Per lunghi millenni gli animali hanno mosso attrezzi agricoli. Solo con l’avvento dei trattori, la forza muscolare è stata sostituita da quella meccanica. Tradizionalmente il contadino abituava i giovani buoi e le vacche al giogo di legno al quale si fissava il timone dell’aratro o del carro. Non solo: ad essi veniva dato un nome e, durante il lavoro nei campi, li si chiamava per spronarli. Questo perché, soprattutto nell’aratura, dove i bovini erano vincolati al traino in coppia, era fondamentale che ciascuno dei due avesse mantenuto lo stesso passo dell’altro, ubbidendo alla voce del padrone. Infatti la guida dell’aratro era molto impegnativa e non dava l’opportunità all’agricoltore di usare agevolmente il pungolo o la frusta per dirigere le sue bestie.

 

LAVORO DEL MESE

Nel mese di agosto si preparava il terreno arandolo con i buoi che trascinavano un aratro guidato dall’agricoltore. Dietro ad esso seguivano due persone che, dove non arrivava la lama dell’aratro. provvedevano a dissodare il terreno con il piccone o la zappa. Si iniziava la mattina presto e si rientrava nelle fattorie o case coloniche verso le ore 11.00. Era necessario abbeverare e far mangiare i buoi per poi riprendere il lavoro nel pomeriggio e terminare all’ora di cena.

 

L’ ARATRO

Non bisogna sottovalutare l’importanza dell’aratro e del carro da traino. Questi utensili, infatti, operando efficacemente soprattutto nelle grandi dimensioni di terra, favoriscono lo sviluppo dell’agricoltura e dell’accumulo in magazzini di grandi quantità dei prodotti ricavati. A seguito di ciò si ebbero quindi forti mutamenti nella struttura e nei rapporti sociali. Per difendere tali risorse in caso di aggressioni, si impose la necessità di decisioni rapide e quindi di un potere coercitivo per farle applicare. Questo favori l’emergere di un consiglio istituzionalizzato capeggiato da personaggi autorevoli e il distinguersi di un ceto guerriero accanto a quello degli artigiani e dei mercanti che iniziavano a differenziarsi. Dall’era del bronzo medio in poi si verificò l’estendersi e lo stabilizzarsi degli insediamenti. Questo portò nel tempo allo sviluppo delle città che potevano vivere grazie alle derrate alimentari provenienti dalle campagne attigue.

VOCABOLARIO

Vomere: Robusta lama triangolare dell’aratro,che taglia orizzontalmente la zolla di terra dopo l’incisione verticale operata dal coltro.
Coltro: nell’aratro, lama d’acciaio collocata davanti al vomere che fende la terra verticalmente.
Bure: nell’aratro, il timone, cioè la stanga di legno o d’acciaio che costituisce la struttura centrale dell’attrezzo, alla cui parte anteriore viene innestato il giogo.
Versoio: componente dell’aratro, costituita da una lamiera concava d’acciaio, che ha la funzione di rovesciare la zolla tagliata dal vomere.

 

LA STORIA

La storia dell’aratro è antica, varia e complessa secondo le epoche e le zone geografiche. Noto in area mesopotamica (attuale Iraq) nel IV millennio a.C., esso segna l’affermarsi di una agricoltura organizzata che favorì l’apparire delle città. Il suo uso si consolidò in Egitto nel corso del III millennio e passò poi in Europa. Esso ha subito nei secoli notevoli modificazioni ed adattamenti. Da semplice bastone con punta inferiore incurvata in avanti per incidere il suolo, si passò nell’antico Egitto ad un tipo con la parte lavorante ancora più ricurva. I greci attribuirono il primo impiego dell’aratro di legno al mitico Trittolemo. In area nord-italiana è testimoniato nel III millennio a.C. Dal VII secolo in poi, specie in epoca etrusca, comparve il vomere in ferro e si ebbe così una grossa rivoluzione tecnologica, in quanto esso permise una migliore lavorazione delle terre argillose compatte che costituiscono gran parte della nostra Penisola. I Romani introdussero il carrello (aratro a carrello) ed il coltro, cioè quell’elemento collocato davanti al vomere atto a tagliare verticalmente la terra, ed aprirono la strada all’aratro asimmetrico. Nel corso del Medioevo si affermò questo tipo di aratro con versoio, il che rappresentò un ulteriore progresso. Proprio grazie al versoio si può meglio rivoltare la terra per aerarla e riportare in superficie gli elementi fertili. L’aratro così fatto ha mantenuto, pur con differenziazioni locali, e secondo la natura dei terreni, le medesime caratteristiche fino all’avvento della meccanizzazione agricola.