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Ghiotto, solitario e amante dei grandi spazi: l’Orso bruno marsicano ( Ursus arctos marsicanus ) è il simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e uno degli animali più amati dai bambini. Con il pelo bruno dalle sfumature grigie o nere, questo mammifero dalla folta pelliccia ha dimensioni più ridotte rispetto agli orsi europei, ma arriva comunque a pesare intorno ai150-200 kg e oltre, per una lunghezza di circa 180 cme un’altezza (calcolata fino alla spalla) di circa 100 cm: un bel colosso! Nonostante la sua mole imponente è piuttosto scattante e rapido nei movimenti, oltre ad essere estremamente velocee in grado di arrampicarsi sugli alberi, raggiungendo discrete altezze in pochi secondi.
L’Orso bruno marsicano, in libertà vive fino ai 15 – 20 anni, ha orecchie tonde e la coda appena accennata, vanta ampie zampe provviste di unghie robuste e affilate, la sua forza è veramente impressionante: con una zampata potrebbe sconfiggere praticamente qualsiasi avversario si trovi sul suo cammino, ma il suo comportamento comunque è solitamente molto tranquillo e tollerante persino nei confronti dell’uomo.

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Questo bellissimo orso, pur non avendo una vista infallibile, ha invece l’olfatto e l’udito molto fine e ben sviluppato, la sua dentatura è composta di 38 denti con le caratteristiche tipiche dei carnivori.La sua dieta è molto varia ed anche se prevalentemente vegetariana, mangia davvero un pò di tutto: bacche, insetti, frutta e radici; vive prevalentemente nel bosco, ma frequenta anche le praterie e le zone più impervie e rocciose spostando i massi per cibarsi di eventuali animaletti che vi abitano sotto.Per questo il Parco d’Abruzzo rappresenta per lui un habitat ideale: qui infatti si alternano vette tondeggianti, tipiche dell’Appennino, a pendii dirupati dal caratteristico aspetto alpino, la zona centrale, fitta di boscaglia, è percorsa dal fiume Sangro, ulteriore riserva di cibo e acqua.Con l’arrivo dei primi freddi l’Orso bruno marsicano sverna per un periodo che va da dicembre a marzo, pur non cadendo in un vero e proprio letargo riduce molto le sue normali attività finché, verso maggio-giugno, durante la cosiddetta “stagione degli amori” che dura circa due mesi, cerca una compagna e si accoppia. L’accoppiamento rappresenta anche l’unico momento di vita sociale per i maschi che altrimenti conducono una vita solitaria; la femmina accoppiata non viene avvicinata dagli altri maschi che evitano così una competizione che rappresenterebbe per loro un eccessivo dispendio di energie .I piccoli nascono durante l’inverno nella tana. Alla nascita pesano 300 – 500 grammi. Vivono i primi due anni con la mamma, intorno ai 10 anni i maschi raggiungono le dimensioni complete di un adulto.

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Un’intervista in esclusiva con Bernardo, Orso bruno marsicano del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise di Ekaterina Kniazeva

Si sentì un calpestio nel fogliame rinsecchito caduto al suolo. Un grosso orso uscì dal bosco procedendo lungo un passaggio disusato. Scorse la figura umana in lontananza e si elevò sulle zampe posteriori.
Facendo un passo indietro mi preparai a fuggire nonostante l’incontro “prenotato”.

“Stia calma. Si vede che Lei non è una grande studiosa di orsi. La mia non è una movenza aggressiva ma un’espressione d’incertezza. Non sapevo chi mi sarei trovato di fronte. Ad ogni modo si tenga ad un’adeguata distanza. Anche se ho accettato di rilasciare l’intervista, Lei non è un orso come me, perciò resterà sempre un animale non affidabile” – borbottò scorbutico Orso Bernardo dalla pelliccia  scura, tinta quasi a strisce.
Si mise semisdraiato su un dosso in rilievo, così da poter tenere d’occhio me e la zona circostante. Aveva uno sguardo attento, sottolineato da una sfumatura ombrosa intorno agli occhi;  in armonia con la stessa cornice un contorno, tipo stivaletti, agli arti inferiori.
Il colosso plantigrado con la testa tozza proferì accortamente: “Il mio desiderio più forte è ripristinare l’originaria stima tra noi: orsi ed esseri umani. Tempo fa ritagliavamo ognuno un pezzo della stessa cerchia selvatica spontanea!”
“Che cosa Le mancherebbe ora?” – chiesi timidamente. Mi sembrava impossibile sentire qualsiasi lamentela. Tutto intorno era quasi magico. Il colloquio era inquadrato in un esteso manto turchese della volta celeste e la luce variopinta della vegetazione boscosa. L’aria mite era riempita con aromi di piante erbacee ed i fruscii dei minuscoli esserini viventi al florido suolo. Nel regnante equilibrio si incastonava bene l’odore forte della pelle untuosa dell’orso.
“Non mi faccia ridere. Usi il cervello. I nostri luoghi preferiti furono rovinati nel passato dai numerosi tagli del bosco. Le molteplici strade di accesso, le baite costruite precedentemente e le incursioni dei bracconieri ci portarono  disagi immensi” – rispose infastidito Bernardo.
“Lei è alquanto perspicace, ha per caso una laurea?!”- provai ad essere spiritosa per smorzare un pò i toni. “Si” – replicò prontamente il mansueto gigante – “ho una laurea in Politica forestale e, se vuole proprio saperlo, la maggior parte degli orsi sono dotati di grande capacità di acquisizione, di un’eccellente memoria e di sagacia “.
“Quindi, che cosa fate per evitare gli insulti delle visite sgradite?”
“Ci spostiamo in altri posti?”
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“E allora?” – chiesi stupita.

“E allora… lo devo dire io! E’ chiaro che Lei non è dell’ambiente. Quelle fasce di protezione esterna al parco e le zone limitrofe non sono abbastanza sicure. Sa quanti orsi sono stati uccisi violentemente, anche con bocconi avvelenati!”
“Mi dispiace… Ascolti, vedo che Le hanno messo il radiocollare. Non Le da noia?”
“Beh, all’inizio forse. A pensarci è un bene per noi. Così almeno potrete capire che non siamo tutti uguali. Ogni orso ha una sua individualità e pure un nome. E poi, in questo modo, potete seguirci con  discrezione e… nei casi gravi,  aiutarci in caso di pericolo” – disse sbuffando Bernardo.
“Come mai, Gemma, Marina e Serena non sono venute? Anche loro, se non sbaglio, hanno un radiocollare?!”
“Serena l’hanno brutalmente ammazzata ed è stato ritrovato solo il radiocollare, ma non voglio parlare di questo, mi fa ancora male ricordarlo. Gemma sta nella tana con i cuccioli, ora sono coperti da compatti mantelli grigi e cominciano ad ispezionare il mondo con la mamma. Marina è in giro in cerca di fidanzati e sta preparando qualche irruzione notturna, è una famosa acchiappagalline. Le femmine!… Ehh!! Comunque dopo il tramonto noi tutti siamo sempre in movimento. Io, dopo quello che mi è successo l’anno scorso, ora sto più vigile”.
“Me lo può raccontare Bernardo?”
“In due parole… mi ero avvicinato alla periferia del paese cercando qualche pannocchia di chicchi saporiti. Un allevatore mi vide dalla finestra da parecchio lontano e fece un urlo che mi spaccò gli orecchie. Ho ancora il batticuore dalla corsa che feci. Certo, che sono poco intelligenti alcuni umani, o meglio disumani!”
“Ma Bernardo, non si fa così!” – lo stuzzicai.

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“Perché?! Voi non mangiate le pecore e le galline? Con la differenza che le allevate comodamente a casa, ma qualcuno le rubacchia pure!  Io, invece, mangio di tutto: dall’erba fresca ai coleotteri, dalle faggiole alle succose bacche,  ai frutti selvatici. Non sono un predatore professionista… Osservi pure i miei molari! Sono molto meno affilati di quelli dei felini”.
“Chiuda pure la bocca. Le credo!” – esclamai precipitosamente.
“Senta, io me ne andrei, avverto un profumino di una femminuccia. Non è semplice trovare una sposa…he, he! Vuole un consiglio? Io sono un orso autoctono e i nostri parenti sono sempre vissuti quì, nel Parco d’Abruzzo, da secoli. E’ arrivato il momento di restituirci il nostro territorio con tutte le sue leccornie. Abbiamo il diritto di continuare ad esistere anche noi! Difendeteci e ridateci le nostra tranquillità. A me a fuggire dagli uomini insegnò mia madre dopo alcuni scontri diretti. Ma…già i cuccioli di Gemma potranno adattarsi a una nuova situazione se la loro mamma sarà lasciata in pace.”
L’Orso si allontanò, sfiorando con il muso il terreno alla ricerca del nutrimento. “Ci sono delle larve quì, sotto il sasso! Volete favorire?!” – mi invitò generosamente.
“Grazie, magari più tardi” e cercai di fare un sorriso per nascondere l’espressione involontaria del viso.
“Guardi, che ho capito… Sia più tollerante. Addio…”