Cos’è la sindrome di Edwards e perché si sviluppa

Durante la gravidanza, la futura mamma è protagonista di cambiamenti fisici ed emotivi.

Adesso porta in grembo una nuova vita, di cui si deve prendere cura nel modo giusto. In caso di dubbi su come comportarsi, la prima persona cui rivolgersi è il ginecologo. Lui saprà indicare gli esami e il test prenatale giusto da effettuare, in base allo stato di salute della donna.

I test prenatali si dividono in:
invasivi
⦁ non invasivi

I test di screening prenatale non invasivi servono per calcolare la probabilità che il feto presenti anomalie cromosomiche.
Le anomalie più diffuse sono le trisomie (sindrome di Down, di Edwards e di Patau), che diventano più probabili man mano che l’età della gestante aumenta. Sopra i 35 anni, infatti, aumenta anche il tasso di incidenza delle anomalie che interessano il numero di cromosomi1.

La sindrome di Edwards è detta anche Trisomia 18, poiché è causata da una copia di troppo del cromosoma 18. Dopo la sindrome di Down, è la anomalia cromosomica più diffusa al mondo. Si calcola che interessi circa 1 neonato su 8.0002.
Purtroppo i bambini colpiti da sindrome di Edwards tendono a non sopravvivere oltre le prime settimane, superando il primo anno di età solo in rari casi3. In gran parte dei casi, il concepimento si conclude con un aborto spontaneo3.

I bambini con la Trisomia 18 presentano i seguenti tratti:
⦁ bocca piccola
⦁ dismorfia facciale
⦁ palpebra ristretta
⦁ padiglioni delle orecchie dismorfiche
⦁ ritardo mentale grave
⦁ anomalie cardiache3

Un test prenatale può aiutare a scoprire se è presente la trisomia 18 o un’altra anomalia cromosomica. A seconda delle proprie esigenze, la donna può scegliere l’esame di screening prenatale a lei più adatto, valutando fattori come il tasso di affidabilità del test e le tempistiche necessarie per avere i primi risultati.

Il test del DNA fetale è effettuabile sin dalla 10° settimana di gestazione. Per farlo è necessario solo un piccolo prelievo di sangue. I medici lo useranno per isolare frammenti di DNA fetale presenti nel sangue materno. Il test è di ultima generazione e ha un’affidabilità del 99,9% nell’individuazione delle trisomie più diffuse, oltre che di anomalie cromosomiche di altro tipo e di microdelezioni.

Il Bi Test è un esame che si effettua di solito tra la 11° e la 13° settimana insieme alla translucenza nucale, un esame ecografico. È affidabile all’85%. Più avanti, tra la 15° e la 17° settimana di gestazione, è disponibile il Tri Test, che ha un’affidabilità del 60% circa. Nel caso in cui dovesse emergere un’anomalia cromosomica, è bene procedere con un test prenatale invasivo come amniocentesi o villocentesi.

Il ginecologo saprà consigliare il test di screening prenatale più adatto.

Per ulteriori informazioni sul test del DNA fetale, visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:
1) Embriologia medica di Langman di Thomas W. Sadler, a cura di R. De Caro e S. Galli; 2016
2) Ecografia in ostetricia e ginecologia di Peter Callen; 2009
3) Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche -Di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut

L’importanza della prevenzione del tumore al seno e alle ovaie

La ricerca scientifica è sempre attiva nella lotta contro il cancro: ogni giorno si fanno passi avanti nella creazione di nuove cure e di trattamenti personalizzati.

Ancora più importante, però, è ridurre il rischio di una eventuale insorgenza delle neoplasie e diagnosticarle nella fase iniziale. In particolare, è molto importante la prevenzione tumore al seno.

Il cancro al seno è la prima causa di morte per malattia oncologica nella popolazione femminile¹. Eppure, se individuato nei primissimi stadi, le possibilità di sopravvivenza si aggirano intorno al 98%¹.
È inoltre fondamentale portare avanti una serie di strategie di prevenzione, volte a ridurre il rischio di insorgenza della malattia.
La prevenzione del tumore al seno e alle ovaie passa attraverso uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata. In alcuni casi, però, la comparsa della malattia è legata alla trasmissione di alcune mutazioni genetiche. Circa il 10% dei casi di tumore al seno e all’ovaio è infatti riconducibile a mutazioni a carico dei geni BRCA (BReast CAncer)2, 3.
I fattori di rischi ambientali sono affrontabili mediante la profilassi primaria. Per ridurre il rischio di tumore spesso basta già informarsi, mangiare in modo sano e fare una moderata attività sportiva4.
La profilassi secondaria è invece quella necessaria per individuare eventuali predisposizioni genetiche e arrivare ad una diagnosi tempestiva. In questo modo si aumentano le opportunità terapeutiche e le possibilità di guarigione.

Esistono percorsi di screening appositi volti a diagnosticare un tumore nelle primissime fasi. Questi comprendono test genetici che servono a individuare le mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2. Le donne con queste mutazioni hanno infatti fino all’87% delle possibilità di sviluppare il cancro al seno e fino al 40% di sviluppare quello alle ovaie5.
Basta un semplice campione di sangue o di saliva per effettuare un test BRCA, che consente di individuare la mutazione omonima. In questo modo si può misurare il rischio di insorgenza di tumore, lavorare per prevernirlo ed effettuare una diagnosi precoce nel caso fosse necessario.

Per saperne di più sui test genetici per il tumore al seno e all’ovaio: www.brcasorgente.it

Fonti:
1. Nastro Rosa 2014 – LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori)
2. Campeau PM, Foulkes WD, Tischkowitz MD. Hereditary breast cancer: New genetic developments, new therapeutic avenues. Human Genetics 2008; 124(1):31–42
3. Pal T, PermuthWey J, Betts JA, et al. BRCA1 and BRCA2 mutations account for a large proportion of ovarian carcinoma cases. Cancer 2005; 104(12):2807–16
4. Diet, nutrition and the prevention of cancer – Timothy J. Key, Arthur Schatzkin, Walter C. Willett, Naomi E. Allen, Elizabeth A. Spencer and Ruth C. Travis
5. Ferla R. et al. (2007). Founder mutations in BRCA1 and BRCA2 genes. Annals of Oncology. 18; (Supplement 6):vi93-vi98

STAMINALI CORDONALI. Ciò che avremmo sempre voluto sapere

Perché l’applicazione delle staminali in campo clinico desta così interesse?
Perché è importante considerare la conservazione staminali cordone ombelicale?

La funzione del cordone ombelicale è rendere possibile il passaggio di nutrienti tra gestante e nascituro. All’interno del cordone ombelicale sono contenuti, in media, dai 60 agli 80 centilitri di sangue, dove vivono quantità eterogenee di staminali, chiamate nell’insieme: cellule staminali cordonali.

Tali cellule, come dimostrato da studi scientifici, sono state suddivise in:
⦁ cellule staminali cordonali simil-embrionali: questo tipo di cellule staminali può, potenzialmente, differenziarsi in cellule dei tessuti endodermici (es. intestino), mesodermici (es. pelle), ed ectodermici (es. midollo spinale);
⦁ cellule staminali cordonali mesenchimali: sono in grado di creare diversi tessuti come osseo, cartilagineo, adiposo e nervoso;
⦁ cellule staminali cordonali ematopoietiche: queste cellule staminali del cordone sono capaci di distinguersi in cellule midollari ed ematiche;
⦁ cellule staminali cordonali progenitrici endoteliali: possono generare le cellule costitutive dei vasi sanguigni1,2.
Il rilascio della prostaglandina E2, un fattore umorale, dota le staminali di un’azione anti-infiammatoria4,5.

Il vero interesse per le staminali è dovuto alle loro proprietà di differenziarsi e proliferare, che le rendono adatte all’applicazione in medicina rigenerativa. Questa è una branca della moderna medicina che studia la rigenerazione di tessuti e organi, e offre un’alternativa alla loro sostituzione.

Da considerare che, a questo proposito, l’unico trapianto che assicura un alto livello di efficacia in medicina rigenerativa è quello di tipo autologo, dove le cellule trapiantate provengono dal paziente stesso.
Il trapianto allogenico, invece, è eseguito con cellule asportate da un altro soggetto e ciò espone il destinatario del trapianto al rischio di rigetto che lo vincolerebbe all’assunzione perenne di farmaci.
Per quanto riguarda i trapianti allogenici, è preferibile utilizzare cellule staminali del cordone ombelicale invece che cellule staminali ottenute da altri tessuti, per un miglior attecchimento. Le cellule staminali cordonali, infatti, hanno una “immaturità” immunologica1,3 che minimizza il pericolo di rigetto.

Conservare le staminali rappresenta una possibilità di trattare malattie di origini diverse.

Per maggiori informazioni: www.sorgente.com

Note bibliografiche:

1. Francese, R. and P. Fiorina, Immunological and regenerative properties of cord blood stem cells. Clin Immunol, 2010. 136(3): p. 309-22.

2. Mihu, C.M., et al., Isolation and characterization of stem cells from the placenta and the umbilical cord. Rom J Morphol Embryol, 2008. 49(4): p. 441-6.

3. Harris, D.T., Non-haematological uses of cord blood stem cells. Br J Haematol, 2009. 147(2): p. 177-84.

4. Jiang, X.X., et al., Human mesenchymal stem cells inhibit differentiation and function of monocyte-derived dendritic cells. Blood, 2005. 105(10): p. 4120-6.

5. Spaggiari, G.M., et al., MSCs inhibit monocyte-derived DC maturation and function by selectively interfering with the generation of immature DCs: central role of MSC-derived prostaglandin E2. Blood, 2009. 113(26): p. 6576-83.

I viaggi, i bambini e l’attitudine alla scoperta

Perché è importante viaggiare insieme ai bambini

Chi ama viaggiare spenderebbe tutti i risparmi in voli, escursioni e macchine fotografiche. Non vi è cosa più bella di ripensare ai propri momenti d’infanzia più belli, ripercorrendo un album fotografico con ritratti di Praga, Vienna, Cracovia, Parigi.

L’attitudine al viaggio si acquisisce e influenza positivamente. Cercheremo di spiegarvi perché.

Perché viaggiare fa bene ai più piccoli?

Cos’è l’identità di una persona?

Proviamo a definirla: il frutto della soddisfazione di bisogni (anche materiali), dei rapporti umani che si riesce a costruire e di situazioni di vita che stimolano la mente, la fantasia e la creatività.

È facile intuire come un bambino che si ricordi di viaggi e avventure che abbiano stimolato la propria creatività e la propria curiosità, possa sviluppare un’attitudine a costruire da adulto rapporti, relazioni e situazioni che stimolino la sua curiosità e che permettano di apprendere.

Ogni bambino è curioso di conoscere, di vedere cose nuove. Ogni bambino è stimolato da posti, culture, situazioni e paesaggi nuovi.

Inoltre, è importante sottolineare un fattore spesso sottovalutato dai genitori, al momento di decidere se partire o meno con i propri piccoli: i bambini sono felici di vedere i propri genitori felici.

Se il viaggio è un desiderio di papà e mamma e porta loro momenti di felicità, questa felicità accompagnerà anche i piccoli.

Quindi, quando ci si chiede se partire se si hanno figli piccoli, non bisogna preoccuparsi troppo del fatto che un bambino potrebbe trovare difficoltà in situazioni a lui poco note.

Se il genitore sente di poter badare al piccolo, il problema non è l’adattamento del bambino alle situazioni dettate dal viaggio.

D’altro canto, uno dei maggiori pregi della nostra specie è la capacità di adattarsi, in maniera pioneristica e liquida, a un’infinità di situazioni.

Il bambino reagirà bene, si adatterà, crescerà e porterà con sé una meravigliosa disposizione, che lo accompagnerà durante il suo processo di crescita.

 

Partire con i piccoli: trovare il coraggio

Se da un lato è facile immaginare come papà e mamme appassionati di viaggi possano superare i loro dubbi, organizzarsi e a partire con i propri piccoli, spesso i genitori meno appassionati o soltanto meno abituati al viaggio rinunciano per paura di causare disagi ai propri bambini.

A loro, bisogna ricordare un semplice assunto: rinunciare ai propri desideri non fa bene ai propri figli. È normale che molte attività, molte abitudini siano cambiate profondamente dalla nascita di un bambino, ma non è la totale rinuncia l’atteggiamento giusto.

Bisogna trovare un equilibrio, creare una vita familiare ricca e piena di eventi e occasioni di scambio, condivisione, apprendimento. Senza rinunciare alla soddisfazione personale.

Avete paura che il piccolo possa non sentirsi a proprio agio in una camera d’albero che non è la sua, che voglia tornare a casa?

È una richiesta che potrebbe verificarsi, certo. Quando capita, però, spesso è perché non è stata data la giusta attenzione a qualche richiesta specifica del piccolo, che reagisce rifugiandosi in un ambiente che conosce, la propria cameretta. O nell’idea di quest’ambiente.

Se siete abituati a vivere una quotidianità fatta di gesti e riti spesso uguali, è normale che il bambino possa avere bisogno di essere accompagnato durante un cambio: per lui è qualcosa di nuovo e chiede il vostro aiuto.

Lo chiederà sempre meno se lo abituerete al cambio, a nuove situazioni… Ai viaggi.

 

Viaggiare con i bambini: dove andare?

L’unico criterio per scegliere la meta adatta a un viaggio con i più piccoli è il buon senso: considerate l’età del bambino, il carattere e trovate una soluzione che venga incontro a questi fattori ma anche ai vostri interessi.

Non esistono regole, anche grazie a quella capacità di adattamento dell’essere umano di cui abbiamo parlato prima.

 

Come posso far appassionare un bambino ai viaggi?

Per prima cosa, appassionando voi stessi. La passione non può essere recitata: se non avete mai viaggiato ma, poco a poco, comincerete ad appassionarvi ai viaggi e alla scoperta, il piccolo sarà curioso, sarà stimolato a vivere l’esperienza.

Inoltre, potete raccontargli storie, far vedere libri illustrati o video sui luoghi che visiterete. Per poi dirgli: “Vuoi andare a vedere?”.

 

Viaggio con mamma e papà: un momento di crescita

Le vacanze con la propria famiglia sono un vero e proprio momento pedagogico, di crescita e apprendimento. Un momento fuori dalla quotidianità, un modo per affinare la propria capacità di cucire relazioni e di imparare nuove cose.

“Viaggiare può costituire un’importante occasione di apprendimento per i bambini, i quali possono sperimentare attività nuove e stimolanti con i propri genitori, migliorando le proprie capacità sociali e cognitive.

Esplorare situazioni di vita inusuali può consentire ai più piccoli di mettersi alla prova, aumentando gradualmente il proprio livello di autonomia dal genitore, il quale costituisce la “base sicura” del bambino, come affermato da Bowlby nel 1969: la persona su cui il bambino fa affidamento, ovvero la figura di attaccamento che si prende cura del piccolo, è quella che “fornisce la sua compagnia assieme a una base sicura da cui operare”.

Quando il bambino si sente al sicuro si concede di allontanarsi dal genitore, per esplorare l’ambiente circostante. Quando avverte un pericolo di qualsiasi tipo egli interrompe l’esplorazione per tornare al sicuro dalla figura di attaccamento.

È importante ricordare sempre che il genitore costituisce un fondamentale riferimento sociale per il figlio, e che questi farà sempre riferimento a lui per capire come orientarsi nel mondo e che comportamento adottare nelle situazioni nuove.

Viaggiare può diventare un’occasione di sviluppo a trecentosessanta gradi per i più piccoli. Per aiutarli nella transizione tra l’ambiente domestico e quello nuovo del luogo di villeggiatura è utile mantenere degli aspetti di continuità con la vita quotidiana e affettiva del bambino, come le abitudini alimentari, i ritmi del sonno e gli oggetti importanti per il piccolo, in grado di tranquillizzarlo e farlo sentire al sicuro, come un peluche o una copertina.

In questo modo il viaggio si trasformerà anche per i più giovani in una stimolante occasione di crescita e di scoperta, senza nostalgia per le abitudini quotidiane e senza la paura di sperimentare qualcosa di nuovo.” Dott. ssa Valeria Colasanti, Psicologa

 

In passato, un momento fondamentale nella vita dei giovani aristocratici europei e di tutto il mondo, era il Grand Tour, un viaggio nel Continente Europeo che spesso durava mesi e talvolta anni.

Si trattava di una tappa fondamentale nel percorso educativo dei giovani rampolli della nobiltà, che accompagnava la formazione accademica per affinare abilità e disposizioni, come la capacità di far fronte agli imprevisti, la capacità di improvvisazione, la conoscenza di altre lingue, la capacità di ambientarsi in contesti diversi.

In un certo senso, si trattava anche di formazione politica.

 

In conclusione

Non immaginate neanche quanto bene possiate fare ai vostri piccoli, portandoli con voi in viaggio. Fatelo con consapevolezza, organizzandovi per tempo, cercando le strutture giuste e luoghi che non causino disagi eccessivi ai piccoli. Ma fatelo senza paura: regalerete ai vostri piccoli molto di più di una semplice esperienza, una meravigliosa attitudine alla scoperta.

 

Articolo a cura della redazione di MioDottore, Commento a cura della Dott. ssa Valeria Colasanti.

I bambini e gli sport invernali

I bambini e gli sport invernali: a che età iniziare, come educarli a una pratica corretta

Forse per l’atmosfera, forse perché possono essere praticati in coincidenza delle festività, forse perché evocano un mondo fiabesco, gli sport invernali (sci, slittino, pattinaggio sul ghiaccio, snowboard) piacciono molto ai bambini. Spesso, partire per la settimana bianca è un’esplicita richiesta dei più piccoli.

Lo sci
Lo sci è lo sport invernale per eccellenza. Si tratta di un’attività sportiva cui si può essere avviati anche fin dalla più tenera età (a partire dai 18 mesi), se si insegna adeguatamente al bambino l’attività motoria di scivolamento in piano.

A partire dai 3/4 anni, può invece essere iniziata e insegnata l’attività di sci in discesa (il senso dell’equilibrio è ancora in via di sviluppo).

Lo sci è uno sport che stimola uno sviluppo equilibrato del fisico ed è molto utile per la coordinazione dei movimenti (oltre a essere molto divertente); inoltre, i più piccoli sono più portati degli adulti a superare in modo facile e immediato il timore verso le pendenze e per il senso di vuoto.

Naturalmente, proprio a causa di un senso dell’equilibrio ancora in via di sviluppo, è importante avviare i bambini a questa disciplina in modo graduale, facendoli seguire da un maestro competente.

È infatti fondamentale imparare a superare le cadute senza viverle come un fallimento (sono inevitabili anche per gli sciatori più esperti) e abituarsi alle fredde temperature.

Infine, importante è imparare a fare i giusti movimenti durante la pratica dello sci e dotare il piccolo dell’attrezzatura adeguata (casco protettivo, scarponi comodi e della giusta misura, sci sicuri, giacconi, guanti e occhiali che garantiscano la giusta protezione contro il freddo e i raggi ultravioletti).

 

Lo slittino
Lo slittino e il bob sono l’ideale per i bambini più piccoli, perché spesso godono di aree dedicate in prossimità delle piste da sci, con dei supervisori: i bambini possono così divertirsi all’interno di zone in cui non vi è il pericolo di contatto e/o incidente con sciatori adulti. Nonostante la maggiore sicurezza e la minore pericolosità, è comunque consigliato l’utilizzo del caso protettivo per i più piccini.

Pattinaggio
Il pattinaggio è adatto sia ai bambini che alle bambine e vi si può dedicare a partire dai 6 anni circa, quando i piccoli hanno consolidato il senso dell’equilibrio e la coordinazione. Inoltre, a quest’età i bambini sono più propensi all’ascolto e alla comprensione degli insegnamenti.

Si tratta di uno sport che comporta un grande impegno ma che sa regalare soddisfazioni e gratificazioni anche se, pure in questo caso, le cadute sono all’ordine del giorno: è quindi importante insegnare al bambino a reagire nel modo giusto a una caduta.

Bisogna quindi rivolgersi a istruttori qualificati e competenti, coprire il piccolo in modo adeguato e indossare protezioni con imbottiture per ginocchia e gomiti.

I benefici?

  • Rinforza la muscolatura dell’addome e degli arti inferiori;
  • Migliora l’equilibrio e la coordinazione dei movimenti;
  • Aumenta l’autostima;
  • Migliora i riflessi;
  • Migliora la funzione respiratoria;
  • Fa bene al cuore.

 

Hockey su ghiaccio

Non ancora molto praticato in Italia, si tratta di uno sport comunque molto divertente che si può iniziare a praticare a partire dai 6-7 anni.

È importante non avviare i bambini alla pratica di questo sport troppo precocemente, perché l’hockey richiede infatti non solo la capacità di comprendere e applicare delle regole abbastanza complicate, ma anche una preparazione atletica adeguata.

È uno sport che apporta numerosi benefici (migliora il metabolismo, sviluppa la muscolatura delle gambe ma anche delle braccia, migliora la respirazione e la coordinazione dei movimenti).

 

Snowboard
Lo snowboard attira moltissimo i bambini, tuttavia si tratta di un’attività sportiva complessa cui è importante far avvicinare i bambini al momento giusto.

Molti genitori si domandano quale sia l’età giusta per permettere al proprio piccolo di praticare lo snowboard, per evitare infortuni e problemi dovuti alla precocità. Di fatto, non esiste una età che rigidamente possa essere definita “giusta”.

Diciamo che è però consigliabile che si abbiano i primi contatti con lo snowboard non prima dei 4 anni di età (soprattutto in quei contesti familiari in cui genitori, fratelli o sorelle più grandi si dedicano a questo sport).

Le prime lezioni, quando il bambino inizia in tenera età, dovranno essere tenute in forma di gioco per spingere il piccolo a prendere confidenza con il mezzo e capire come utilizzarlo in equilibrio. Il bambino imparerà e seguirà l’istruttore, se si divertirà durante gli esercizi e le lezioni.

Anche in questo caso, è fondamentale utilizzare un caschetto protettivo e rivolgersi a un istruttore qualificato, che sappia spiegare e far acquisire al piccolo i movimenti giusti, rispettandone i tempi di apprendimento.

I benefici? Fa bene al cuore, sviluppa equilibrio e muscolatura (specialmente degli arti inferiori), migliora la respirazione, la coordinazione e l’equilibrio e, soprattutto, tanto divertimento!

 

A cura della redazione di MioDottore.it.

GREENPEACE: scoperta nuova specie…

SCOPERTA NUOVA SPECIE DI UCCELLO NELLE FORESTE DELL’INDONESIA

GIACARTA, 16.01.18 – Una nuova specie di uccello è stata scoperta da un ornitologo di Greenpeace Belgio, insieme a ricercatori dell’Università di Singapore e dell’Istituto di Scienze dell’Indonesia, sull’isola di Rote, in Indonesia.

Il Rote myzomela (Myzomela irianawidodoae) appartiene a una colorata famiglia di uccelli che si nutrono di nettare e deve il suo nome scientifico alla First Lady dell’Indonesia, Iriana Joko Widodo.

“L’Indonesia conta oltre 1.500 specie di uccelli e ogni anno vengono scoperte nuove specie. La maggior parte degli uccelli ha un canto caratteristico che li contraddistingue, grazie a questo è stata possibile l’identificazione. È una bella soddisfazione aver scoperto questa specie. Non capita tutti i giorni!” afferma Philippe Verbelen, campaigner di Greenpeace e ornitologo.

Le foreste indonesiane sono minacciate dallo sfruttamento industriale e agricolo e l’isola di Rote non fa eccezione. L’habitat di questa nuova specie è a rischio ed è necessario proteggerlo.

“Spero che la scoperta ricorderà a tutti quanto la sopravvivenza di queste foreste sia cruciale non solo per gli uccelli ma anche per tigri, oranghi e specie animali che ancora attendono di essere scoperte. Le autorità indonesiane dovrebbero prendere nota e intensificare gli sforzi per proteggere le foreste” conclude Verbelen.