La Storia di Rosa ovvero non sono pollicino…ma ci vado vicino!

La Storia di Rosa ovvero non sono pollicino…ma ci vado vicino!

NON SONO POLLICINO, MA… CI VADO VICINO!

Avete presente Pollicino? Beh, se io fossi il personaggio di una favola… sarei appunto Pollicino!
Anzitutto, gli somiglio perché – proprio come lui – mi sono ritrovata in dote una lunga fila indiana di fratelli maggiori, sempre pronti a stuzzicare e a criticare. Fratelli a cui – nonostante tutto – voglio anche molto bene, perché quando ero più piccola hanno comunque saputo giocare con me e m’hanno insegnato tante cose divertenti. M’hanno fatto capire, soprattutto, che la condivisione è il segreto per essere più forti e più grandi, più allegri e fiduciosi. Almeno, quando ci si riesce… E, bisogna pur dirlo, non è mica una cosa facile facile sopportarsi e crescere insieme. Non son bazzecole!
Come Pollicino, poi, mi sono persa un paio di volte nel bosco ingarbugliato della vita: ho fatto i miei tentativi e le mie prove, lasciando cadere lungo la strada molliche (o briciole, che dir si voglia) e annusando tante vie diverse. Un pò come un cane segugio, sperso e perplesso.
Ho pensato, allora, a dove mi sarebbe davvero piaciuto arrivare: prima d’essere sorpresa dalla notte e dalle ombre, proprio come nella favola, era importante capire. Era importante pensare. Perciò riflettevo: che potrò mai fare, quando sarò finalmente cresciuta? E anche questa, lo sapete, non è una cosa banale.
Così, da principio, ho creduto che mi sarebbe piaciuto fare l’attrice di teatro; ma – ad esser sincera – è stato solo il pensiero d’un brevissimo momento. Mi sono divertita soltanto a provarci, a salire su un palco e ad affrontare il buio sussurrante della sala. E mi è anche molto servito: serve sempre a una timidona come me… Ma non era quella esattamente la mia via. Dunque, ancora oltre a cercare sentieri nel bosco…
Poi, ho provato a studiare da archeologa: bellissima cosa e, tuttavia, impresa troppo faticosa rispetto alla relativa forza della mia passione per le tracce lasciate dagli antichi. Passione importante, sì, ma non certo paragonabile al bisogno che ho sempre avuto di scrivere. Che, del resto, è un pò come lasciar cadere i famosi sassolini di Pollicino. Tracce nere sulla carta bianca.
Sì… Quella, in verità, è sempre stata la marcia più potente per me: scrivere. E’ come una specie di sete di parole, capace di trascinarmi lontano e di farmi sentire finalmente libera come un gabbiano. Scrivere mi fa scivolare dentro di me e svolazzare attorno alle cose, là dove mi posso sentire coccolata e sicura come nell’abbraccio di un amico sincero. Un pensiero che mi piace.
Beh, non mi ricordo né quando né come ho cominciato a scrivere. Oltretutto, ho frequentato una scuola elementare Montessori, quindi davvero a me manca anche l’esperienza – comune a molti altri – delle noiose paginette piene di lettere e letterine. Io, al contrario, so solo di aver sempre scritto volentieri – fin dall’inizio – frasi su frasi. E, con o senza errori, le mie lunghe storie a quei tempi venivano appese alle pareti della classe o riempivano i cassetti delle scrivanie di casa. Anno dopo anno, si allungavano assieme a Rosa.
Al di là di quanto potessi essere effettivamente brava, questo era un fatto incredibile: per una bambina, infatti, rintracciare un ambito in cui essere lodata e riconosciuta equivale ad aver trovato la lampada d’Aladino o la gallina dalle uova d’oro. E’ un modo per sentirsi sicuri, soddisfatti, fieri. Indipendenti persino nei momenti di noia e di solitudine. Quando ti perdi in cupi pensieri.
Per questo, alla fine, sono finita a fare la giornalista e la redattrice. Ho scritto di campi da golf e di partite di polo, di campioni di tennis e di grandi stiliste, di personaggi famosi e meno famosi, di luoghi d’arte e di villeggiatura. Persino, a un certo punto, m’è capitato di fare articoli sulle auto d’epoca. Pensate un pò: io, che non ho mai nemmeno preso la patente!!
Lavorare in una redazione, digitando veloce su una tastiera come un pianista che fa scivolare le sue mani sullo strumento, è sempre stato il mio sogno. E, nel mio piccolo, ci sono dunque riuscita. Un viaggio meraviglioso, tra montagne di carta e idee da realizzare. Tutti insieme.
A dirla tutta, ho inventato anche i testi di qualche pubblicità e ho preso un diploma in Scienze della Comunicazione: un pezzo di carta con su scritto “copy-writer”. Una cosa divertente, anche quella. Un messaggio, più o meno colorato, che deve correre dritto all’occhio e all’orecchio del suo ricevente. Un salto, una capriola: tutto d’un fiato e quindi dritto come la freccia sul centro.
Insomma, eccomi qua. Non ho fatto cose eccezionali, ma credo di aver cominciato a capire – finalmente – dove voglio andare. O meglio, dove voglio tornare.
Voglio tornare, ogni giorno, a leggere storie come da bambina. E a scriverne, se possibile. Oppure a raccontare – anche a voi, perché no! – quanto sono belle quelle create dalla penna e dalla matita di qualcun altro. Qualcuno che mi somiglia o che mi affascina per la sua diversità da me, qualcuno che mi distrae dalla tristezza o che mi trascina in una lunga risata. Fino – non c’è dubbio – alla parola fine.
Il bello, del resto, è che terminato un racconto ne può cominciare subito un altro. E – se leggere è come cominciare un nuovo viaggio, e forse qualcuno l’ha già detto – scrivere, per me, è come ritrovare la strada: lasciare cadere, non senza fatica, i sassolini di Pollicino; e fare in modo che, l’indomani, siano ancora lì. Per correre nel tempo, indietro e avanti. Per gettare un ponte tra il cuore e i pensieri, liberi di volare eppure ancorati a me stessa. Al mio modo di percorrere la vita, foglio dopo foglio. Con un punto che sta per un respiro, una virgola che abbraccia un’idea appena nata.
Tutto qui. Ora ho quasi quarant’anni (ma ci devo sempre pensare prima di dirlo, ché non mi pare proprio possibile!) e ho finalmente imparato a lanciare sassolini al posto del pane. Sassolini per mia figlia, che è la cosa più bella che abbia mai disegnato. Sassolini per tutti i bambini che incontro, per le strade cittadine o in altri dedali virtuali. A loro, con gioia, ho ormai deciso di dedicare il mio lavoro. Quel poco o tanto che so fare – scrivere, leggere, pensare, inventare… – ho stabilito di metterlo a loro disposizione. Come? Piazzandomi come un segnalibro canterino dentro piccoli-grandi libri da non farsi sfuggire, inventando con altri amici incontri educativi e corsi creativi, organizzando dibattiti tra genitori e insegnanti. E, soprattutto, non perdendo mai il gusto di tornare io stessa piccola piccola. Come Pollicino.

Rosa Benedica Nicolini
rosa.nicolini2@virgilio.it