Definizione di Dislessia

Riteniamo importante iniziare a riferirci alla dislessia come ad una neurodiversità,

ovvero come ad uno sviluppo neurologico atipico, che rappresenta però una manifestazione delle normali variazioni nello sviluppo umano.

Possiamo facilmente asserire che tutti siamo diversi, o neurodiversi.

Questa neurodiversità in alcune culture e società può determinare una disabilità ed in altre no. Quindi, una neurodiversità non determina una disabilità di per sé,ma solo ed esclusivamente all’interno della società in cui si manifesta.

Se ci pensiamo, la dislessia in una cultura orale resterebbe una neurodiversità, ma non rappresenterebbe una difficoltà, né un disturbo, né una disabilità, poiché non si manifesterebbe neanche! In questo senso i Disturbi Specifici di Apprendimento rientrano nelle differenze individuali tipiche della neurodiversità umana, secondo cui ogni individuo si comporta in modo differente dagli altri. Conseguenza più importante di questa considerazione è quella di darci la possibilità di respingere l’idea che le differenze nell’apprendimento di lettura, scrittura e calcolo siano necessariamente disfunzionali e da correggere, ma piuttosto che, in quanto espressione della neurodiversità dell’individuo, siano da riconoscere e rispettare

 

[tratto da: AID Associazione Italiana Dislessia – www.aiditalia.org]

D S A

DSA = disturbi specifici dell’apprendimento.

Col termine DSA si identificano disturbi del neuro-sviluppo che riguardano la capacità di leggere, scrivere e calcolare in modo corretto e fluente che si manifestano con l’inizio della scolarizzazione.

Questi disturbi dipendono dalle diverse modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo.
Non sono causati né da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali.

 

DSA si dividono in:

  • DISLESSIA, cioè disturbo specifico della lettura che si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo;
  • DISORTOGRAFIA, cioè disturbo specifico della scrittura che si manifesta con difficoltà nella competenza ortografica e nella competenza fonografica;
  • DISGRAFIA, cioè disturbo specifico della grafia che si manifesta con una difficoltà nell’abilità motoria della scrittura;
  • DISCALCULIA, cioè disturbo specifico dell’abilità di numero e di calcolo che si manifesta con una difficoltà nel comprendere e operare con i numeri.

 

Arte e DSA

Che tipo di progetto possiamo realizzare per ragazzi e ragazze DSA? Quali gli accorgimenti, quali le differenze per essere inclusivi? 

 

Vi racconto la mia esperienza in merito attraverso due progetti nati dalla collaborazione con l’Associazione Beautiful Mind nata per supportare famiglie e bambini DSA. Oggi partiamo con #ilmioriflessourbano, un progetto realizzato durante il periodo estivo nella Settimana dell’Arte.

#ilmioriflessourbano

Il progetto è stato rivolto a tutti i bambini e bambine della scuola primaria e a ragazzi e ragazze della secondaria di primo grado, non esclusivamente DSA. Per garantire un’esperienza appagante, non discriminante anzi ricca di scambi dialettici proficui, utili al raggiungimento degli obiettivi.   Particolare attenzione è stata riservata ai partecipanti, lavorando con focus specifico sulle diverse fasce d’età  anche se presenti contemporaneamente agli incontri. Ciascun partecipante ha visto rispettata la propria tipicità con tempi e con modi individuali.

Patendo da giochi interattivi e coinvolgenti abbiamo parlato di alcuni artisti e alcuni movimenti selezionati. Poi con le curiosità scoperte abbiamo realizzato la seconda parte dell’incontro che è sempre stata  pratico-manipolativa.

Dunque invitata da Progetto Associazione Beautiful Mind a progettare e gestire la Settimana dell’Arte durante un Campo estivo organizzato ho proposto come argomento centrale la scoperta del territorio.

 

Il Tema e il contesto

#ilmioriflessourbano è voluta essere una riflessione sulla percezione sensoriale del quotidiano. Osservare luoghi conosciuti e familiari in maniera rinnovata. Quello che ci colpisce e quello che non vediamo. Quello che raccontiamo e quello che celiamo. Conoscere attraverso cornici e filtri dedicando maggior tempo ai gesti ripetitivi, riconoscere cambiando angolazione lavorando in gruppo o singolarmente. E durante le nostre conversazioni lanciare le suggestioni speculative e manipolative. Il gruppo partecipante era variegato, formato da bambini e bambine, ragazzi e ragazze con età, provenienza e attitudini diversificate.

Metodologia

Il presupposto da cui sono partita teneva conto che lavoravo con un gruppo eterogeneo con differenti età (dai 6 agli 11 anni) e capacità di apprendimento (con e senza certificazioni Bes/DSA) , per cui  da subito si è palesata la necessità di trovare una comunicazione funzionale a tutti, inclusiva per strumenti e approccio.  La giornata era suddivisa in momenti differenti , dopo l’accoglienza un lavoro introduttivo al tema del giorno, poi escursione, rientro, laboratorio, attività libere di vario genere. Ogni momento formativo non era concluso in se stessa ma collegata alla precedente e alla successiva, per un’indagine con un triplice livello di approfondimento: attivazione di competenze, acquisizione di contenuti, esposizione di opinioni personali. Ogni giorno prevedeva un incontro modulato con attività bipolari dialogo/uscita, suggestione/progettazione,   manipolazione/distacco, con ritmi alternati in ordine sparso a seconda delle sollecitazioni contingenti. Le escursioni hanno interessato sempre lo stesso tragitto e venivano fatte a piedi, partendo dalla sede e arrivando ad un piccolo parco pubblico, dal quale si rientrava dopo circa 1,30 per elaborare gli stimoli raccolti. Le attività proposte hanno avuto carattere di coinvolgimento progressivo. Per i laboratori c’era un medesimo orario di inizio per tutti, ma il termine non era mai lo stesso, nel totale rispetto dei tempi di ciascuno.

 

1° incontro: esponiamo i dettagli

Abbiamo identificato il percorso dell’escursione ci ha portato al parco. Durante l’uscita abbiamo raccolto in sacchetti di carta di elementi naturali della forma e della quantità desiderati. In sede abbiamo svuotato il nostro sacchetto disponendolo su un foglio bianco. Interessante vedere il contenuto dei vari sacchetti in sequenza. L’assortimento della raccolta e la maniera in cui sono stati disposti gli elementi presentano una grande varietà di forma  contenuto.

2° incontro: scopriamo gli scorci

Nel medesimo percorso d’escursione abbiamo posto l’attenzione sui dettagli del paesaggio, inquadrando delle cornici, scorci dei palazzi intorno al parco.  Abbiamo lavorato sull’inquadratura selezionando dal paesaggio circostante, riproducendo su acetati trasparenti lo skyline quello che maggiormente ci interessava. Poi rientrando in sede abbiamo lavorato sullo sfondo, sperimentando che a parità di disegno l’impatto generale della composizione muta al mutare dello sfondo.

3° incontro: sveliamo gli spazi

Il terzo giorno abbiamo invertito l’ordine consueto delle attività e abbiamo eseguito prima la parte laboratoriale creando uno strumento di ‘esplorazione controllato’ per perlustrare l’ambiente esterno attraverso filtri colorati, per canalizzare l’osservazione e circoscrivere lo sguardo. Nell’uscita abbiamo vagliato  lo spazio-parco per scegliere un angolo di osservazione privilegiato, da indagare il giorno dopo.  Nelle workshop pomeridiano abbiamo provato ad usare pennini e china, per prendere confidenza con la tecnica, che ci sarebbe stata utile in seguirò per i dettagli su sfondo acquarellato.

4° incontro: scopriamo le atmosfere  

Nel parco, dunque,  abbiamo deciso di dedicarci ad un soggetto unico – il salice piangente- selezionato il giorno precedente perché è: diverso dagli altri alberi, è isolato, ci accoglie tutti insieme intorno alle sue radici. Ciascuno guarda attraverso il filtro blu, verde e rosso e dà un’impressione in riferimento a ogni colore. Interessanti i commenti su preferenze e motivazioni.  Un bambino, con spettro autistico, non ha voluto guardare attraverso il filtro rosso. In sede abbiamo lavorato con acquerelli e chine su sfondi e dettagli.

5° incontro: riveliamo i percorsi

In mattinata l’ultimo lavoro del progetto: una mappa! Con cui abbiamo tirato le fila del nostro percorso urbano. Abbiamo elaborato una mappa in cui ciascuno ha fatto emergere  un iter personale. La maggior parte dei partecipanti ha tenuto come riferimento la sede e ha riprodotto il percorso giornaliero, ma ponendo l’enfasi su elementi differenti. Alcuni hanno baricentrato lo stesso percorso partendo dalla propria casa. Uno mettendo al centro la porta della propria stanza. Dopo aver disegnato con matita su legno, abbiamo lavorato col collage.

 

La Mostra

Durante l’ultimo incontro  abbiamo anche lavorato sull’allestimento della Mostra #ilmioriflessourbano, che apriva nel pomeriggio del venerdì e a cui erano invitati oltre ai genitori, operatori didattici e pubblico curioso.

La conclusione della settimana dell’Arte consisteva in una esposizione delle opere da ammirare, ma anche da postazioni di workshop gestite dai bambini suddivisi singolarmente o a gruppi di due, per raccontare quello che avevano realizzato, spiegando la tecnica utilizzata e invitando i visitatori a provare praticamente.

Tutto, l’allestimento e il focus,  è stato progettato insieme ai bambini e bambine partecipanti: dalla circoscrizione dello spazio alla disposizione dei tavoli, dalla numerazione delle postazioni alla definizione dei gruppi di lavoro, dalla preparazione dei materiali alla definizione delle cose da dire durante l’esposizione dei laboratori.

 

Considerazioni

Le mie riflessioni sono di varia natura e di diverso peso, perché alla fine di un percorso il bilancio interessa inevitabilmente molti aspetti.  Ho programmato l’avvicinamento al tema in maniera progressiva, proponendo attività apparentemente lontane dall’obiettivo finale. Partendo con richieste compilative, meccaniche, tecniche per poi arrivare a quelle espressive.    Il dialogo e il confronto hanno accompagnato ogni fase. Grandi risultati quando dopo una riflessione, o anche una discussione o uno scontro l’attività proposta veniva utilizzata come veicolo di comunicazione. Minori erano le capacità dialettiche del/la bambino/a  nel portare avanti le proprie rimostranze, maggiore era la qualità espressiva del lavoro. Oltre alle normali difficoltà di gestione del gruppo, mi sono trovata ad affrontare bambini che non volevano tagliere o incollare (che poi mi hanno ringraziato per la pazienza), bambini che non accettavano il contatto fisico (che poi mi hanno abbracciata durante i saluti finali), bambini oppositivi (che mi hanno seguito). In un turn over emotivo davvero potente. Rivedendo il percorso, mio malgrado, ho senza dubbio forzato alcuni momenti, ho limitato la tipologia di materiali e circoscritto l’uso,  alcuni giorni sono stati eccessivamente proficui con attività, riflessioni, elaborazioni, altri meno.  Tutti punti di approfondimento in una nuova collaborazione con #Beautifulmind.

Il concetto di inclusione, con cui mi misuro da anni,  merita tutto il mio impegno. Va al di là di strumenti di compensazione, delle differenziazioni didattiche e della dilatazione dei tempi performativi. È un approccio educativo che rimette al centro la persona, che attiva il dialogo, che incoraggia il pensiero critico, che stimola empatia. È un sasso gettato in uno stagno, che produce onde concentriche da cui lasciarsi attraversare. L’inclusione non si fa, si vive. E io provo a lavorarci, con l’accezione appena espressa e attraverso l’arte.

a cura di Leontina Sorrentino

Vietato dire «hai sbagliato»

Ci sono quelle fatte subito, poi ci sono quelle differite nel tempo «Se anche ieri avessi fatto così..», poi ancora ci sono quelle velate.
Esse sono le “critiche” fatte al bambino.

Criticare vuol dire “valutare qualcosa”, solo che spesso le usiamo per valutare “in negativo” l’operato del bambino stesso.

Sembra più forte di noi.
Sottolineiamo che non ha finito tutti i compiti (ma non diciamo nulla di quelli che invece ha fatto); lo richiamiamo perché ha sbagliato il risultato (ma non lo elogiamo se la procedura era corretta); lo puniamo perché non ha ancora imparato a memoria la poesia (senza dire nulla sul impegno di averci almeno provato e poi ci sentiamo in colpa con noi stessi).
Ed alla fine che cosa otteniamo?
Un bambino che avrebbe potuto essere incentivato nei compiti che già sapeva fare, non li fa più. Nelle operazioni di cui ne aveva appreso la procedura, non ne farà altre.
Esservi arrabbiati per la poesia, non ha poi avuto il risultato di avergliela fatta imparare a memoria ma ha solo aumento il vostro senso di colpa post-rimprovero.

Insomma, nel bambino, c’è sempre qualcosa che non va.

Fate ora questa simulazione mentale, e rispondete.
Tra 10 esercizi fatti, cui 9 sbagliati, cosa potrebbe essere più utile dire:
Risp. 1 «Ne hai sbagliati 9! Adesso ricominci e non ne sbagli neppure uno!».
Risp 2 «Bravo! Ne hai fatto giusto uno, adesso riprova e fanne giusti almeno 2».
Per ogni comportamento del nostro figlio/studente, possiamo trovare qualcosa di positivo su cui incentivarlo. Sta a noi la scelta se dargli fiducia o sfiduciarlo del tutto.

→ INSEGNAMENTO  ««Quando un bambino vi chiederà “Che cosa ho sbagliato?”.
Rispondiamogli: “Sei invece contento delle cose giuste che hai imparato?”.
Perché l’apprendimento è ciò che di positivo viene sottolineato»».

Dott. Gianluca Lo Presti

3 tipi di comportamenti negativi nei bambini: ecco come gestirli.

1- Esempi di comportamenti non adeguati

  • Protestare di fronte ad un divieto in maniera esagerata.
  • Fare dispetti a fratelli, amici o compagni.

Cosa potete fare di fronte a questi comportamenti?

Ignorateli.

Sembra essere una buona scelta, perché spesso vostro figlio assume questi comportamenti per attirare la vostra attenzione o per ottenere una cosa specifica che gli interessa in quel momento.

All’inizio tali comportamenti tenderanno ad aumentare per frequenza e intensità: è importante che voi non cediate, altrimenti dovreste ricominciare daccapo. Dopo qualche tempo, il comportamento disfunzionale diminuirà fino a estinguersi; sarà importante che insegniate al bambino strategie più adattive e funzionali per chiedere attenzione, esprimere richieste e superare la frustrazione dovuta a una risposta negativa.

Quando vi capita di essere molto stanchi e pensate di non riuscire a tollerare le proteste di vostro figlio, è preferibile che diciate un “sì” subito (laddove sia possibile), piuttosto che un “no” iniziale seguito da un “sì” che arriva, per sfinimento, dopo i suoi vari capricci. In quest’ultimo caso, il bambino imparerebbe che basta “alzare il tiro” per farvi desistere.

2- Esempi di comportamenti mediamente gravi

  • Disobbedire.
  • Utilizzare un linguaggio volgare.
  • Rifiutarsi di fare una cosa richiesta.
  • Dire bugie.
  • Trascurare gli incarichi che ricopre all’interno della famiglia.
  • Prendere una nota a scuola.
  • Non svolgere i compiti scolastici.

Cosa potete fare di fronte a questi comportamenti?

dsa2Togliete al bambino delle cose piacevoli.

Esistono due strategie: il costo della risposta e il time-out.

1. Costo della risposta
Il bambino perde un privilegio o un premio promesso o un’attività piacevole. Il costo dell’azione negativa deve essere stabilito in precedenza da voi e condiviso con il bambino, in modo che sappia a cosa va incontro.

2. Time-out
Fate sedere il bambino su di una sedia, zitto e tranquillo, per alcuni minuti (uno in meno rispetto agli anni del bambino), senza che s’impegni in nessuna attività e senza che possa lasciare la sedia. Se il bambino non obbedisce a una richiesta, avvertitelo che, se non lo farà, dovrà sedersi sulla sedia per alcuni minuti. Bisogna che il bambino capisca qual è comportamento scorretto e che abbia la possibilità di comportarsi bene. Se il bambino, a questo punto, non obbedisce, fatelo sedere e cominciate a calcolare il tempo. Se si alza, ditegli che il conteggio del tempo ricomincerà daccapo.  Se reagisce in modo aggressivo o comunque si rifiuta di stare seduto tranquillo per il tempo stabilito, utilizzate la strategia del costo della risposta o una punizione (cfr. più avanti) e fate ripartire il conteggio del tempo. Non sospendete mai la procedura. Dovere avere il controllo della situazione. Per un bambino, avere un adulto che decide al suo posto cosa si può o non si può fare, al contrario di quello che può sembrare, significa sentirsi sicuro, sollevato e libero, perché c’è qualcuno che decide per lui e che si assume la responsabilità di queste decisioni. Al termine della procedura, ripetete la richiesta al bambino: se la esegue, lodatelo, se non la esegue, ripetete il time-out. Attraverso questo metodo insegnerete anche al bambino a calmarsi e a controllare le proprie reazioni emotive: con il tempo, basterà solo l’avvertimento per ottenere il comportamento richiesto.

Se per voi è troppo faticoso agire nei modi descritti, perché i comportamenti lievemente e mediamente negativi sono troppi, sceglietene pochi su cui insistere e concentrarvi; l’importante è che lo facciate con continuità e coerenza e in accordo col partner.

3 – Esempi di comportamenti molto gravi

    • Aggredire fisicamente e verbalmente gli altri.
    • Fare cose pericolose o distruttive.

Cosa potete fare di fronte a questi comportamenti?

Ricorrete ad una punizione.

Questi comportamenti non possono mai passare inosservati. È possibile pensare a una punizione, cioè sottoporre il bambino a una situazione che per lui sia spiacevole, senza manifestare però aggressività verso di lui.

È importante, che, insieme alla punizione, rinforziate altri comportamenti positivi del vostro bambino. Ad esempio, se ha rotto intenzionalmente un oggetto, lodatelo quando mostra cura per altri oggetti oppure dategli la possibilità di rimediare al gesto distruttivo (per esempio riparando l’oggetto o ricomprandolo con i soldi della propria paghetta, laddove sia possibile) e lodatelo per questo. Vostro figlio deve poter avvalersi di esempi di comportamenti positivi e deve poter rimediare, in qualche modo, ai propri errori, in maniera che non abbia un’immagine prevalentemente negativa di sé.

 

Dott. Gianluca Lo Presti – www.gianlucalopresti.net

Diagnosi di DSA: sono tutti DSA…?

“Diagnosi di DSA: sono tutti DSA o capita che vi siano ‘difficoltà’ che realmente sarebbero recuperabili, ma che invece vengono diagnosticati come DSA?”

I DSA esistono, che sia chiaro, ma “quanto” una scuola poco efficace nella didattica (o negli stili relazionali) contribuisce a fare aumentare difficoltà anche ad alunni che non hanno un DSA, e che poi operatori poco esperti (aggiungo io) scambiano come DSA?

Stavolta facciamo il contrario. Parliamo di quali sono i rischi in cui si incorre quando un bambino con semplici difficoltà di apprendimento viene scambiato per un DSA, e come fare per evitarlo.

Da quando l’8 ottobre 2010 è stata approvata la Leg 170 sono stati garantiti a tutti i bambini con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) il successo scolastico (Art 2, comma 1, punto b).

Insomma, quelli che prima erano considerati come bambini svogliati o con scarse abilità oggi possono essere segnalati come casi sospetti di DSA: ma sarà sempre e solo dopo una valutazione specialistica che potremo conoscere la diagnosi precisa.

Quello che oggi dunque avviene è che la scuola segnala gli studenti con difficoltà evidenti nell’apprendimento: di tutti questi casi individuati è molto probabile che alcuni poi siano diagnosticati come DSA, ovvero con un disturbo a carattere neurobiologico e che necessitano di una didattica personalizzata, uso di strumenti dispensativi/compensativi e attività di potenziamento (DM 5669/11, MIUR).

Tra i casi segnalati però, vi potranno anche essere i bambini con difficoltà di apprendimento, dunque senza nessun disturbo neurobiologico, ai quali ciò che serve è una migliore didattica, un metodo di studio più efficace, o con previ cicli di aiuto pomeridiano, infatti sono proprio coloro ai quali basta poco per ottenere notevoli miglioramenti che spesso rientrano nella “difficoltà” di apprendimento, piuttosto che di un “disturbo”.

E se dunque anche bambini con difficoltà di apprendimento venissero invece diagnosticati come DSA? Cosa cosa potrebbe succedere e come evitare che ciò accada?

Facciamo un esempio: se un bambino è Dislessico, quindi che la sua caratteristica neurobiologica gli rende difficoltoso apprendere dei concetti attraverso lo strumento della lettura, scrittura o calcolo, quello che posso fare, ad esempio, è di non farlo leggere come primo lettore (dispensazione) e di aiutarlo leggendo io il brano o tramite sintesi vocale (compensazione). Se invece un bambino ha una semplice difficoltà di apprendimento ma lo scambio per Dislessico e lo dispenso dalla lettura, accade che gli precludiamo un apprendimento in cui invece potrebbe riuscire autonomamente. La stessa situazione potrebbe accadere negli errori ortografici (disortografia), qualità della scrittura (disgrafia) ed errori ed abilità di calcolo (discalculia).

Per evitare che ciò accada

In Italia abbiamo delle linee guida per effettuare le diagnosi di DSA molto precise e dettagliate: CC, PARC e ISS CC.

Questi documenti indicano in modo preciso che servono alcuni criteri specifici per la diagnosi di DSA.

Nel dettaglio ne servono n°”X” di criteri di inclusione e n°”X” per quelli di esclusione. Se questi sono presenti allora ne serviranno altri n°”X” per la dislessia, n°”X” per disortgrafia, n°”X” per la disgrafia e n°”X” per discalculia.

Insomma, i documenti ufficiali riportano di conseguenza che la diagnosi di DSA sia qualcosa di più di un elenco di prove e punteggi. Ma è fatta di un’anali accurata del caso in esame, al fine di individuare nel dettaglio non solo se è DSA o meno, ma anche che tipo di DSA e come esso funziona (diagnosi funzionale).

Accertarsi dunque con precisione se si tratta di DSA o meno è indispensabile per l’aiuto pertinente. Infatti se la diagnosi non è ben definita, rischiamo la mancata identificazione del problema, come quando troviamo nelle diagnosi la semplice sigla “trattasi di DSA Dislessia, etc.”, mentre in realtà ci interessa sapere di che tipo di Dislessia stiamo parlando, esempio se fonologica o lessicale. Da qui cambia tutto per l’aiuto per quel preciso soggetto.

Una diagnosi generica è spesso una delle causa di un aiuto inadeguato. Pertanto nello scambiare un bambino con difficoltà di studio per DSA , corriamo il rischio sia di non ottenere miglioramenti e sia di avere possibili ricadute sul piano sia emotivo e che motivazionale.

Per concludere qui questa parte possiamo soprattutto che servirebbe dedicare molto più tempo a parlare con le famiglie e molto meno tempo a somministrate test. Ma di questo preciso argomento ne parleremo nei prossimi giorni sempre qui nel nostro sito.

 

www.gianlucalopresti.net

 

7 cose da sapere sul come NON farsi abbindolare nel campo dei DSA (guida genitori).

Inizia un nuovo anno scolastico e di certo sarà capitato anche a te di trovare proposte, pubblicità, inviti e quant’altro per i propri figli con Dislessia e Disturbi Specifici di Apprendimento.

In tal senso, vorrei provare a fornirvi una nostra breve guida al fine di risparmiare tempo, denaro e risorse (almeno secondo noi), ecco le 7 cose da conoscere assolutamente.

1- “Con questo risolvi tutti i problemi”. Evitate strumenti e materiali che si propongono come soluzioni immediati per tutti i DSA.

I DSA sono molto complessi, e sono Dislessia (lettura, velocità/correttezza), Disortografia (problemi ortografici), Disgrafia (espressione grafica scrittura), Discalculia (calcoli e fatti numerici), servono strumenti e materiali studiati caso per caso. Trovate quello che serve al caso vostro. La logica “uno per tutti”, purtroppo, in questo caso, non va bene. Ancora meno bene un qualcosa con cui risolvo immediatamente tutti i problemi a scuola.

2- “Efficacissimo per la Dislessia”. Il concetto di efficacia riguarda validazioni scientifiche. Spesso il termine “efficace” viene usato nel marketing per attrarre l’utente. Ciò non toglie che potrebbe essere efficace davvero, invitiamo solo ad essere cauti.

3- “Problemi educativi”, e/o “problemi didattici”. Molti, e sottolineamo, molti genitori hanno con i propri figli problemi educativi o generali di apprendimento. Come anche i bambini con Dislessia e DSA. Ma ciò non ci deve indurre in confusione. Infatti non è affrontando la Dislessia con utilissimi consigli educativi che potete far apprendere meglio vostro figlio. E neppure con semplici ed usuali strategie didattiche che possono andare bene anche con chi non è dislessico. Certo, queste cose aiutano enormemente, ma la strada maestra è intervenire sul problema reale (una lettura che non si può usare per l’apprendimento in modo comune) e non su fattori, reali ma tuttavia continenti e paralleli.

4- “Interviste e convegni”. Ne esistono di strepitosi, come interviste, convegni ed altro. Anche noi li facciamo girare al fine di divulgare una corretta conoscenza dal problema. Ma restano fini a se stessi, ovvero semplicemente come attività di sensibilizzazione. Tecnica della sensibilizzazione spesso usata per attrarre sul proprio servizio o associazione l’attenzione di molti. Utili in un primo momento, ma, purtroppo, non sufficienti.

5- “Gruppi di bambini con Dislessia”. Iniziamo con il dire che sono uno strumento molto utile, e consigliatissimo. Unica cosa di cui stare attenti è: cosa ne pensa il bambino? E’ pronto a confrontarsi con gli altri? Il condutture degli incontri è un semplice volontario oppure una persona qualifica ed esperta? Purtroppo, alle volte pur di avere un buon numero si inseriscono tutti i bambini che ne fanno richiesta, senza effettivamente verificare se sia il caso o meno. In più, piccole o grandi realtà associative territoriali, pur di risparmiare, convocano volontari o personale non prettamente qualificato. Potrebbe essere impopolare dirlo, ma sulla salute emotiva dei nostri figli, meglio pensarci bene se fare o non fare un tipo di attività.

6- “Pc a scuola”. Non fatevi prendere dalla foga della soluzione “immediata”, rischiate davvero molto, ecco perché: A) se un bambino non sa ben usare i programmi (magari dopo un percorso di training di autonomia) non lavorerà bene con il Pc e piano piano lo abbandonerà; B) Le difficoltà di apprendimento comportano difficoltà anche con il Pc, dunque se non vi sarà un’adeguata abilità di velocità di lettura o di scrittura su tastiera sarà probabilmente tutto inutile; C) integrazione del bambino con dislessia e del suo Pc in classe: gli altri bambini come si comportano? Lui ne è favorevole? Spesso pur di vendere programmi costosissimi si è disposti a by-passare l’opinione del diretto interessato: il bambino con dislessia.

7- “Esperti in Dislessia e DSA”. Questo richiederebbe un capitolo a parte, lo faremo nei prossimi mesi. Per adesso sottolineamo che per quanto concerne l’aiuto al bambino con Dislessia, fatevi sempre dire con estrema chiarezza quali obiettivi si intende raggiungere e quali sono i tempi. Ad esempio: “obiettivo velocità di lettura, con X materiale, dovremmo osservare un miglioramento già dopo 4/5 mesi”. Oppure ancora “essere autonomo nello studio tramite le mappe, 10 incontri, lavorando con il software Y”.

Non si tratta solo di risparmiare risorse e denaro, e neppure di fare con esattezza la cosa giusta. Si tratta semplicemente di non sprecare la più importante risorsa che abbiamo: il tempo che dedichiamo al bambino con Dislessia e DSA. Quello, mai più nessuno ve lo potrà restituire.

Con un cordiale saluto.

www.gianlucalopresti.net    Dr. Gianluca Lo Presti.