Scegliere il test prenatale: quali sono i parametri da valutare

Quando una donna aspetta un bambino sono tanti gli accorgimenti da prendere.
Per garantire il benessere di se stesse e del proprio bebè è importante mantenere uno stile di vita sano ed equilibrato per tutta la durata della gravidanza. A questi accorgimenti si aggiungono le visite di controllo di routine e i test di screening prenatale. Una mamma può decidere di sottoporsi a test prenatali non invasivi oppure, su indicazione dello specialista, può effettuare un esame di diagnosi prenatale invasiva.

I test di screening prenatale non invasivi rilevano eventuali anomalie cromosomiche e sono utili per avere un quadro sulla salute del nascituro già dalle prime settimane di gravidanza. Esistono diversi tipi di esami prenatali non invasivi come il Bi Test, il Tri Test e il test del DNA fetale, che si possono effettuare in diverse epoche gestazionali. Il test del DNA fetale può essere svolto precocemente, già dalla 10ᵃ settimana. Il suo tasso di affidabilità è del 99,9%¹ per la rilevazione di anomalie cromosomiche quali la sindrome di Down (Trisomia 21). Il tasso di falsi positivi del test di DNA fetale, cioè risultati del test che dichiarano la presenza di un’anomalia che in realtà non c’è, è più bassa dello 0,3%.

Bi Test e Tri Test si possono effettuare rispettivamente dalla 11a e dalla 15a settimana di gestazione. L’attendibilità di questi test di screening prenatale raggiunge l’85%​2, con un valore di falsi positivi che arriva fino al 5% per il Bi test; con il Tri test arriva al 60% circa con falsi positivi fino all’8%.
Nel caso in cui un test di screening prenatale non invasivo dovessero dare esito positivo o dovesse risultare non del tutto chiaro è opportuno che la mamma, su indicazione dello specialista, si sottoponga ad esami di diagnosi prenatale invasiva al fine di confermare o smentire il risultato del test. Tra i test di diagnosi prenatale invasivi rientrano l’amniocentesi, la villocentesi e la cordocentesi. Nel caso dell’amniocentesi, la gestante si sottopone al prelievo di un campione di liquido amniotico. Nel caso della villocentesi invece viene prelevato un campione di tessuto della placenta, mentre con la cordocentesi si procede con l’estrazione di un campione di sangue dal cordone ombelicale del bambino. Questi esami, in quanto invasivi, hanno un rischio di aborto pari all’1%2.
È importante quindi valutare attentamente il test di screening non invasivo a cui sottoporsi, per ottenere risultati attendibili che riducano le probabilità di dover affrontare esami invasivi.
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Fonti:
1. Poster Illumina ISPD_2014 Rev A
2. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche, di Antonio L. Borrelli,Domenico Arduini,Antonio Cardone,Valerio Ventrut