La Terra. 4) La vita

Circa 3 miliardi ed 800 milioni di anni fa comparve il primo essere vivente unicellulare.

Sulla giovane Terra si instaurò assai presto un ciclo dell’acqua: le piogge trasportavano i composti venefici dell’atmosfera primigenia (CO2, CH4, NH3, H2S…) nei fiumi e quindi nel mare. Qui essi subivano grandi apporti di energia dalle scariche elettriche dei fulmini, assai frequenti in quei remotissimi acquazzoni, dai vulcani di cui la crosta solida abbondava, e forse dall’azione dei raggi ultravioletti del Sole (non vi era certo lo strato di ozono a proteggere il mondo) e dall’attività dei materiali radioattivi, certamente a quei tempi assai maggiore dell’attuale.

Ciò provocò la reazione dei semplici composti sopra citati a formare molecole più complesse: gli aminoacidi, che non sono altro che le basi chimiche della vita. Infatti il citoplasma cellulare consiste di molecole di proteine, a loro volta formate da varie combinazioni di molecole di amminoacidi unite in serie fra loro, mentre il materiale genetico è formato da lunghe molecole di acidi nucleici, formati da diverse combinazioni di unità molecolari molto più semplici, i nucleotidi, anch’essi uniti in serie.
Tutto questo fa comprendere come la comparsa di organismi viventi debba essere stata preceduta dalla formazione di un complesso ambiente chimico detto comunemente « brodo primordiale », e descritto come una soluzione di sostanze organiche formatesi in seguito a processi non biologici.
Comunque siano andate le cose, è un dato di fatto che l’RNA ed il DNA si sono formati; questi aggregarono altre proteine, bolle d’aria, molecole d’acqua ed una pellicola esterna di zuccheri e proteine. Ebbe così origine una struttura complessa cui è stato dato il nome di coacervato (“ammucchiato”): un’aggregazione sferica di molecole lipidiche che formano un’inclusione colloidale, tenute insieme da forze di natura idrofobica. I coacervati misurano da 1 a 100 micrometri, possiedono proprietà osmotiche e si formano spontaneamente in alcune soluzioni organiche diluite. Si arriva in tal modo ai protobionti, come li ha chiamati il biochimico russo Alexander Oparin (1894-1980), che negli anni trenta del secolo scorso fu tra i primi a studiare la genesi della vita. I protobionti dovevano essere organismi microscopici, forse simili ai batteri attuali del tipo cocchi, ed erano eterotrofi, cioè non erano in grado di sintetizzare in modo autonomo le sostanze nutritive organiche loro necessarie, ma si trovavano costretti ad assumerle direttamente dall’ambiente circostante. Tutto questo richiede naturalmente che l’organismo eterotrofo sia immerso costantemente in acqua o almeno in un ambiente umido, indispensabile veicolo per far penetrare quelle sostanze in soluzione attraverso una primitiva specie di membrana.
Sulla base delle tracce fossili di Fig Tree, nello Swaziland, nelle quali fu ritrovato il più antico microrganismo fossile conosciuto, si può dire che, ad un solo miliardo di anni di distanza dall’origine della Terra, sulla superficie del nostro pianeta erano già comparsi i primi organismi viventi.

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I primi esseri viventi erano eterotrofi ma una volta esaurite le « scorte alimentari » dell’ambiente circostante, gli eterotrofi si sarebbero infatti necessariamente estinti. Il processo evolutivo superò questo ostacolo con la realizzazione di un meccanismo di nutrizione più sofisticato: alcuni batteri primitivi (cianobatteri) diedero infatti vita ai primi organismi autotrofi, cioè capaci di sintetizzare in modo autonomo le sostanze nutritive organiche a partire da semplici sostanze inorganiche, come l’anidride carbonica e l’acqua, mediante un processo detto fotosintesi, che sfrutta direttamente l’energia della luce solare. In tal modo, con lo sviluppo degli autotrofi, gli eterotrofi hanno potuto proseguire la loro evoluzione, avendo a disposizione gli autotrofi come nutrimento. Non sappiamo come questo sia avvenuto, ma sappiamo con certezza che era già avvenuto circa 2,4 miliardi di anni fa: a quell’età risalgono infatti le rocce sedimentarie (selci) di Gunflint in Canada, nelle quali compaiono le primissime e semplici cellule procariote, cioè prive di un nucleo delimitato da una vera e propria membrana, ed il cui materiale dnatico è semplicemente contenuto nel citoplasma della cellula. Questi organismi pionieri furono le alghe verdazzurre.
La clorofilla le rendeva capaci di trasformare l’anidride carbonica, di cui l’atmosfera abbondava, in ossigeno, che esse riversarono negli oceani e nell’atmosfera. Furono proprio quelle prime alghe unicellulari a cambiare per sempre il volto del pianeta, perché la produzione di ossigeno rese l’atmosfera respirabile, e ciò avrebbe permesso alla vita di diffondersi ovunque, invadendo tutti gli ambienti.