“I terribili due anni”: etichetta o generalizzazione?

“Ormai anche io sono diventato grande. Dalla mia bocca non escono più solo versetti, ai quali i miei genitori un tempo rispondevano solo con sorrisi giganti e un po’ spaesati.

Sorrisi così dolci e divertiti, che facevano ridere anche me. Ora da quando ho cominciato a dire “pappa”, in pochi minuti mi ritrovo tra le mani un gustoso biscotto da mordicchiare. A volte è un po’ un’impresa riuscire a divorare quella bontà croccante, perché i dentini non mi sono ancora cresciuti tutti e le gengive hanno da lavorare parecchio quando c’è da masticare! Inoltre è inevitabile per me sporcarmi ogni volta le manine con la saliva mischiata a pezzettini di biscotto. Quindi se mi innervosisco troppo per la lentezza di questa procedure, l’impulso è inevitabile! Devo lanciare per terra il biscotto!!! Quando, invece, sono talmente felice ed eccitato, mi viene spontaneo scalciare e gettare tutto ciò che mi trovo in mano! Tanto poi mi arriva qualcos’altro da sgranocchiare… Quando, invece, mi sento sazio e riesco a divorarlo tutto, mi sento davvero molto soddifsatto!

Quando dico “mamma” o “papa” i miei genitori sembrano impazzire di gioia, si mettono a cantare, mi prendono in braccio e mi riempiono di baci.

In questi mesi ho imparato a fare tante altre cose. Sto finalmente in piedi da solo e riesco anche a muovere qualche passo in avanti. E vi assicuro che rispetto a quando gattonavo è una grande comodità! Mi sento più libero, posso andare in esplorazione per la casa. Il prossimo traguardo, per cui mi sto duramente allenando è quello di salire sul divano! Quando riuscirò ad arrivarci mi sentirò davvero un campione! Non ho ancora capito, in realtà, se non riesco perché è troppo faticoso o perché vengo sempre fermato dai grandi. Io vorrei così tanto arrivare sulla cima e sembrare più alto! E quando questo mi viene impedito, vado su tutte le furie!!

Mi sembra di essere proprio forte in questo periodo, capace di avere maggiore controllo sul mio corpo, anche nei movimenti, in cui prima ero un po’ più impacciato. Ora ho anche imparato a fare la cacca nel vasino, ma presto proverò anche a sedermi sul water e a spingere con forza anche lì nel momento del bisogno. Penso che il meccanismo sia lo stesso, devo solo verificare che il mostro del water sia scomparso, così mi posso rilassare!

E’ proprio motivo di grande orgoglio per me sentirmi in grado di parlare, camminare, fare la cacca non più nel pannolino! Ho ancora tanti passi da fare perché non mi percepisco ancora così sicuro e ho la sensazione che, in alcuni momenti, i miei genitori non capiscano bene le mie emozioni e intenzioni. Ad esempio, ieri ero molto annoiato e mi stavo allenando per raggiungere la cima del divano. Mi mancava veramente un soffio e ce l’avrei fatta! All’improvviso un “NO!” severo e risonante mi è vibrato nelle orecchie, facendomi perdere l’equilibrio, finchè non sono finito tra le braccia di mamma. Quest’ultima mi continuava a parlare con un tono lamentoso (non so cosa mi stesse comunicando, credo la sua solita ramanzina incomprensibile..). Di reazione, percependo una sensazione spiacevole a metà tra lo spavento e la frustrazione di non essere riuscito nel mio intento, ma non riuscendo ad esprimerlo a parole, ho provato prima a imitare la mamma con i suoi lamenti e poi sono scoppiato in un pianto inconsolabile! NOOO…quello era la MiA gara, il MIO spazio e ci stavo riuscendo da solo!! Come sono arrabbiato e deluso! Mi sento impotente e riesco solo a piangere e urlare! Uaaaaaaaaaa!!

Dopo qualche minuto di disperazione, finalmente la mamma riesce a calmarmi, mi abbraccia e mi parla. Forse ha capito quanto fosse importante per me il raggiungimento di quel traguardo, infatti, mi solleva sul divano, ma questa volta sono avvolto dalle sue braccia, protetto. Finalmente mi sento capito”.

Il bambino del racconto sta sperimentando l’ingresso nella cosiddetta terribile “fase dei no”, o “periodo dei due anni”, a cui generalmente gli adulti attribuiscono l’origine dei moti di ribellione infantili. E’ il momento storico in cui si sviluppano i primi “capricci”, connotati con disperazione, come degli atteggiamenti di mancata obbedienza, fastidiosi e insopportabili, e che si manifestano proprio nei momenti peggiori: quando si è di fretta o quando ci si trova in contesti pubblici, come al supermercato.

Ho pensato di affrontare questo argomento perché spesso in seduta i genitori, in presa all’ansia e alla preoccupazione, mi chiedono “Dottoressa, nostro figlio è irritabile, urla, ci provoca, che cosa dobbiamo fare?!”. Il mio ruolo non è semplice perché spesso mi trovo a deludere l’aspettativa di ricevere una risposta nell’immediato da parte di genitori, che già si trovano a sperimentare un fallimento rispetto alle proprie funzioni, sono arrabbiati e delusi. In situazioni simili cerco di offrire comprensione rispetto ai vissuti familiari e aiuto i genitori a esplorare le possibili cause che scatenano le crisi nei figli.

Dalla parte dei genitori, nei quali possono circolare diverse preoccupazioni, fantasie, ambivalenze, ci può essere una oscillazione tra la deresponsabilizzante generalizzazione delle crisi infantili (ad esempio “tutti i bambini vanno in crisi ed è del tutto normale”) e una più preoccupata etichettatura (“Aiuto, mio figlio sta per compiere i due anni! Mi troverò in casa un alieno? Come lo gestirò?). Da parte degli adulti, più strutturati, difesi e attrezzati sotto tutti i punti di vista rispetto ai bambini, che, invece, possiedono maggiore spontaneità e flessibilità nella sperimentazione, ma più esigenze di protezione e contenimento, ci possono essere delle fatiche importanti nel processo di sintonizzazione affettiva con loro.

Non sono rare le situazioni in cui il genitore, già di per sé provato dal lavoro, colmo di preoccupazioni, sfinito dalla stanchezza, non possiede né le energie né l’intenzione di assecondare il bisogno più o meno esplicitato dal bambino. I “capricci”, infatti, anche se a volte si fa fatica a crederlo, non vanno intesi come una modalità per manipolare il genitore affinchè consenta al piccolo di fare tutto ciò che vuole purchè la smetta di gridare. Essi sono piuttosto la manifestazione insoddisfatta di un bisogno di varia natura che il bambino non ha ancora gli strumenti per esprimere.

Mi focalizzerò quindi sugli aspetti evolutivi e sani di queste manifestazioni.

Ma che cosa vuole comunicare allora il bambino con i propri “capricci”? Non esiste, purtroppo, una risposta universale, come non esiste una ricetta da seguire per diventare un “bravo genitore”. Alcune figure professionali, come i pedagogisti, possono essere di grande aiuto nel fornire alcune indicazioni pratiche ed educative da utilizzare con i propri figli. Nel mio lavoro con le famiglie, invece, cerco di approfondire che vissuti emotivi cercano di comunicare i bambini. Forse sono arrabbiati per qualcosa? Si sentono frustrati o impotenti, come il bambino del racconto? Si sentono soli e vorrebbero un contatto fisico di vicinanza e affetto? Oppure alla base c’è un disagio psichico più profondo che potrebbe esitare in psicopatologia?

Nella maggior parte dei casi, e di questo i genitori che leggono potranno rassicurarsi, le crisi dei bambini sono evolutive e fondamentali. Come in ogni altra situazione di passaggio significativa, l’essere umano sperimenta una crisi, ma anche un cambiamento rispetto allo stato iniziale di equilibrio. A due anni, come si può intuire dalla narrazione, i bambini cominciano ad acquisire una serie di competenze, tra cui quella del controllo sfinterico, possono muoversi con più sicurezza nell’ambiente e cominciano a pronunciare le prime parole di significato. Il raggiungimento di tali traguardi viene vissuto dai bambini con forte orgoglio e con il bisogno di “marcare” il proprio territorio. La fiducia in se stessi aumenta e ci si deve assicurare il controllo e il possesso sia del proprio corpo sia degli oggetti circostanti. Ecco perché in quella fase esordiscono con frasi come “NO! E’ mio!!”.

Ma questo è un discorso limitato alla teoria psicologia o ci sono delle evidenze scientifiche?

Anche le ricerche di neuroscienze dello sviluppo hanno confermato che durante l’infanzia il bambino non possiede ancora un cervello completamente sviluppato, ma è comunque molto plastico e in continua trasformazione. Pensate che il completamento della corteccia prefrontale, l’area più evoluta e deputata alle funzioni più sofisticate, come il pensiero, la logica, la pianificazione avviene solo a venticinque anni! Ogni volta che il bambino compie una nuova esperienza si attivano le connessioni tra i neuroni, ossia le sinapsi. Quest’ultime, intrecciandosi tra loro, generano reti di “impalcature” che sono alla base della successiva costruzione della propria identità e personalità. Attraverso il gioco e l’imitazione i bambini apprendono e si nutrono non solo a livello relazionale, ma anche cerebrale. Gli studi di neuroimaging hanno evidenziato, inoltre, l’attivazione dei neuroni a specchio, proprio quando si osserva e si imita il comportamento dell’altro (al “no” si reagisce con un altro “no”).

Per favorire un sano sviluppo psico-fisico è allora di fondamentale importanza che i genitori sostengano nella relazione queste “impalcature”, aiutando il bambino a creare idealmente un “ponte” di comunicazione tra pensiero, emozioni e comportamento; tre regioni interdipendenti che se durante la crescita resteranno il più possibile collegate, grazie a un rapporto sicuro con le figure primarie e significative, consentiranno lo sviluppo e il consolidamento dell’autocontrollo, dell’autoconsapevolezza e dell’intelligenza emotiva.

Un articolo della dott.ssa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia.