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7 cose da sapere sul come NON farsi abbindolare nel campo dei DSA (guida genitori).

Inizia un nuovo anno scolastico e di certo sarà capitato anche a te di trovare proposte, pubblicità, inviti e quant’altro per i propri figli con Dislessia e Disturbi Specifici di Apprendimento.

In tal senso, vorrei provare a fornirvi una nostra breve guida al fine di risparmiare tempo, denaro e risorse (almeno secondo noi), ecco le 7 cose da conoscere assolutamente.

1- “Con questo risolvi tutti i problemi”. Evitate strumenti e materiali che si propongono come soluzioni immediati per tutti i DSA.

I DSA sono molto complessi, e sono Dislessia (lettura, velocità/correttezza), Disortografia (problemi ortografici), Disgrafia (espressione grafica scrittura), Discalculia (calcoli e fatti numerici), servono strumenti e materiali studiati caso per caso. Trovate quello che serve al caso vostro. La logica “uno per tutti”, purtroppo, in questo caso, non va bene. Ancora meno bene un qualcosa con cui risolvo immediatamente tutti i problemi a scuola.

2- “Efficacissimo per la Dislessia”. Il concetto di efficacia riguarda validazioni scientifiche. Spesso il termine “efficace” viene usato nel marketing per attrarre l’utente. Ciò non toglie che potrebbe essere efficace davvero, invitiamo solo ad essere cauti.

3- “Problemi educativi”, e/o “problemi didattici”. Molti, e sottolineamo, molti genitori hanno con i propri figli problemi educativi o generali di apprendimento. Come anche i bambini con Dislessia e DSA. Ma ciò non ci deve indurre in confusione. Infatti non è affrontando la Dislessia con utilissimi consigli educativi che potete far apprendere meglio vostro figlio. E neppure con semplici ed usuali strategie didattiche che possono andare bene anche con chi non è dislessico. Certo, queste cose aiutano enormemente, ma la strada maestra è intervenire sul problema reale (una lettura che non si può usare per l’apprendimento in modo comune) e non su fattori, reali ma tuttavia continenti e paralleli.

4- “Interviste e convegni”. Ne esistono di strepitosi, come interviste, convegni ed altro. Anche noi li facciamo girare al fine di divulgare una corretta conoscenza dal problema. Ma restano fini a se stessi, ovvero semplicemente come attività di sensibilizzazione. Tecnica della sensibilizzazione spesso usata per attrarre sul proprio servizio o associazione l’attenzione di molti. Utili in un primo momento, ma, purtroppo, non sufficienti.

5- “Gruppi di bambini con Dislessia”. Iniziamo con il dire che sono uno strumento molto utile, e consigliatissimo. Unica cosa di cui stare attenti è: cosa ne pensa il bambino? E’ pronto a confrontarsi con gli altri? Il condutture degli incontri è un semplice volontario oppure una persona qualifica ed esperta? Purtroppo, alle volte pur di avere un buon numero si inseriscono tutti i bambini che ne fanno richiesta, senza effettivamente verificare se sia il caso o meno. In più, piccole o grandi realtà associative territoriali, pur di risparmiare, convocano volontari o personale non prettamente qualificato. Potrebbe essere impopolare dirlo, ma sulla salute emotiva dei nostri figli, meglio pensarci bene se fare o non fare un tipo di attività.

6- “Pc a scuola”. Non fatevi prendere dalla foga della soluzione “immediata”, rischiate davvero molto, ecco perché: A) se un bambino non sa ben usare i programmi (magari dopo un percorso di training di autonomia) non lavorerà bene con il Pc e piano piano lo abbandonerà; B) Le difficoltà di apprendimento comportano difficoltà anche con il Pc, dunque se non vi sarà un’adeguata abilità di velocità di lettura o di scrittura su tastiera sarà probabilmente tutto inutile; C) integrazione del bambino con dislessia e del suo Pc in classe: gli altri bambini come si comportano? Lui ne è favorevole? Spesso pur di vendere programmi costosissimi si è disposti a by-passare l’opinione del diretto interessato: il bambino con dislessia.

7- “Esperti in Dislessia e DSA”. Questo richiederebbe un capitolo a parte, lo faremo nei prossimi mesi. Per adesso sottolineamo che per quanto concerne l’aiuto al bambino con Dislessia, fatevi sempre dire con estrema chiarezza quali obiettivi si intende raggiungere e quali sono i tempi. Ad esempio: “obiettivo velocità di lettura, con X materiale, dovremmo osservare un miglioramento già dopo 4/5 mesi”. Oppure ancora “essere autonomo nello studio tramite le mappe, 10 incontri, lavorando con il software Y”.

Non si tratta solo di risparmiare risorse e denaro, e neppure di fare con esattezza la cosa giusta. Si tratta semplicemente di non sprecare la più importante risorsa che abbiamo: il tempo che dedichiamo al bambino con Dislessia e DSA. Quello, mai più nessuno ve lo potrà restituire.

Con un cordiale saluto.

www.gianlucalopresti.net    Dr. Gianluca Lo Presti.

ADHD, ATTENTI AGLI PSICOFARMACI

ADHD, ATTENTE AGLI PSICOFARMACI

[Di Giovanna Canzi – fonte: Letteradonna.it]

Il disturbo da deficit di attenzione è ancora un mistero. Per questo troppo spesso si abusa delle medicine.

In Italia oltre 57 mila bambini sono in cura con psicofarmaci. E ben presto una nuova molecola verrà immessa sul mercato per curare ragazzini “un po’ troppo vivaci”. Mentre, infatti, la sperimentazione della guanfacina è in fase conclusiva – entrerà in commercio fra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – è già iniziato un battage mediatico per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’Adhd. Meglio nota come iperattività, è una patologia che provoca deficit di attenzione e problemi di autocontrollo. Ad affermarlo Luca Poma, portavoce del comitato indipendente di farmacovigilanza pediatrica Giù le mani dai bambini, che dal 2004 si preoccupa di tenere a bada l’eccessiva disinvoltura con cui vengono prescritti psicofarmaci a minori. Primo a intercettare la sperimentazione della guanfacina, iniziata in gran segreto alla Fondazione Stella Maris di Pisa, il comitato punta il dito sul conseguente bombardamento di articoli di giornale, servizi televisivi e siti web che stanno preparando il terreno per far sì che il nuovo farmaco venga accolto “con entusiasmo” da genitori, insegnanti e pediatri.
UNA MALATTIA ANCORA MISTERIOSA
La storia dell’Adhd, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, comincia da lontano. Già nel 1845 in un trattato del medico Heinrich Hoffmann si trovano tracce di una malattia dell’infanzia caratterizzata da distrazione e vivacità eccessiva, anche se bisogna aspettare la fine degli Anni ’60 perché il disturbo prenda il suo attuale nome, Attention Deficit/Hyperactive Disorder, e venga considerato una pericolosa patologia in grado di rendere la vita difficile ai genitori di tanti piccoli Gianburrasca: «Il vero problema relativo a questa malattia», sottolinea  Rita Dalla Rosa, autrice del recente volume La fabbrica delle malattie. Bambini e psicofarmaci: ecco come le multinazionali cerano di ammalare i nostri figli (Terre di Mezzo ed.), «è che non è ben chiaro come scoprirla, visto che non ci sono esami che la possono misurare. L’unica via da percorrere è andare per ipotesi e per accertarne la presenza si ricorre ai manuali di psicodiagnosi che riportano un elenco di sintomi che devono essere presenti per parlare di Adhd».
Non tutti i bambini vivaci soffrono di disturbo da deficit di iperattività.
Non tutti i bambini vivaci soffrono di disturbo da deficit di attenzione/iperattività.
L’ITALIA E LA VIA DELLA PRUDENZA
Se negli Stati Uniti l’Adhd si è trasformata in una sorta di epidemia da curare con farmaci ad hoc (qui i casi hanno registrato un’esplosione: erano 150 mila nel 1985, mentre oggi sono 11 milioni), in Italia per fortuna il panorama è più rassicurante. Il nostro Paese è, infatti, l’unico al mondo ad avere istituito un registro nazionale Adhd, che tiene nota del numero dei piccoli pazienti presi in cura e della durata del trattamento: «Un passo importante», sottolinea Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri e del registro lombardo, «che permette di avere il quadro della situazione e proporre delle linee guida, alle quali attenersi per affrontare una patologia che deve essere affrontata con molteplici approcci. In primo luogo con un percorso di tipo psicologico (dinamico, famigliare, comportamentale) e solo nei casi più gravi con il supporto farmacologico, sempre accompagnato da una terapia psicoterapica di sostegno».
NON SOLO ADHD
Ma l’Adhd non è l’unica malattia per la quale i piccoli vengono sottoposti a questo tipo di cure farmacologiche. In Italia oltre 57 mila bambini assumono psicofarmaci, in particolare 24.640 con antidepressivi e 7.100 con antipsicotici (dati del Rapporto Arno-bambini 2011, consorzio interuniversitario Cineca), mentre dai risultati di un’indagine condotta da Telefono Azzurro ed Eurispes emerge che tra gli studenti delle scuole superiori il 18,6% dichiara di assumere tranquillanti e il 14,7% di far uso regolare di antidepressivi. Numeri che preoccupano e che rivelano, come spiega il professor Bonati, «che ricorrere al farmaco è spesso la via più semplice e meno costosa da prendere, mentre l’idea di affrontare un percorso alternativo può spaventare perché lungo e faticoso. Ma sicuramente fondamentale nella prospettiva di una vera guarigione».
In Italia oltre 57 mila bambini sono in cura con psicofarmaci. E ben presto una nuova molecola verrà immessa sul mercato per curare ragazzini “un po’ troppo vivaci”. Mentre, infatti, la sperimentazione della guanfacina è in fase conclusiva – entrerà in commercio fra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – è già iniziato un battage mediatico per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’Adhd. Meglio nota come iperattività, è una patologia che provoca deficit di attenzione e problemi di autocontrollo. Ad affermarlo Luca Poma, portavoce del comitato indipendente di farmacovigilanza pediatrica Giù le mani dai bambini, che dal 2004 si preoccupa di tenere a bada l’eccessiva disinvoltura con cui vengono prescritti psicofarmaci a minori. Primo a intercettare la sperimentazione della guanfacina, iniziata in gran segreto alla Fondazione Stella Maris di Pisa, il comitato punta il dito sul conseguente bombardamento di articoli di giornale, servizi televisivi e siti web che stanno preparando il terreno per far sì che il nuovo farmaco venga accolto “con entusiasmo” da genitori, insegnanti e pediatri.
UNA MALATTIA ANCORA MISTERIOSA
La storia dell’Adhd, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, comincia da lontano. Già nel 1845 in un trattato del medico Heinrich Hoffmann si trovano tracce di una malattia dell’infanzia caratterizzata da distrazione e vivacità eccessiva, anche se bisogna aspettare la fine degli Anni ’60 perché il disturbo prenda il suo attuale nome, Attention Deficit/Hyperactive Disorder, e venga considerato una pericolosa patologia in grado di rendere la vita difficile ai genitori di tanti piccoli Gianburrasca: «Il vero problema relativo a questa malattia», sottolinea  Rita Dalla Rosa, autrice del recente volume La fabbrica delle malattie. Bambini e psicofarmaci: ecco come le multinazionali cerano di ammalare i nostri figli (Terre di Mezzo ed.), «è che non è ben chiaro come scoprirla, visto che non ci sono esami che la possono misurare. L’unica via da percorrere è andare per ipotesi e per accertarne la presenza si ricorre ai manuali di psicodiagnosi che riportano un elenco di sintomi che devono essere presenti per parlare di Adhd».
L’ITALIA E LA VIA DELLA PRUDENZA
Se negli Stati Uniti l’Adhd si è trasformata in una sorta di epidemia da curare con farmaci ad hoc (qui i casi hanno registrato un’esplosione: erano 150 mila nel 1985, mentre oggi sono 11 milioni), in Italia per fortuna il panorama è più rassicurante. Il nostro Paese è, infatti, l’unico al mondo ad avere istituito un registro nazionale Adhd, che tiene nota del numero dei piccoli pazienti presi in cura e della durata del trattamento: «Un passo importante», sottolinea Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri e del registro lombardo, «che permette di avere il quadro della situazione e proporre delle linee guida, alle quali attenersi per affrontare una patologia che deve essere affrontata con molteplici approcci. In primo luogo con un percorso di tipo psicologico (dinamico, famigliare, comportamentale) e solo nei casi più gravi con il supporto farmacologico, sempre accompagnato da una terapia psicoterapica di sostegno».
NON SOLO ADHD
Ma l’Adhd non è l’unica malattia per la quale i piccoli vengono sottoposti a questo tipo di cure farmacologiche. In Italia oltre 57 mila bambini assumono psicofarmaci, in particolare 24.640 con antidepressivi e 7.100 con antipsicotici (dati del Rapporto Arno-bambini 2011, consorzio interuniversitario Cineca), mentre dai risultati di un’indagine condotta da Telefono Azzurro ed Eurispes emerge che tra gli studenti delle scuole superiori il 18,6% dichiara di assumere tranquillanti e il 14,7% di far uso regolare di antidepressivi. Numeri che preoccupano e che rivelano, come spiega il professor Bonati, «che ricorrere al farmaco è spesso la via più semplice e meno costosa da prendere, mentre l’idea di affrontare un percorso alternativo può spaventare perché lungo e faticoso. Ma sicuramente fondamentale nella prospettiva di una vera guarigione».

Di Giovanna Canzi – fonte: Letteradonna.it