I colori degli uomini-Ada Bottini

I colori degli uomini

 Il Portale dei bambini Si racconta che un tempo, anzi agli inizi di tutti i tempi, gli uomini fossero fatti di luce. La loro forma, simile a quella di adesso, era delineata da una luce più intensa di quella esterna, quindi erano visibili.
All’inizio ce n’erano quattro copie in tutto il mondo: lo spa­zio non mancava. Non era però un problema percorrerlo, per­ché i nostri uomini si muovevano velocissimi, come la luce e, in un fiato, andavano da un continente all’ altro.
Era stato detto loro che potevano scegliere la terra dove vivere.
La prima coppia rimase affascinata da una grande distesa di erba ondeggiante al vento caldo e secco, ombreggiata qua e là da grandi alberi dalla forma curiosa, mai visti altrove. Nell’ erba e all’ ombra degli alberi pascolavano migliaia di animali di ogni forma e colore. Altri si beavano in una pozza d’acqua fangosa: vi si rotolavano, si sfregavano la schiena e parevano trarne un gran­de piacere.
– E’ qui che voglio vivere. – Disse lei.
– Sono d’accordo. – Rispose lui.
– Guarda quelle bestie come si rotolano nel fango. Chissà
perché? – Si chiese la donna.
– Ci provano gusto., Si capisce. –
– Non potremmo farlo anche noi. Sembra così divertente! –
Suggerì lei.
– Non ne abbiamo bisogno. A noi non prude la pelle e non abbiamo caldo. –
– E’ vero, ma se non possiamo provare mai niente, che gusto c’è? –
La curiosità era grande anche in lui, così decisero di prova-
re. Si buttarono nel fango e vi si rotolarono con gusto.
Prima divennero opachi, poi marrone scuro, scuro.
Le altre coppie di uomini incominciarono a ridere di loro, a dire che erano stati curiosi e imprudenti, quindi era giusto che fossero diventati opachi e pesanti per sempre.
Era vero, infatti la prima coppia rimase con la pelle scura e così tutti i loro figli.
Poco dopo altri due si fermarono in una terra dalle alte montagne e grandi fiumi ricchi d’acqua. Sui pendii delle monta­gne nascevano magnifici fiori bianchi con grossi pistilli gialli profumatissimi.
Lei sospirò e disse che lì si sentiva particolarmente bene e ci avrebbe vissuto volentieri. Anche lui era d’accordo. Si guar­darono intorno per conoscere meglio il posto prescelto.
Lei era fortemente attratta dai fiori e voleva annusarli, anche se sapeva già che avevano un buon profumo. Ci fu una breve discussione tra i due. Alla fine 1’ebbe vinta lei.
Adagio adagio si avvicinò al giglio e vi posò il naso sopra, il polline le fece il solletico e lei starnutì. Il polline si sparse abbon­dante nell’ aria e incipriò di giallo i due, che divennero prima opachi e poi pesanti.
Da allora la loro pelle e quella di tutta la loro discendenza rimase gialla.
Nello stesso tempo un’altra coppia ammirava verdi prate­rie, sullo sfondo, rosse montagne di roccia ai cui piedi scorreva un fiume rumoroso e spumeggiante.
– Che strano colore quelle montagne, – disse lui – non abbiamo ancora visto niente di simile. Mi piacerebbe vivere qui.-
– Anche a me. –
– Vorrei scalare quelle montagne. – Riprese lui.
– Cosa t’importa di scalarle se in un attimo puoi esserci
sopra. – Rispose lei.
– Non è la stessa cosa. Mi piacerebbe sentire la roccia sotto le mani e sotto ai piedi. lo ci provo. – Disse.
io ti guarderò. – Rispose lei.
 Il Portale dei bambini
-Lui iniziò ad arrampicarsi e, appena toccò la roccia le sue mani divennero rosse, così i piedi. Poi un masso si staccò dall’alto e rotolò sopra di lui, senza ferirlo, ma ricoprendolo di pol­vere rossa perfino negli occhi. Lei vide la scena e, in un lampo, gli fu vicina e l’abbracciò con forza. Così insieme divennero opachi e rossicci. Di quel colore rimasero per il resto della loro vita e di quel colore sono ancora, alcuni abitanti di quel territorio. La quarta coppia volteggiava in una terra densa di foreste, limpidi fiumi, alte montagne. Le cime dei monti erano ricoperte di un manto bianco e luminoso. – Uhm che voglia di tuffarmi in quella neve immacolata. Disse lei. . – Vivremo qui, – rispose lui – ma non t’azzardare a toccare o assaggiare qualcosa. Sappiamo già tutto. Non abbiamo niente da imparare. – – SÌ, ma abbiamo tutto da provare. – Rispose lei. – Può essere pericoloso. Hai visto quello che è successo ai nostri amici che si sono immersi nel fango. Ora si muovono len­tamente, sono pesanti, devono faticare. – Ribatté lui. – Vivere così senza fare niente, senza imparare niente, non è divertente. lo voglio toccare la neve. – – Fai attenzione. – Raccomandò lui, mentre lei già, con le sue mani di luce toccava la neve. – Oh, è bellissimo, vieni prova anche tu. Non succede nien­te. – Gridava lei ridendo. Non si era accorta che le dita si sbiancavano a poco a poco. Lui la raggiunse. Lei per scherzo lo attirò a sé e insieme cadde­ro nella neve diventando tutti bianchi. Quando incominciarono a sentire freddo si accorsero anche .di quello che era successo: tutt’e due opachi, bianchi, pesanti. Restarono così, un po’ freddini anche, per il resto dei loro giorni e i loro figli ereditarono le stesse caratteristiche. Con il passare del tempo tutti dimenticarono la comune origine e il motivo del diverso colore della pelle degli uomini. C’è un segreto per capire il principio e il fine di ogni crea­tura. Questo segreto è l’amore. Alcuni lo praticano senza rispar­miarsi. Sono sulla strada giusta.
Il racconto e’ tratto dalla raccolta di favole di Ada Bottini.

La Storia di Rosa ovvero non sono pollicino…ma ci vado vicino!

La Storia di Rosa ovvero non sono pollicino…ma ci vado vicino!

NON SONO POLLICINO, MA… CI VADO VICINO!

Avete presente Pollicino? Beh, se io fossi il personaggio di una favola… sarei appunto Pollicino!
Anzitutto, gli somiglio perché – proprio come lui – mi sono ritrovata in dote una lunga fila indiana di fratelli maggiori, sempre pronti a stuzzicare e a criticare. Fratelli a cui – nonostante tutto – voglio anche molto bene, perché quando ero più piccola hanno comunque saputo giocare con me e m’hanno insegnato tante cose divertenti. M’hanno fatto capire, soprattutto, che la condivisione è il segreto per essere più forti e più grandi, più allegri e fiduciosi. Almeno, quando ci si riesce… E, bisogna pur dirlo, non è mica una cosa facile facile sopportarsi e crescere insieme. Non son bazzecole!
Come Pollicino, poi, mi sono persa un paio di volte nel bosco ingarbugliato della vita: ho fatto i miei tentativi e le mie prove, lasciando cadere lungo la strada molliche (o briciole, che dir si voglia) e annusando tante vie diverse. Un pò come un cane segugio, sperso e perplesso.
Ho pensato, allora, a dove mi sarebbe davvero piaciuto arrivare: prima d’essere sorpresa dalla notte e dalle ombre, proprio come nella favola, era importante capire. Era importante pensare. Perciò riflettevo: che potrò mai fare, quando sarò finalmente cresciuta? E anche questa, lo sapete, non è una cosa banale.
Così, da principio, ho creduto che mi sarebbe piaciuto fare l’attrice di teatro; ma – ad esser sincera – è stato solo il pensiero d’un brevissimo momento. Mi sono divertita soltanto a provarci, a salire su un palco e ad affrontare il buio sussurrante della sala. E mi è anche molto servito: serve sempre a una timidona come me… Ma non era quella esattamente la mia via. Dunque, ancora oltre a cercare sentieri nel bosco…
Poi, ho provato a studiare da archeologa: bellissima cosa e, tuttavia, impresa troppo faticosa rispetto alla relativa forza della mia passione per le tracce lasciate dagli antichi. Passione importante, sì, ma non certo paragonabile al bisogno che ho sempre avuto di scrivere. Che, del resto, è un pò come lasciar cadere i famosi sassolini di Pollicino. Tracce nere sulla carta bianca.
Sì… Quella, in verità, è sempre stata la marcia più potente per me: scrivere. E’ come una specie di sete di parole, capace di trascinarmi lontano e di farmi sentire finalmente libera come un gabbiano. Scrivere mi fa scivolare dentro di me e svolazzare attorno alle cose, là dove mi posso sentire coccolata e sicura come nell’abbraccio di un amico sincero. Un pensiero che mi piace.
Beh, non mi ricordo né quando né come ho cominciato a scrivere. Oltretutto, ho frequentato una scuola elementare Montessori, quindi davvero a me manca anche l’esperienza – comune a molti altri – delle noiose paginette piene di lettere e letterine. Io, al contrario, so solo di aver sempre scritto volentieri – fin dall’inizio – frasi su frasi. E, con o senza errori, le mie lunghe storie a quei tempi venivano appese alle pareti della classe o riempivano i cassetti delle scrivanie di casa. Anno dopo anno, si allungavano assieme a Rosa.
Al di là di quanto potessi essere effettivamente brava, questo era un fatto incredibile: per una bambina, infatti, rintracciare un ambito in cui essere lodata e riconosciuta equivale ad aver trovato la lampada d’Aladino o la gallina dalle uova d’oro. E’ un modo per sentirsi sicuri, soddisfatti, fieri. Indipendenti persino nei momenti di noia e di solitudine. Quando ti perdi in cupi pensieri.
Per questo, alla fine, sono finita a fare la giornalista e la redattrice. Ho scritto di campi da golf e di partite di polo, di campioni di tennis e di grandi stiliste, di personaggi famosi e meno famosi, di luoghi d’arte e di villeggiatura. Persino, a un certo punto, m’è capitato di fare articoli sulle auto d’epoca. Pensate un pò: io, che non ho mai nemmeno preso la patente!!
Lavorare in una redazione, digitando veloce su una tastiera come un pianista che fa scivolare le sue mani sullo strumento, è sempre stato il mio sogno. E, nel mio piccolo, ci sono dunque riuscita. Un viaggio meraviglioso, tra montagne di carta e idee da realizzare. Tutti insieme.
A dirla tutta, ho inventato anche i testi di qualche pubblicità e ho preso un diploma in Scienze della Comunicazione: un pezzo di carta con su scritto “copy-writer”. Una cosa divertente, anche quella. Un messaggio, più o meno colorato, che deve correre dritto all’occhio e all’orecchio del suo ricevente. Un salto, una capriola: tutto d’un fiato e quindi dritto come la freccia sul centro.
Insomma, eccomi qua. Non ho fatto cose eccezionali, ma credo di aver cominciato a capire – finalmente – dove voglio andare. O meglio, dove voglio tornare.
Voglio tornare, ogni giorno, a leggere storie come da bambina. E a scriverne, se possibile. Oppure a raccontare – anche a voi, perché no! – quanto sono belle quelle create dalla penna e dalla matita di qualcun altro. Qualcuno che mi somiglia o che mi affascina per la sua diversità da me, qualcuno che mi distrae dalla tristezza o che mi trascina in una lunga risata. Fino – non c’è dubbio – alla parola fine.
Il bello, del resto, è che terminato un racconto ne può cominciare subito un altro. E – se leggere è come cominciare un nuovo viaggio, e forse qualcuno l’ha già detto – scrivere, per me, è come ritrovare la strada: lasciare cadere, non senza fatica, i sassolini di Pollicino; e fare in modo che, l’indomani, siano ancora lì. Per correre nel tempo, indietro e avanti. Per gettare un ponte tra il cuore e i pensieri, liberi di volare eppure ancorati a me stessa. Al mio modo di percorrere la vita, foglio dopo foglio. Con un punto che sta per un respiro, una virgola che abbraccia un’idea appena nata.
Tutto qui. Ora ho quasi quarant’anni (ma ci devo sempre pensare prima di dirlo, ché non mi pare proprio possibile!) e ho finalmente imparato a lanciare sassolini al posto del pane. Sassolini per mia figlia, che è la cosa più bella che abbia mai disegnato. Sassolini per tutti i bambini che incontro, per le strade cittadine o in altri dedali virtuali. A loro, con gioia, ho ormai deciso di dedicare il mio lavoro. Quel poco o tanto che so fare – scrivere, leggere, pensare, inventare… – ho stabilito di metterlo a loro disposizione. Come? Piazzandomi come un segnalibro canterino dentro piccoli-grandi libri da non farsi sfuggire, inventando con altri amici incontri educativi e corsi creativi, organizzando dibattiti tra genitori e insegnanti. E, soprattutto, non perdendo mai il gusto di tornare io stessa piccola piccola. Come Pollicino.

Rosa Benedica Nicolini
rosa.nicolini2@virgilio.it

Ascensione

Le stimmate

L’Annunciazione

Gli Angeli

 

GLI ANGELI
Sono presenti in tutte le culture.
La figura degli Angeli, come divinità intermedia, in un modo o in un altro, è presente in tutte le culture, ma è legata in maniera particolare alle religioni monoteiste, come entità di raccordo tra la Realtà infinita, totalmente trascendente e assolutamente sacra, e il mondo creato; qualcosa che salvaguarda la “purezza suprema” della divinità nei suoi rapporti con l’opacità delle realtà contingenti.

Origine degli Angeli
L’ambiente nativo degli Angeli, come sono presenti nella nostra cultura, è da ricercarsi nel vicino Oriente (Mesopotamia, Fenicia, Egitto), e più in particolare nella Persia di Zoroastro, intorno al 1500 a.C. Da questo habitat, la Bibbia deriva i suoi “Angeli”, che demitizza e personalizza dopo il ritorno del popolo ebraico dall’esilio babilonese (sec. VI a.C.), con l’affermarsi del più rigido monoteismo.

 

Valore e significato della figura degli Angeli
Gli Angeli (dal greco àngelos, ebraico Malach), messaggeri di Dio, a volte si presentano in modo sfumato, evanescente, realtà di confine tra la consistenza della materia e l’impalpabilità della trascendenza; altre volte assumono caratteristiche umane, molto definite e concrete. Due aspetti, quindi, due volti, quello umano e quello divino, che si intrecciano tra loro con estrema naturalezza, senza entrare in contraddizione. Questo deriva dalla loro funzione di raccordo tra il Creatore e le creature, dal loro esistere per: per trasmettere la volontà di Dio, per evocare la sua presenza paterna e provvidente, per essere custodi e guide, per richiamare a noi, creature distratte, il mistero dolce e amorevole di Dio. Esistenze necessarie, quindi, segni aperti su un mondo impercettibile ma sostanziale, che ci permea e ci attrae con fascino irresistibile. Dal secondo secolo della nostra era si è sviluppata la convinzione che ognuno di noi ha un Angelo protettore, o Angelo-guida; più propriamente un Angelo custode che lo accompagna nel cammino faticoso della vita. In modo più soffuso e meno scontato, durante i secoli ha preso forma anche l’idea che ogni famiglia (o casa), ogni città, ogni raggruppamento umano (popolo o nazione), addirittura ogni entità cosmica, abbia un suo Angelo (o più Angeli), patrono e tutore preposto a custodire e dirigere la realtà a lui affidata.

Che cosa dice la Chiesa?
Al di là della proliferazione fantasiosa di Angeli, come si evidenzia nei testi apocrifi antichi, in ambiente cristiano, o ai margini di esso, come nel tardo ebraismo e nell’Islam, e nella consapevolezza della prudenza con cui vanno affrontate molte espressioni tradizionali, la Chiesa ritiene con evidenza di fede l’esistenza degli Angeli, nella loro natura di creature spirituali, dotate di intelligenza e volontà, superiori alle creature visibili, “servitori e messaggeri di Dio, potenti esecutori dei suoi comandi”. L’esistenza degli Angeli custodi invece non è ritenuta dalla Chiesa come dottrina in evidenza di fede, ma come convinzione consolidata da una ininterrotta tradizione. Per il resto, considerando la sobrietà con cui ne parla la Rivelazione, la Chiesa non trascura mai di ricordare che le creature angeliche, pur nella loro dolcezza, nel loro fascino e nello splendore di cui sono circondate, rimangono avvolte nel mistero di una trascendenza che non bisogna forzare. Insomma, parliamo di Angeli, ma… da poveri uomini.  

 

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Gerarchie Angeliche

GERARCHIE ANGELICHE
Tra gli innumerevoli tentativi di dare una identità e una organizzazione gerarchica agli spiriti angelici, voglio accennare a quella più accreditata che è la sistemazione indicata da Dionigi l’Areopagita (sec. V d.C.) nel suo notissimo libro De caelesti Hierarchia. Secondo questo autore, che si rifà ad alcuni passi della Sacra Scrittura, le schiere angeliche sono ripartite in nove ordini, raggruppati in tre cori angelici. La prima schiera, più sublime e più vicina a Dio, è costituita da Serafini, Cherubini e Troni; la seconda da Dominazioni, Virtù e Potestà; la terza da Principati, Arcangeli e Angeli. La prima schiera, secondo Dionigi, sarebbe “illuminata” direttamente da Dio, la seconda attraverso la prima, la terza attraverso le prime due. Ad ogni schiera sarebbe stato affidato da Dio un compito specifico. Pur tenendo presente che tutti e nove i nomi di queste schiere angeliche si riscontrano nella Sacra Scrittura e che quasi tutti ricorrono sovente nella liturgia, tuttavia la Chiesa cattolica non ha mai dato ufficialità allo schema dell’Areopagita, né ha fatto proprie classificazioni analoghe, neanche se redatte da grandi Santi.

NOMI DEGLI ARCANGELI
Dalla frase presente nel Libro di Tobia: “Io sono Raffaele, uno dei sette Angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della maestà del Signore” (Tb 12,9), è diventata opinione diffusa che gli Arcangeli principali siano sette. Purtroppo solo di tre, Raffaele, Gabriele e Michele, la Bibbia ci fa conoscere il nome. Così la corsa a rintracciare nome e funzioni degli altri quattro si è fatta, fin dall’antichità, così caotica e spesso aberrante che la Chiesa, per evitare abusi ed eresie sconfinanti nella magia, nella Cabala, nell’occultismo e nell’esoterismo, si è sentita costretta a più riprese, in Sinodi e Concili, anche sotto pena di scomunica, a proibire di dare nomi e funzioni agli Arcangeli, al di là di quelli messi in evidenza dalla Bibbia (cfr. Laodicea 360, Roma 745, Aquisgrana 799).

ANGELI SENZA ALI
Le prime immagini di Angeli comparvero nei primi secoli del cristianesimo. La più antica che conosciamo è quella dell’Annunciazione raffigurata nella catacomba di Priscilla (fine II-inizio III secolo). Interessante notare che sino alla fine del IV secolo gli Angeli erano rappresentati senza ali, probabilmente per evitare che si confondessero con divinità pagane alate. Una volta uscito dalla clandestinità e riconosciuto ufficialmente dopo l’editto di Costantino (anno 313), il cristianesimo poté… mettere le ali agli Angeli. Questo va a smentire quanti hanno affermato che gli Angeli sono la semplice traduzione dell’immagine della Vittoria, dea alata pagana.

STRETTAMENTE RISERVATO
Durante lo scorrere dei secoli l’interesse per gli Angeli ha conosciuto alti e bassi, momenti di enfasi e momenti di marginalizzazione. Il Medioevo, ad esempio, ha rivolto un’attenzione particolare, talvolta anche esagerata, agli Angeli. Spesso sono state agitate con passione, da opposti schieramenti, questioni a dir poco esilaranti. Ad esempio: “Quanti sono gli Angeli?”; oppure: “Gli Angeli hanno un sesso?”; e in caso affermativo: “Di che sesso sono?”; oppure: “Quanti Angeli possono danzare sulla punta di uno spillo?”. Credo sia importante precisare che tutte queste “strane” domande scaturivano da una questione molto più seria: il problema della loro natura. Gli Angeli sono puri spiriti o hanno un corpo? Sono come immagini astratte o occupano uno spazio concreto? Sono “sostanze” puramente intellettuali o sono dotati di un corpo in qualche modo spiritualizzato? È l’eterno dilemma dei confini tra materia e spirito, riemerso con forza ai nostri giorni nel mondo della fisica, (si pensi alla teoria della relatività ). Quando si cerca di approfondire il discorso sulle particelle sub-atomiche, ci si accorge che ad un certo momento “la materia finisce per perdere consistenza, così da rendere incerti i confini tra spirito e realtà materiale” (J. Guitton).

ANGELI E SANTI
Dalla vita dei Santi emerge molto spesso una familiarità con gli Angeli sorprendente. Nella vita di S. Pio da Pietrelcina ci sono episodi frequentissimi dove il santo Frate consigliava ai suoi penitenti di inviargli il loro Angelo custode. Ad uno di questi che gli domandava: “Ma davvero, Padre, voi avete capito ciò che vi ho mandato a dire per mezzo del mio Angelo custode?”, l’allora Padre Pio rispose un po’ bruscamente: “E che… mi credi sordo?”?. Santa Francesca Romana (1384-1440) vedeva continuamente al suo fianco l’Angelo custode, splendente di luce, ma che perdeva luminosità quando ella cadeva in qualche mancanza, o trascurava di compiere qualche buona azione. Santa Angela Merici (1498-1540), fondatrice delle “Orsoline”, all’età di circa 20 anni ebbe una visione di Angeli e fanciulle che le mostravano quale sarebbe stata la sua vita di educatrice e moralizzatrice di costumi, e di fondatrice di una Congregazione femminile dedita alla carità . Santa Gemma Galgani (1878-1903), mistica straordinaria dotata di doni incredibili, comprese le sacre stimmate, conversava quotidianamente con l’Angelo custode che l’aiutava anche materialmente quando, o per debolezza, o per malattia o altre ragioni, non riusciva a fare quello che doveva. Si racconta che l’Angelo custode le facesse persino da… postino: le spediva e le recapitava la corrispondenza. Ai tre fanciulli di Fatima, Lucia, Francesco e Giacinta, l’anno precedente quello delle apparizioni della Madonna (1917), era apparso per tre volte un Angelo. In una di queste visioni la figura celeste si era presentata come l’Angelo del Portogallo e aveva invitato i tre giovanetti a pregare per la loro patria. Tanti altri episodi si potrebbero raccontare, come di quei Santi che nel varcare la soglia di una porta si fermavano e si ritraevano di lato per dare la precedenza all’Angelo custode… Episodi che parlano al cuore con semplicità e candore, che sanno di pane profumato. Alcuni astronauti, al ritorno dal loro “giretto” a qualche “centimetro” di distanza dal nostro pianeta, sono rientrati nell’atmosfera sentenziando che non ci sono nè Dio, nè Angeli, nè Santi: loro non li avevano incontrati. Oggi a tanta gente queste cose possono sembrare ridicole e puerili. Ma chi è abituato a captare la realtà anche con qualche altra “antenna”, sa che “se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18,3).

 

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