta temperatura che depositano sul fondo marino solfuri di piombo, rame, zinco e ossidi e idrossidi di ferro e manganese.

VAVILOV – Il vulcano sottomarino Vavilov ha una lunghezza di 30km in direzione nord – nord est e sud – sud ovest, una larghezza di 15km e si eleva di 2,7km rispetto ai fondali circostanti.

L’elemento principale del vulcano è la forte asimmetria dei fianchi orientale ed occidentale: il primo è caratterizzato da numerosi apparati conici con una morfologia simile a quella del vulcano Marsili, mentre il secondo è più ripido e senza elementi morfologici di rilievo.

Attualmente è considerato inattivo.

PALINURO, GLABRO, ALCIONE, LAMETINI – Palinuro è un complesso vulcanico lungo circa 75km, composto da almeno 8 edifici maggiori allineati all’incirca in direzione est – ovest, mentre il Glabro si trova poco distante dal complesso vulcanico Palinuro, lungo lo stesso allineamento. La sommità di questi due vulcani è intorno ai 100m sotto il livello del mare.

Il vulcano Alcione e gli apparati gemelli dei Lametini si trovano in posizione intermedia tra l’allineamento Palinuro-Glabro e l’arco delle Isole Eolie. Sono vulcani conici, alti circa un migliaio di metri rispetto ai fondali circostanti.

EOLIE – Nell’apparato eoliano tutti i principali edifici sono emersi e hanno dato origine a isole, anche se esistono apparati minori, in particolare attorno all’allineamento Vulcano-Lipari-Salina. Ad ovest dell’arcipelago si trovano i tre apparati di Eolo, Enarete e Sisifo. Gli edifici sono allungati ed allineati in direzione nord ovest – sud est e alti circa un migliaio di metri. Eolo si contraddistingue per avere una sommità piatta. Nel Tirreno occidentale infine, poco ad ovest del vulcano Vavilov, si trova il vulcano Magnaghi, simile per struttura e genesi ai più grandi e più giovani vulcani Vavilov e Marsili.

CANALE DI SICILIA, ISOLA FERDINANDEA – Il Canale di Sicilia è una zona a vulcanismo diffuso poichè tettonicamente molto attiva. Questo vulcanismo, in parte ancora attivo, ha dato origine alle isole di Pantelleria e Linosa e a numerosi edifici vulcanici sottomarini, come Ferdinandea o Graham, Terribile, Senza nome, Nerita e Bannock, allineati principalmente in direzione nord ovest-sud est e nord-sud.

L’isola Ferdinandea si è originata nel 1831 – di fronte alla cittadina di Sciacca – per l’accumularsi dei prodotti dell’attività vulcanica. Questo piccolo cono vulcanico fu distrutto dal moto ondoso pochi mesi dopo, mentre il Regno delle due Sicilie, Inghilterra e Francia ne rivendicavano la sovranità assegnandogli diversi nomi: Ferdinandea, Graham e Giulia.

Oggi, l’apparato si trova ad una profondità minima di 20m sotto il livello del mare ed ha un’ attività di degassamento, con lo sviluppo di colonne di gas di decine di metri di diametro.

Una recente ipotesi interpreta il banco di Graham, insieme a quello di Terribile e Nerita, come l’espressione di un grande vulcano sottomarino, denominato Empedocle, di dimensioni simili all’apparato etneo. Mancano tuttavia ancora prove definitive per confermare questa ipotesi.

[“Fonte: Sito del Dipartimento della Protezione Civile – Presidenza del Consiglio dei Ministri”]

Vulcani italiani

Uno dei parametri considerati dalla comunità scientifica internazionale per classificare i vulcani italiani è lo stato di attività, in base al quale si suddividono in estinti, quiescenti ed attivi.

eruption-1838809_640

Vulcano Etna – Sicilia

Vulcani estinti.
Si definiscono estinti i vulcani la cui ultima eruzione risale ad oltre 10mila anni fa. Tra questi ci sono i vulcani Salina, Amiata, Vulsini, Cimini, Vico, Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina e Vulture.

Vulcani quiescenti.
Si tratta di vulcani che hanno dato eruzioni negli ultimi 10mila anni ma che attualmente si trovano in una fase di riposo. Secondo una definizione più rigorosa, si considerano quiescenti i vulcani il cui tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di riposo registrato in precedenza. Si trovano in questa situazione: Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. Tra questi, Vesuvio, Vulcano e Campi Flegrei, hanno una frequenza eruttiva molto bassa e si trovano in condizioni di condotto ostruito. Non tutti i vulcani quiescenti presentano lo stesso livello di rischio, sia per la pericolosità dei fenomeni attesi, sia per la diversa entità della popolazione esposta. Inoltre alcuni presentano fenomeni di vulcanismo secondario – come degassamento dal suolo, fumarole – che nell’ordinario possono indurre a situazioni di rischio.

Vulcani attivi.
Infine, si definiscono attivi i vulcani che hanno dato eruzioni negli ultimi anni. Si tratta dei vulcani Etna e Stromboli che eruttano frequentemente e che, per le condizioni di attività a condotto aperto, presentano una pericolosità ridotta ed a breve termine.

Vulcani sottomarini. L’attività vulcanica in Italia è concentrata anche nelle zone sommerse del Mar Tirreno e del Canale di Sicilia. Alcuni vulcani sottomarini sono ancora attivi, altri ormai estinti rappresentano delle vere e proprie montagne sottomarine. Oltre ai più noti Marsili, Vavilov e Magnaghi, vanno ricordati i vulcani sottomarini Palinuro, Glauco, Eolo, Sisifo, Enarete e i numerosi apparati vulcanici nel Canale di Sicilia.

Schermata-2013-10-10-alle-16.48.521-300x273 Guarda l’animazione

 

 

CONOSCIAMO MEGLIO I  VULCANI ITALIANI

 

STROMBOLI_________________________________________________________________________________
Stromboli - vulcanoStromboli è una delle sette isole che compongono l’arcipelago delle Eolie. E’ ritenuto uno dei vulcani più attivi al mondo, in considerazione della sua attività eruttiva persistente a condotto aperto, denominata appunto “stromboliana”. Ogni 10-20 minuti ricorrono, infatti, esplosioni di moderata energia, con lancio di brandelli di lava incandescente, lapilli e cenere fino a qualche centinaio di metri di altezza. Le esplosioni hanno origine da diverse bocche, allineate in direzione nord-est sud-ovest, situate all’interno di una terrazza craterica a circa 700m di quota nella parte alta della Sciara del Fuoco, uno dei versanti del vulcano.

Oltre all’attività esplosiva, cosiddetta “ordinaria”, i crateri sono periodicamente interessati da altre tipologie di esplosioni: quelle “maggiori” e quelle “parossistiche”. Le esplosioni maggiori posso verificarsi diverse volte l’anno e possono causare la ricaduta di materiali pesanti – blocchi rocciosi e bombe vulcaniche – nella parte alta del vulcano; mentre quelle Stromboli“parossistiche” hanno tempi di ritorno di qualche anno e possono lanciare materiali pesanti a maggiore distanza, interessando anche le quote più basse, e raggiungere anche i centri abitati, come è accaduto durante l’eruzione del 5 aprile 2003. Talvolta, l’attività esplosiva può lasciare il posto a colate laviche che si riversano lungo la Sciara del Fuoco.

I fenomeni eruttivi, in particolare le colate laviche e le esplosioni parossistiche, possono destabilizzare il versante della Sciara del Fuoco provocando frane che coinvolgono le parti emerse e/o sommerse della struttura. Gli eventi franosi possono anche innescare maremoti con effetti lungo le coste dell’isola stessa, nonché di Panarea ed eventualmente delle altre isole Eolie, della Calabria e della Sicilia.

Le esplosioni di maggiore energia possono infine creare condizioni di rischio sia nella parte alta della montagna, sia, in misura minore, nelle zone abitate. Sull’isola i lava-1523804_640centri abitati sono due: Stromboli e Ginostra, situati rispettivamente nei settori nord-orientale e sud-occidentale.

Stromboli, l’isola più settentrionale delle Eolie, ha la morfologia di un cono piuttosto regolare con versanti acclivi che risalgono da una profondità di 1500-2000m sotto il livello del mare. I crateri attivi sono localizzati a 700m s.l.m., nella parte alta della Sciara del Fuoco, una depressione che si è formata circa 5000 anni fa per il collasso del fianco nord-orientale dell’edificio vulcanico.

L’isola si è costruita nel corso di numerose eruzioni vulcaniche. Inizialmente l’attività è avvenuta dove oggi si trova lo scoglio di Strombolicchio, residuo di un condotto vulcanico attivo 200.000 anni fa circa. Successivamente l’attività si è spostata di circa 3 km a sud-ovest, portando alla graduale edificazione dell’attuale strato-vulcano.

La storia eruttiva dello Stromboli è suddivisibile in cicli separati da importanti eventi strutturali, quali collassi calderici e collassi dei fianchi del vulcano.

Durante gli ultimi 13.000 anni, il cono ha subito rilevanti cambiamenti: l’attività eruttiva ha portato prima alla costruzione della parte sommitale, la cima dei Vancori, e successivamente ha prodotto importanti accumuli di lava sui versanti nord-occidentali, anche a opera di bocche eruttive laterali, come il Timpone del Fuoco. Nello stesso periodo si sono verificate almeno tre grandi frane del versante nord-orientale che hanno dato origine alla Sciara del Fuoco.

ETNA______________________________________________________________________________________
italy-94938_640L’Etna, con i suoi 3350m di altitudine e 35km di diametro alla base, è il vulcano più grande d’Europa. Situato lungo la costa orientale della Sicilia, ricopre un’area di circa 1250km2 ed è limitato a nord dai monti Nebrodi e Peloritani e a sud dalla piana alluvionale del fiume Simeto.

La sua formazione risale a circa 100mila anni fa. Negli anni, l’alternanza di attività effusiva ed esplosiva, con colate di lava e depositi piroclastici, ha portato alla stratificazione di prodotti vulcanici. Per questo, l’Etna si definisce uno strato-vulcanico di natura basaltica.

Le sue bocche eruttive si trovano nella parte sommitale dell’edificio vulcanico e sono Bocca Nuova, Voragine, Cratere di nord-est e Cratere di sud-est. Ciascuna di esse ha un diametro di circa 200m. Sulle pendici del vulcano si trovano inoltre centinaia di piccoli coni “avventizi”, che si sono generati nel corso dei millenni Etna-Siciliadurante eruzioni dai fianchi laterali.

La struttura morfologica principale del vulcano è la Valle del Bove, una depressione che si apre verso il mare, sul fianco orientale del vulcano. La valle è larga circa 5km e lunga 8, mentre la scarpata, nella sua parte più scoscesa è alta 1200m. La sua origine risale a circa 10.000 anni fa quando il susseguirsi di eruzioni esplosive provocò alcuni collassi o frane lungo il fianco del vulcano.

L’Etna si trova nella zona di collisione continentale tra la placca euroasiatica e la placca africana. In questa zona, la presenza di un importante sistema di faglie distensive ha permesso la risalita del magma dal mantello, dando origine al vulcanismo.

Le rocce più antiche del vulcano si sono generate durante eruzioni effusive etna-342197_640sottomarine avvenute circa 550.000 anni fa. In questo periodo infatti l’area in cui sorge l’Etna era occupata da un vasto golfo e la lava che fuoriusciva da fratture del fondale, raffreddandosi repentinamente a contatto con l’acqua, ha dato origine alle cosiddette pillow lavas o “lave a cuscino”, visibili tuttora sulla rupe di Aci Castello. A partire da circa 300.000 anni fa, sono poi seguite eruzioni in ambiente emerso.

Fino ai tempi recenti l’Etna veniva considerato un vulcano prevalentemente effusivo, cioè caratterizzato soprattutto dall’emissione di colate laviche. In realtà negli ultimi 15.000 anni la sua attività è stata caratterizzata da ricorrenti eruzioni esplosive, alcune delle quali hanno originato caldere.

Nelle ultime centinaia di anni si sono susseguite infatti con una certa frequenza eruzioni esplosive di bassa energia ed effusioni laviche, alimentate sia dalle bocche eruttive sommitali del vulcano sia da bocche laterali. Queste eruzioni – della durata di alcuni giorni o anche di anni – hanno più volte danneggiato le aree urbanizzate che si trovano sulle pendici del vulcano, a causa dell’accumulo di ceneri e scorie e dello scorrimento di colate di lava.

VULCANO___________________________________________________________________________________
caldera-613008_640L’isola di Vulcano, la più meridionale delle sette isole che compongono l’arcipelago eoliano, ha un’estensione di 22 kmq ed ha un’altezza massima di 500m sul livello del mare (Monte Aria). Dal 1890 il vulcano si trova in una condizione di quiescenza con un’intensa attività di emissione di gas e vapore ad alta temperatura dal cratere di La Fossa e in prossimità del Porto di Levante.

L’isola ha una morfologia complessa, dovuta alla sovrapposizione di diverse strutture vulcaniche e all’alternarsi di fasi costruttive, con eruzioni effusive o esplosive di bassa energia, e fasi distruttive, con eruzioni violentemente esplosive.

E’ costituita da due centri eruttivi attivi in epoca storica: il cono di La Fossa e Vulcanello e rappresenta la parte emersa di un apparato vulcanico la cui base si trova a circa 900-1.000 m sotto il livello del mare.

Il cono di La Fossa ha una forma regolare, si eleva per circa 400m sul mare ed è vulcano-373015_640formato da alternanze di tufi e colate di lava eruttati dal vulcano negli ultimi 6mila anni. É delimitato, nella parte sommitale, da una serie di orli craterici di età diversa. Il cratere attuale è quello lasciato dall’ultima eruzione esplosiva del 1888-90 e ha un diametro di 600m. Il fondo del cratere ha una quota di 210m sul livello del mare.

La struttura più recente, è la penisola di Vulcanello, all’estremità nord-orientale dell’isola, ed è costituita da una piattaforma lavica a pianta circolare del diametro di circa 1,4km, sormontata da tre coni piroclastici parzialmente sovrapposti.

Dal 1890 il vulcano si trova in una condizione di quiescenza con un’intensa attività di emissione di gas e vapore ad alta temperatura dal cratere di La Fossa e in prossimità del Porto di Levante.

vulcano-1535289_640I componenti principali dei gas fumarolici sono: il vapor d’acqua – H2O, l’anidride carbonica – CO2, l’anidride solforosa – SO2, l’acido solfidrico – H2S e i gas acidi di cloro e fluoro – HCl e HF.

L’entità dell’emissione gassosa, la temperatura massima e la composizione chimica cambiano nel tempo. Negli anni ’30, ’70 e a metà degli anni ’90 la temperatura ha raggiunto valori intorno a 700 °C nell’area craterica, poi è andata lentamente a diminuire per fluttuare intorno a 300-400 °C.

Sull’isola di Vulcano si registra in modo pressocchè costante nel tempo una micro-sismicità, costituita da eventi sismici di bassa energia che si generano a bassa profondità. Questi eventi sono connessi in minima parte a processi di fratturazione fragile (pochi terremoti/anno) ma soprattutto alla dinamica dei fluidi del sistema geotermale dell’area della Fossa (diverse centinaia di micro-terremoti/anno).

VESUVIO___________________________________________________________________________________
VESUVIOIl Vesuvio è situato a meno di 12km a sud-est della città di Napoli e a circa 10km da Pompei, in un’area popolata sin dall’antichità. Questo ha permesso di raccogliere numerose testimonianze sulla sua attività, rendendolo uno dei vulcani più conosciuti al mondo. L’eruzione di gran lunga più famosa è quella del 79 d.C. che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia.

Il complesso vulcanico del Somma-Vesuvio è composto da un edificio più antico, il Somma, caratterizzato da una caldera, e da un cono più giovane, il Vesuvio, cresciuto all’interno della caldera dopo l’eruzione di Pompei del 79 d.C..

Dal 1944, anno della sua ultima eruzione, il vulcano si trova in stato di quiescenza caratterizzato solo da attività fumarolica e bassa sismicità. Non si registrano fenomeni precursori indicativi di una possibile ripresa a breve termine dell’attività eruttiva. Il Vesuvio è sorvegliato 24 ore su 24 dalla rete di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano, la sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Ingv.vesuvius-677714_640

Per salvaguardare la vita delle 700mila persone che vivono alle falde del vulcano, il Dipartimento ha realizzato un Piano Nazionale di emergenza con la collaborazione di tutte le componenti e le strutture operative del Servizio Nazionale di Protezione Civile.

L’ultima eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 1944, ha segnato la fine di un periodo di attività vulcanica a condotto aperto e l’inizio di un periodo di quiescenza, a condotto ostruito. Dal 1944 ad oggi infatti, il vulcano ha dato solo attività fumarolica e sciami sismici di moderata energia, senza deformazioni del suolo o variazioni significative dei parametri fisici e chimici del sistema.

Attualmente il livello di allerta al Vesuvio è “verde”, ossia allo stato attuale le reti di monitoraggio e sorveglianza presenti sul territorio e gestite dall’Osservatorio Vesuviano non registrano alcun fenomeno anomalo rispetto all’ordinaria attività che caratterizza da decenni il vulcano.

CAMPI FLEGREI_____________________________________________________________________________
campi flegreiI Campi Flegrei sono una vasta area di origine vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli. Si tratta di una zona dalla struttura singolare: non un vulcano dalla forma di cono troncato ma una vasta depressione o caldera, ampia circa 12x15km.

Nel 1538 si è verificata l’ultima eruzione che, pur essendo fra le minori dell’intera storia eruttiva dei Campi Flegrei, ha interrotto un periodo di quiescenza di circa 3000 anni e, nel giro di pochi giorni, ha dato origine al cono di Monte Nuovo, alto circa 130 m. Da allora, l’attività ai Campi Flegrei è caratterizzata da fenomeni di bradisismo, attività fumarolica ed idrotermale localizzata nell’area della Solfatara.

La storia eruttiva dei Campi Flegrei è dominata dalle eruzioni dell’Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano. Questi eventi sono stati così violenti che i volumi di magma prodotti e la velocità con cui sono stati emessi hanno causato collassi e originato caldere. Per questo, la forma dell’area è quella di un semicerchio bordato da numerosi coni e crateri vulcanici.

La parola “flegrei” che deriva dal greco flègo “brucio”, “ardo”, non è però riferita alle manifestazioni eruttive poiché in epoca romana il vulcano era quiescente da secoli. L’attributo sembra piuttosto derivare dalla presenza di numerose fumarole e acque termali, conosciute e sfruttate fin dall’antichità. Nella zona sono infatti riconoscibili diverse aree soggette ad un vulcanismo di tipo secondario, come fumarole e sorgenti termali. In particolare, nell’area della Solfatara si verificano manifestazioni gassose mentre le località di Agnano, Pozzuoli, Lucrino sono note per le acque termali.

Il fenomeno di bradisismo che caratterizza l’area consiste in un lento movimento di sollevamento e abbassamento del suolo. Le fasi di abbassamento, che attualmente rappresentano la condizione normale, sono asismiche e sono caratterizzate da bassa velocità. Le fasi di sollevamento, presentano invece maggiore velocità del moto campi flegrei monte nuovodel suolo e sono accompagnate da intensa attività sismica locale. L’ultima crisi bradisismica si è verificata nel 1983.

La storia eruttiva dei Campi Flegrei è dominata da due grandi eruzioni: l’eruzione dell’Ignimbrite Campana – avvenuta 39.000 anni fa – e l’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, che risale a 15.000 anni fa. A seguito di queste eruzioni si sono verificati due episodi di sprofondamento che, sovrapponendosi, hanno dato origine ad una caldera complessa che oggi rappresenta la struttura più evidente dell’area flegrea.

Durante l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, la più violenta dell’area mediterranea con un volume di magma emesso tra i 100 e i 150km3, le colate piroclastiche hanno sepolto due terzi della Campania sotto una spessa coltre di depositi di tufo. In questa occasione, si è verificato un primo sprofondamento dell’area sovrastante la camera magmatica che ha dato origine alla caldera, successivamente invasa dal mare.

L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano in cui il volume di magma emesso è stato pari a 20-30km3 ha provocato la formazione di una caldera più piccola, contenuta all’interno della prima. Negli ultimi 10.000 anni, la parte centrale di questa caldera è stata interessata da un sollevamento di circa 90m, per effetto di un fenomeno di risorgenza che ha condizionato l’attività vulcanica successiva.

A seguire si sono infatti verificate più di 60 eruzioni, prevalentemente esplosive, separate da lunghi periodi di quiescenza. L’ultima – iniziata nella notte del 29 settembre 1538, dopo un periodo di stasi di 3.000 anni – ha generato in pochi giorni il cono di tufo del Monte Nuovo, un monte alto circa 130m sulla sponda orientale del lago di Averno, dove non esisteva in precedenza alcun centro eruttivo.

Oggi l’area flegrea è sede di un’importante attività fumarolica, accompagnata da attività sismica, e del fenomeno del bradisismo, che genera il periodico lento sollevamento e abbassamento del suolo.

ISCHIA_____________________________________________________________________________________
ISCHIAIschia è un’isola formata da numerosi vulcani, che si erge per circa 900m dal fondo del mare, nella parte nord-occidentale del Golfo di Napoli. Si sono verificate eruzioni fino al 1302, anno dell’ultimo evento: l’accumulo dei prodotti vulcanici ha così costruito un’isola ampia circa 46km2 che raggiunge un’altezza massima di 787m sul livello del mare, in corrispondenza del Monte Epomeo.

La maggior parte dell’isola è costituita da depositi di eruzioni sia effusive che esplosive, che hanno costruito edifici vulcanici, alcuni dei quali ancora ben visibili nel settore sud-orientale dell’isola, altri del tutto smantellati o sepolti. Molto diffusi sono anche i depositi di frane che derivano dall’accumulo di materiale vulcanico preesistente.

Ischia è un complesso vulcanico che ha avuto diversi periodi di attività e ha dato luogo anche a grandi eruzioni esplosive.

L’evento che ha segnato la storia geologica dell’isola è l’eruzione del Tufo Verde dell’Epomeo. L’eruzione, fortemente esplosiva, si è verificata circa 55.000 anni fa, ed è responsabile della formazione di una caldera, che occupava la zona in cui si trova oggi la parte centrale dell’isola. La formazione di flussi piroclastici ha parzialmente riempito la depressione calderica, che nel frattempo era stata invasa dal mare, ed ha in parte ricoperto le zone allora emerse.

Dopo l’eruzione del Tufo Verde, l’attività vulcanica è proseguita con una serie di eruzioni esplosive, fino a circa 33.000 anni fa. Circa 10.000 anni fa, dopo un periodo di stasi relativamente lungo, l’attività è proseguita anche in epoca storica con una serie di eruzioni. L’ultima, avvenuta nel 1302 d.C., ha determinato la formazione della colata lavica dell’Arso.

[“Fonte: Sito del Dipartimento della Protezione Civile – Presidenza del Consiglio dei Ministri”]

Storia GEOLOGICA d’Italia. Cap. 6

LE FASI GEOLOGICHE PIU’ RECENTI

SI APRE IL BACINO BALEARICO.

Con il ricongiungimento di Africa e Europa del vasto oceano chiamato Tetide rimane solo una traccia che formerà il Mar Mediterraneo. In epoche geologiche meno remote, altri grandi avvenimenti segnano in maniera determinante la morfologia di questo bacino. Il primo avviene tra 20 e 15 milioni di anni fa e ripete in misura minore quanto era successo molti milioni di anni prima: una nuova risalita di calore dal mantello terrestre, forse prodotta dall’attrito della crosta oceanica della Tetide che si immerge sotto quella continentale o innescata dalle fratture formatesi nella zona compressa tra Africa e Europa, provoca l’inarcamento e la rottura della crosta. Questo fenomeno stacca dal continente occidentale il blocco sardo-corso e lo sposta verso la posizione attuale, formando alle sue spalle il bacino balearico. Lo spostamento del blocco sardo-corso termina in corrispondenza dell’irregolare bordo occidentale della zolla africana dove il movimento di compressione ha cominciato a formare gli Appennini.

SI APRE IL MAR TIRRENO.

AppenniniIntorno a 8 milioni di anni fa si ripete più a Est un fenomeno analogo a quello che aveva formato il bacino balearico. Un’altra frattura, con andamento grosso modo da Nord a Sud, separa la penisola italiana dalle terre che oggi formano la Corsica e la Sardegna. Questa frattura si allargherà lentamente fino a diventare un nuovo mare, il Tirreno, e spingerà la penisola italiana verso Est. La rotazione antioraria della penisola, ancora oggi in atto, provoca un’ulteriore compressione sulla catena degli Appennini che si deforma in due archi. La velocità di apertura del Tirreno non è uniforme da Nord a Sud, in quanto i bordi continentali irregolari controllano il movimento. La maggiore distensione del Tirreno meridionale porta a una accentuata deformazione dell’arco appeninico meridionale e alla progressiva migrazione della Calabria verso Sud-Est.

L’EVAPORAZIONE DEL MEDITERRANEO.

Quando da poco il Tirreno aveva cominciato ad aprirsi, un nuovo evento muta completamente la fisionomia di questa parte di globo. Tra 7 e 5 milioni di anni or sono, infatti, il bacino marino che ormai assomiglia all’odierno Mediterraneo si trasforma in un basso lago salato, con molte zone prosciugate. Le ragioni dell’improvviso disseccamento sono probabilmente legate a due fenomeni concomitanti: un aumento della temperatura (e conseguente aumento dell’evaporazione) e una interruzione, almeno parziale, della comunicazione con l’Oceano Atlantico, cui è legato in gran parte il ricambio con acqua meno salata. Questa condizione, chiamata “crisi di salinità”, durerà diverse centinaia di migliaia di anni durante i quali si forma una spessa coltre di sedimenti di tipo salino (gesso, anidrite, salgemma). Da questi sedimenti si formeranno rocce chiamate evaporiti, parte delle quali è attualmente affiorante in Sicilia, Marche e Romagna.

In un primo tempo, le evaporiti trovate in superficie furono considerate lembi di terreni molto antichi, derivanti dalle prime fasi di apertura della Tetide. Quando le perforazioni effettuate nel Mediterraneo rivelarono che in tutto il bacino erano presenti sedimenti di questo tipo, con spessori di centinaia di metri, ci si rese conto dell’errata interpretazione. La conferma si è avuta perforando questi sedimenti sui bordi dei bacini, dove il loro spessore diminuiva e con i carotaggi si potevano raggiungere anche i depositi sottostanti, che risultarono molto più giovani dell’epoca di apertura della Tetide.

Il Mediterraneo non si è probabilmente prosciugato completamente, dal momento che nei bacini più profondi sono stati ritrovati fossili di organismi capaci di vivere in acqua molto salata. Le evaporiti non sono state trovate solo nel Tirreno orientale, probabilmente perché questo settore di mare si è aperto in epoca successiva, per la continua migrazione verso Est dell’Italia.

Intorno a 5 milioni di anni fa il bacino è di nuovo occupato dall’acqua. E’ probabile che il ritorno dell’acqua sia stato rapido e isocrono in tutto il Mediterraneo, dal momento che si osserva un brusco cambiamento nei sedimenti, con depositi di argille immediatamente sopra le evaporiti. Il rapido ritorno alle condizioni iniziali deve essere stato permesso da collegamenti più vasti e più profondi di quello attuale di Gibilterra, in quanto nei sedimenti sopra le evaporiti si trovano microfossili che non sono in grado di sopravvivere sopra i 1000 metri di profondità. E’ probabile che la zona di confine della placca africana sia stata interessata in quell’epoca geologica da un movimento parallelo a quello della placca settentrionale e che questo movimento abbia determinato uno sbocco più ampio verso l’oceano.

Le conseguenze immediate della crisi di salinità furono la distruzione della fauna marina del Mediterraneo e la rapida erosione delle scarpate dei continenti non più compresse dalla massa di acqua, soprattutto in corrispondenza dell’entrata in mare dei fiumi, che vennero a trovarsi mediamente a 1500 metri sopra il livello di base.

PRESENTE E FUTURO.

Il prosciugamento del Mediterraneo si ripercuote a tutt’oggi in alcuni fenomeni rilevati nel corso di campagne di studio dei fondali. Lo spesso strato di materiali salini formatosi per l’evaporazione del bacino sono ricoperti da non più di 100-200 metri di depositi successivi.

fondale marino

Le evaporiti hanno una bassa densità, inferiore a quella dei depositi soprastanti, e tendono a risalire per galleggiamento verso l’alto. Questo fenomeno prende il nome di diapirismo e forma delle strutture rotondeggianti, che si innalzano in zone di fondo marino morfologicamente piatte o depresse, chiamate bacini anossici. Il materiale evaporitico, una volta perforati i sedimenti soprastanti, viene a contatto con l’acqua marina e, data la sua alta solubilità, si scioglie formando una fascia di salamoia. In queste zone l’acqua è così densa da rallentare la caduta verso il fondo delle particelle che provengono dalle acque limpide superiori. La presenza di sedimenti intorbidisce ulteriormente l’acqua, al punto da formare un orizzonte che riflette le onde sismiche. Al di sotto di questo strato l’acqua ritorna di nuovo limpida.

Attualmente la salinità del Mediterraneo è crescente verso Est e in senso assoluto. L’aumento di salinità di tutto il bacino appare legata a un diminuito scambio di acque con quelle a bassissima salinità del Mar Nero, a causa delle opere di regimentazione dei grossi fiumi che vi sboccano. Anche il contributo di acque fluviali del Nilo è compromesso dalle opere idrauliche. Rimane lo scambio con l’oceano Atlantico, attraverso lo stretto di Gibilterra, ma nel complesso l’evaporazione non è più compensata da apporti meteorici e fluviali e il bilancio idrico del Mediterraneo è negativo.

La convergenza tra la zolla africana e quella europea non è esaurita. Attualmente la velocità del movimento è misurata in circa 3 cm per anno e tende a chiudere il bacino del Mediterraneo. Gli enormi sforzi che si accumulano nelle zone di contatto tra le due zolle si scaricano periodicamente in violenti terremoti.

Nelle future epoche geologiche i due blocchi continentali appariranno nuovamente fusi in uno solo con isolati laghi salati, residuo del Mare delle Baleari, del Tirreno e dell’Egeo.

[tratto da http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/adamello/adamello.html]

Storia GEOLOGICA d’Italia. Cap. 5

I DUE CONTINENTI SI RIAVVICINANO.

IL GONDWANA INIZIA A FRATTURARSI IN DUE BLOCCHI CHE FORMERANNO SUD AMERICA E AFRICA.

L’APERTURA DELL’ATLANTICO MERIDIONALE IMPRIME ALL’AFRICA UNA LENTA ROTAZIONE VERSO NORD-EST CHE COMINCIA A CHIUDERE LA TETIDE.

Intorno a 190 milioni di anni fa, in un’altra parte del globo, un evento simile a quello che aveva diviso in due la Pangea, interessa una zona del continente Gondwana. L’inarcamento crostale e la successiva apertura del nuovo graben produce una inversione nel movimento del pezzo di Gondwana che diventerà l’Africa. Dopo essersi spinto per decine di milioni d’anni verso Sud, questo pezzo di terra comincia una altrettanto lenta marcia di riavvicinamento al continente euro-asiatico.

Il movimento di convergenza diventerà più veloce a partire da 130 milioni di anni fa, quando la nuova frattura si propaga verso Sud e si comincia ad aprire l’Atlantico meridionale.

 

I DUE CONTINENTI SI RICONGIUNGONO.

LA FRATTURA DEL GONDWANA SI PROPAGA VERSO NORD, SEPARANDO LA LAURASIA IN DUE BLOCCHI, IL NORD AMERICA E L’EURASIA.

L’APERTURA DELL’ATLANTICO SETTENTRIONALE SPINGE L’EURASIA VERSO SUD-EST E ACCELERA IL RIAVVICINAMENTO ALL’AFRICA.

I MARGINI IRREGOLARI DEI DUE CONTINENTI ENTRANO IN CONTATTO: LA TETIDE SCOMPARE E SI FORMA LA CATENA ALPINA.
storia geologica Terra

Intorno a 80 milioni di anni fa, la frattura che aveva originato l’Atlantico meridionale comincia a propagarsi anche verso Nord. Il continente settentrionale viene diviso in due blocchi, il Nord-America e l’Eurasia e fra i due continenti si apre l’Atlantico settentrionale. Questa fase imprime una ulteriore accelerazione al movimento di convergenza fra Africa e Eurasia.

Intorno a 60 milioni di anni fa, i due continenti si ritrovano nuovamente di fronte. E’ possibile che il primo frammento dell’Africa ad entrare in collisione con l’Europa sia rappresentato dalla microzolla Apula (da cui l’attuale penisola italiana) e che da questo scontro nascano i primi rilievi delle Alpi.

Nelle successive decine di milioni di anni la Tetide viene inesorabilmente compressa tra i due continenti. La crosta dei fondi oceanici, anche quella attuale, è costituita da lave e si presenta più sottile e più pesante di quella continentale che è costituita da rocce mediamente meno dense. Queste differenze fisiche favoriscono, durante le fasi di compressione, l’incunearsi della crosta oceanica sotto quella continentale. Il processo (detto di subduzione) procede fino a che tutta la crosta oceanica viene subdotta sotto quella continentale e i due continenti vengono a contatto come trascinati uno contro l’altro.

I sedimenti che si trovano sopra la crosta oceanica vengono in parte “raschiati” durante la subduzione e si accavallano tra i due margini continentali. Anche le scogliere coralline e i depositi presenti sulla piattaforma continentale vengono compattati, ammassati gli uni sugli altri e deformati. Così, mentre struttura e composizione delle rocce testimoniano tutte le fasi di separazione, la loro geometria attuale e le deformazioni recano i segni dei movimenti di convergenza e di contatto tra le due zolle.

Il limite tra il margine meridionale e quello settentrionale è rappresentato da una grande frattura, detta linea Insubrica (o linea del Tonale), che corre dal Passo del Tonale fino al Canavese a Ovest e alla Val Pusteria a Est. Le rocce a Sud di questa linea sono formate dai sedimenti accumulatisi sul fondo della Tetide e sul paleo-continente africano. Quelle a Nord della linea insubrica sono di tipo diverso, tranne che per una zona dove parte delle piattaforme carbonatiche appartenenti al bordo africano sono scivolate in avanti, andando a superare questa frattura e a formare le Alpi Austriache.

[tratto da http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/adamello/adamello.html]

Storia GEOLOGICA d’Italia. Cap. 4

I DUE NUOVI CONTINENTI SI ALLONTANANO.

DALLA ROTTURA DELLA PANGEA SI FORMA UN CONTINENTE SETTENTRIONALE (LAURASIA) E UNO MERIDIONALE (GONDWANA) SEPARATI DA UN OCEANO (TETIDE).

I DUE CONTINENTI SI ALLONTANANO E LA DIMENSIONE DELLA TETIDE AUMENTA.

Dopo l’inarcamento crostale e l’inizio di separazione dei due continenti segue una terza fase, la cui durata è stimata almeno in 40-60 milioni di anni, durante la quale il movimento che allontana i due lembi di terra prosegue. In questo lungo periodo si verificano numerosi fenomeni, tra i quali i più importanti sono l’allargamento e l’approfondimento del mare, che diventa un vero e proprio oceano, e la formazione di scogliere coralline che si sviluppano aggrappate al bordo del continente meridionale.

globo aurasia

Intorno a 200 milioni di anni fa, tra i due continenti che si allontanano vi è un mare relativamente profondo, con tratti di costa irregolari e aree emerse con isole di discreta ampiezza. Il bordo del continente che si sposta verso Sud (in parte costituito dall’attuale Africa) presenta delle protuberanze, una delle quali coincide probabilmente con la futura penisola italiana.

Tra 190 e 140 milioni di anni fa, la Tetide raggiunge la sua massima ampiezza. Lo stadio di oceanizzazione culmina con la formazione di una dorsale medio-oceanica, simile a quelle presenti negli attuali oceani. La dorsale oceanica consiste in una lunga frattura dalla quale vengono emesse in continuazione colate di lava che si spostano verso l’esterno nei due sensi e favoriscono l’allargamento dell’oceano.

In un dominio ormai così vasto gli ambienti di sedimentazione sono numerosi e differenti. Nelle zone oceaniche più profonde e più distanti dalla terra emersa sedimentano poche particelle fini e quelle derivanti da precipitazione chimica, mentre via via che ci avviciniamo alle coste i sedimenti diventano più abbondanti e le particelle hanno dimensioni maggiori. Infine, in prossimità del continente, si formano i banchi corallini, analoghi a quelli attuali delle Bahamas e di altre zone tropicali.

I coralli e gli altri organismi marini che ad essi si accompagnano, vivono in acque calde, limpide e agitate e a profondità di pochi metri (fino a un massimo di 80-100) dalla superficie del mare. La loro crescita, insieme ad altri fattori, appesantisce sempre più il bordo del continente su cui stanno appoggiati e questo fatto porta ad un progressivo abbassamento sotto il livello del mare dell’intero bordo continentale. Per mantenersi ad una profondità ottimale di sviluppo i coralli sono così costretti a crescere costantemente verso l’alto, controbilanciando il processo di sprofondamento e, nello stesso tempo, favorendolo con il loro peso.

In questo vasto oceano e sulle sue sponde si sono lentamente accumulate grandi quantità di sedimenti dai quali si formeranno molte delle rocce oggi visibili in superficie nella catena alpina. Le rocce più antiche derivanti da questa fase geologica sono calcari di mare relativamente poco profondo (Calcare d’Angolo), seguite da argilliti di bacini profondi e da gran parte delle dolomie che costituiscono le attuali Dolomiti. Fra le rocce più recenti di questa fase vi sono la Dolomia Cassiana, la Formazione di S. Cassiano, la Formazione di Raibl e la Dolomia Principale.

[tratto da http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/adamello/adamello.html]

Storia GEOLOGICA d’Italia. Cap. 3

L’AUMENTO DI TEMPERATURA NEL MANTELLO PROVOCA LA FUSIONE DI MATERIALE CHE RISALE E PREME CONTRO LA CROSTA TERRESTRE FINO A DIVIDERLA IN DUE PARTI.

LA PANGEA COMINCIA A LACERARSI.

La risalita di calore può esaurirsi dopo un certo tempo e in quel caso cessano anche i processi che tendono a rompere in due un continente. La superficie terrestre resterà segnata da lunghe vallate chiamate graben (ad esempio, l’attuale graben del Reno), localizzate nel punto in cui la crosta continentale si era arcuata e fratturata.

Se il processo non si arresta, il graben tende ad allargarsi e a separare definitivamente in due il blocco continentale. Il movimento di separazione provoca uno stiramento nella crosta continentale fino a che diventa più sottile del normale. Più o meno come se si tentasse di tirare in due direzioni opposte una piastra di gomma dopo averne riscaldato la parte centrale. Il fondo del graben, costituito da crosta assottigliata dallo stiramento, può essere interessato da attività vulcanica prodotta dal materiale fuso che dal mantello raggiunge la superficie.

graben2Nella storia della Pangea, la risalita di calore non si è interrotta dopo la fase di inarcamento e, intorno a 220 milioni di anni fa, il grande continente comincia a lacerarsi in corrispondenza del graben. Il movimento di distensione della crosta si protrae per qualche decina di milioni di anni. La continua erosione di materiale, insieme alla spinta che allontana uno dall’altro i due blocchi continentali e, in alcuni casi, anche il peso delle colate di lava che si ammassano e raffreddano in superficie o nelle fratture prodotte dallo stiramento, finiscono con l’approfondire in maniera irregolare la zona.

In alcuni punti, il graben viene a trovarsi più basso rispetto a quello del mare circostante. Le aree più depresse sono invase dall’acqua marina e si formano bacini salati che si approfondiscono e si chiudono in tempi abbastanza brevi dal punto di vista geologico.

Il materiale eroso durante la fase di distensione crostale viene depositato parte sul continente, parte in mari abbastanza profondi e parte in lagune a circolazione d’acqua limitata. Nei bacini più ampi, le particelle grossolane si depositano in prossimità della costa, mentre quelle fini possono raggiungere le zone più profonde e più lontane dalle terre emerse. Negli specchi d’acqua più bassi o con poco ricambio d’acqua si formano depositi derivanti dalla frequente evaporazione dell’acqua salata.

Le rocce che si sono formate dai sedimenti prodottisi in questa fase sono di tipo diverso, ma hanno in comune la caratteristica di rispecchiare la presenza di mari soggetti a rapide variazioni di profondità, intercalati a ampie zone emerse.
Le rocce più diffuse sono le arenarie di mare basso (Formazione del Servino) le evaporiti (Formazione a Bellerophon, dolomie cariate come la Carniola di Bovegno.

[tratto da http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/adamello/adamello.html]

Storia GEOLOGICA d’Italia. Cap. 2

LE TERRE EMERSE FORMANO UN UNICO CONTINENTE, LA PANGEA, CIRCONDATO DA UN VASTISSIMO OCEANO: LA PALEOTETIDE.

L’AMPIO CONTINENTE E’ COME UN COPERCHIO CHE RALLENTA LA PROPAGAZIONE DEL CALORE DALL’INTERNO DELLA TERRA VERSO LA SUPERFICIE.

LA TEMPERATURA DEL MANTELLO TERRESTRE AUMENTA FINO A PROVOCARE L’INARCAMENTO DELLA CROSTA CONTINENTALE.

Prima di 250 milioni di anni fa, il continente Pangea presenta un vasto golfo a Est, più o meno alla attuale latitudine dell’Italia.
In corrispondenza di questa insenatura, la crosta terrestre comincia a gonfiarsi e a sollevarsi. Questo movimento, causato dalla risalita di calore dalle zone più interne del globo terrestre, si svolge nell’arco di decine di milioni di anni. Se una vasta regione si arcua fino a fratturarsi, si formano una serie di rilievi e di incisioni che favoriscono l’azione erosiva e la formazione di ripidi corsi d’acqua.

Il materiale eroso da rilievi geologicamente giovani della superficie terrestre, trasportato dai fiumi e sedimentato nelle zone pianeggianti, consiste prevalentemente in pezzi di roccia grossolani e poco arrotondati, perché sono strappati dalla superficie e abbandonati in tempi relativamente rapidi. Quando il trasporto è più prolungato, non solo i granuli vengono abrasi, arrotondati e rimpiccioliti, ma avviene anche una selezione mineralogica, dal momento che i minerali più fragili si frantumano, fino ad essere completamente disciolti, prima di quelli più resistenti.

Attraverso lunghi processi di compattazione e litificazione, dai sedimenti accumulati si formano le rocce. Sulle Alpi sono presenti numerose rocce la cui formazione è attribuita a questa fase geologica (prevalentemente arenarie e conglomerati come, ad esempio, le arenarie di Valgardena e il Verrucano Lombardo. Queste rocce vengono definite di tipo continentale, in quanto i processi di erosione, trasporto e di sedimentazione dei granuli che le compongono si sono verificati sopra una crosta di tipo continentale.

[tratto da http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/adamello/adamello.html]

Storia GEOLOGICA d’Italia. Cap. 1

Nel 1912, il geofisico tedesco Alfred Wegener formulò la teoria della deriva dei continenti, secondo la quale le terre emerse sarebbero arrivate alla posizione attuale a partire dallo smembramento di un unico grande blocco circondato da un vasto oceano.

L’idea di Wegener incontrò per molti anni una forte ostilità e solo a partire dagli anni sessanta venne inglobata in una teoria più vasta che prende il nome di tettonica a zolle. Questa teoria è basata essenzialmente sulla suddivisione del globo terrestre in tre gusci concentrici che corrispondono a zone con caratteristiche chimiche e fisiche diverse: la crosta (di tipo oceanico o continentale), il mantello e il nucleo.

litosferaLa zona più esterna, che comprende la crosta e parte del mantello (litosfera) è più rigida della parte di mantello sottostante (astenosfera). Litosfera e astenosfera sono separate da una zona a bassa viscosità che favorisce lo scorrimento di una parte rispetto all’altra. La teoria della tettonica a zolle è in gran parte basata sul contrasto delle proprietà di deformazione tra litosfera rigida e astenosfera sottostante meno rigida e sulla presenza di una zona a minore viscosità tra le due. Differentemente da quanto ipotizzava Wegener, a muoversi non sono i pezzi di crosta continentale, ma le zolle di litosfera che scorrono sull’astenosfera e i continenti vengono trasportati come sassi incastrati in un ghiacciaio.

interno terraLa litosfera è attualmente divisa in sei zolle principali delle dimensioni di migliaia di chilometri e in un certo numero di zolle secondarie, molto più piccole. I vari pezzi di litosfera sono in continuo movimento relativo: in corrispondenza delle dorsali oceaniche le zolle si allontanano una dall’altra (margini divergenti) per convergere nelle zone dette di subduzione (margini convergenti).

La teoria della tettonica a zolle ha portato ad ipotizzare l’esistenza di profondi moti convettivi che trasportano in superficie, in corrispondenza delle dorsali medio-oceaniche, materiale fuso il quale spostandosi lateralmente e allontanandosi dall’asse della dorsale crea nuova crosta oceanica. In corrispondenza delle fosse, invece, la crosta oceanica sprofonda e viene riassorbita nel mantello.

La storia geologica dell’Italia e di tutta l’area mediterranea può essere inquadrata nei modelli di evoluzione di margini divergenti e convergenti. I movimenti litosferici che hanno conferito alla nostra penisola la struttura che oggi vediamo, benché si siano sviluppati nell’arco di centinaia di milioni di anni, rappresentano solo la fase geologica più recente.

[tratto da: http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/index.html]

Il DESERTO

Ci sono diverdi tipi di deserto, distinguiamoli per le cause che li hanno formati:

  • DESERTI ANTROPICI, sono aree dove la vegetazione si è ridotta fino a scomparire a causa delle condizioni climatiche difficili (e a causa dell’uomo). Il Sahara, l’Iran e il Pakistan hanno questa caratteristica.
  • DESERTI EDAFICI, come quelli australiani, hanno un terreno che manca o eccede di sali minerali.Qui la vegetazioni manca o si adatta a questa realtà.
  • DESERTI CLIMATICI, come quelli della Namibia o della costa occidentale dell’America meridionale. In questi territori mancano le piogge e possiamo considerarle le aree più aride del pianeta.

La parola DESERTO deriva dal latino e significa “abbandonare” , in realtà dobbiamo considerarlo come un ecosostema che riceve poca, pochissima pioggia ma dove, in molti casi, la vita è abbondante: la vegetazione si adatta alla poca umidità e la fauna resta nascosta durante il giorno.

Nel momdo troviamo i deserti in zone caratterizzate da costante alta pressione, cioè in zone dove non piove quasi mai; sono localizzati lontano dal mare e raramente raggiungibili dai venti umidi che arrivano dagli oceani. Queste condizioni fanno di questi territori dei posti aridi e molto aridi.

Possiamo anche distinguere i deserti sulla base della loro temperatura:

  • deserto caldo – clima desertico. Può essere roccioso, ghiaioso o sabbioso a dune. Questo tipo di deserto si trova nelle regioni tropicali, con grande aridità, vegetazione molto ridotta, tendenza alla siccità.
  • Deserto freddo – clima desertico freddo. E’ tipico delle zone temperate, con fortissima aridità e con estati caldissime e inverni freddissimi.
  • Deserto polare – clima glaciale. Si chiama anche deserto bianco e lo troviamo in Groenlandia, Artide e Antartide. Qui il freddo è intenso e le terre sono coperte da ghiacci perenni.
desertobianco

deserto bianco

deserto-freddo

deserto freddo

deserto caldo

deserto caldo