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Dire di no ai bambini: quando, perché, come.

STABILIRE LIMITI  (estratto dal libro: “GENITORI CHE AVVENTURA! PRINCIPI PRATICI PER EDUCARE I FIGLI“, edizioni San Paolo, autrice Sofia Mattessich)

Circa all’età di un anno diventa necessario dire al bambino i primi “no” e cominciare così a stabilire dei limiti; di frequente i genitori esitano a farlo, un po’ per stanchezza – cedere a qualunque desiderio del figlio può sembrare in un primo tempo più facile che opporvisi –, un po’ perché desiderano non farlo soffrire.
Innanzitutto, è necessario distinguere i bisogni del bambino – esigenze che vanno soddisfatte – dai suoi desideri – che non è detto vadano esauditi. Per esempio, può darsi che un figlio, in seguito a un trasloco o a un altro cambiamento nella sua vita, richieda maggiormente la vicinanza dei genitori; sarebbe opportuno, in questo caso, che la sua esigenza venisse riconosciuta e in qualche misura soddisfatta nel periodo necessario al bambino per adattarsi. È diverso, invece, il caso di un figlio che desidera sempre addormentarsi con il genitore accanto al suo letto: si tratta di un desiderio al quale può essere bene dire “no”.
Il “no” detto con affetto, calma e fermezza è salutare; i limiti imposti al bambino devono essere stabili e coerenti (il più possibile condivisi da tutti coloro che si occupano di lui), in modo che egli abbia chiaro ciò che è permesso e ciò che è proibito. Il bambino che riesce ad averla vinta con un genitore, può esprimere un senso di trionfo in un primo momento, ma in realtà il fatto di riuscire a dominare l’adulto che si occupa di lui, di sentirsene più potente, gli trasmette insicurezza e ansia: il piccolo si sente in balìa dei suoi desideri e delle sue emozioni, senza che vi sia un adulto forte che sappia arginarli – adulto forte che dopo qualche anno il bimbo interiorizzerebbe come un’istanza mentale che gli permette di autoregolarsi. In altre parole, l’adulto che pone dei limiti – ripeto: con affetto, calma e fermezza – contribuisce a strutturare la personalità del bambino, in modo che un domani sarà lui capace di dirsi autonomamente, per esempio: “No, adesso non posso giocare, perché prima devo finire i compiti”.
Di fronte al “no”, il bambino sperimenta frustrazione e può darsi che provi rabbia; lasciamogliela esprimere, ma secondo modalità socialmente accettabili: per esempio, non accettiamo che ci prenda a calci, ma accettiamo che pesti i piedi per terra. L’esperienza della frustrazione rappresenta per il piccolo un’opportunità essenziale di imparare a far fronte alle difficoltà e di rafforzarsi. I bambini che vedono soddisfatti tutti i loro capricci non crescono felici, ma fragili.
Quando diciamo “no” a un desiderio di nostro figlio o vogliamo sgridarlo per qualche motivo, dobbiamo osservare tre passi: 1) esprimere comprensione per il suo desiderio e i suoi sentimenti; 2) mostrargli però le esigenze della realtà; 3) dargli sostegno e valorizzarlo. Per esempio, potremmo dire: “(1) Capisco che vorresti restare qui al parco a giocare con i tuoi amici e che ti dispiace dover tornare a casa, (2) ma dobbiamo rientrare, perché devo preparare la cena; (3) [quando il bambino acconsente, seppur sbuffando] bravo, ero certa che avresti capito”. Oppure: “(1) Capisco che sei arrabbiato perché quel bambino è salito sulla tua bici senza permesso, (2) ma non bisogna mai dare gli spintoni: devi chiedergli ‘puoi scendere dalla mia bici?’; (3) capita a tutti di sbagliare: sono certa che la prossima volta saprai fare meglio”. In questo modo il bambino non percepisce un genitore “cattivo” che proibisce e sgrida, ma un genitore che (1) lo capisce e (2) gli indica le esigenze della realtà che comportano anche frustrazioni – frustrazioni alle quali (3) egli è in grado di far fronte.

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Sofia Mattessich  “Genitori che avventura! Principi pratici per educare i figli”

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013, pp. 50, € 7.00 (e-book: € 2.99)

Sofia Mattessich

Genitori che avventura! Principi pratici per educare i figli.

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013, pp. 50, € 7.00 (e-book: € 2.99)

 

Capita di sovente, al termine di un incontro di formazione per genitori, di sentirsi rivolgere la richiesta di indicazioni bibliografiche valide e spendibili Non è facile fornire risposte adeguate. Non perché manchino i titoli: la letteratura al riguardo è abbastanza abbondante. Il problema sta piuttosto nel trovare testi che uniscano l’immediatezza della comunicazione ad una sufficiente dose di profondità.

Sono ovviamente da evitare quei manualetti che pretendono di impartire “istruzioni per l’uso” al genitore fornendo facili ricette da applicare ciecamente. Appare evidente che in un campo così delicato, che mette in gioco la peculiarità e l’unicità del rapporto genitore-figlio, l’unica via praticabile sia quella di proporre un “metodo”,  e quindi un atteggiamento, uno stile operativo capace di generare scelte autonome, da incarnare nelle situazioni specifiche che si presentano nella vita quotidiana.

Ma trasmettere un metodo non è cosa semplice. I testi metodologici (un esempio fra tutti : “Genitori efficaci” di Thomas Gordon)  risultano spesso difficili da assimilare per un genitore che non abbia una cultura specialistica, e che non sia avvezzo ai linguaggi delle scienze dell’educazione.

E’ a partire da queste considerazioni che ho letto con curiosità, e poi con crescente attenzione, il piccolo libro di Sofia Mattessich, psicologa specializzata nell’area dello sviluppo di bambini e adolescenti.

Il testo ha il pregio della brevità, e insieme della chiarezza espositiva. Attraverso alcune parole-chiave (relazione, conoscenza, limiti, autostima…) e con esempi pratici tratti dalla vita familiare conduce il lettore ad immedesimarsi in uno sguardo, a fare propri gesti e strategie che – lo si può leggere tra le righe – riconducono ad una precisa visione psicopedagogica dell’educazione e del ruolo genitoriale.

La centralità dell’ascolto, della relazione affettiva, l’importanza dell’empatia (“mettersi nei suoi panni”), la gestione dei limiti e delle emozioni, la correzione orientata sempre all’incoraggiamento, la promozione dell’assertività, il sostegno dell’autostima…  Sono tutti “principi”, non enunciati in modo astratto, ma documentati in azioni concrete, che si rifanno ad un modello che pone al centro il bambino, la sua vita emotiva, la sue esigenze, mettendo in discussione le pretese dell’adulto, le sue aspettative spesso esorbitanti, le sue ansie prestazionali.

Colpisce, nelle modalità espositive dell’autrice, lo sforzo costante di evidenziare il “rovescio positivo” di ogni situazione, di ogni intervento educativo. Anche l’uso dei “no”, la correzione, la gestione delle rabbie, il richiamo alle regole vengono riproposti in chiave affettiva, con una cura costante ad evitare gesti di squalifica e di disconferma, a trasmettere al figlio stima e comprensione, a privilegiare i “comandi positivi” rispetto alle critiche e alle proibizioni.  

Leggere queste pagine significa fare un piccolo percorso, prendendo le distanze dall’immagine del “figlio ideale”, per “riconoscere e valorizzare il figlio reale, quale egli è, con le sue qualità e i suoi limiti”.

 Luigi Regoliosi (Docente Facoltà Scienze dell’Educazione, Università Cattolica di Brescia)