ADHD, ATTENTI AGLI PSICOFARMACI

ADHD, ATTENTE AGLI PSICOFARMACI

[Di Giovanna Canzi – fonte: Letteradonna.it]

Il disturbo da deficit di attenzione è ancora un mistero. Per questo troppo spesso si abusa delle medicine.

In Italia oltre 57 mila bambini sono in cura con psicofarmaci. E ben presto una nuova molecola verrà immessa sul mercato per curare ragazzini “un po’ troppo vivaci”. Mentre, infatti, la sperimentazione della guanfacina è in fase conclusiva – entrerà in commercio fra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – è già iniziato un battage mediatico per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’Adhd. Meglio nota come iperattività, è una patologia che provoca deficit di attenzione e problemi di autocontrollo. Ad affermarlo Luca Poma, portavoce del comitato indipendente di farmacovigilanza pediatrica Giù le mani dai bambini, che dal 2004 si preoccupa di tenere a bada l’eccessiva disinvoltura con cui vengono prescritti psicofarmaci a minori. Primo a intercettare la sperimentazione della guanfacina, iniziata in gran segreto alla Fondazione Stella Maris di Pisa, il comitato punta il dito sul conseguente bombardamento di articoli di giornale, servizi televisivi e siti web che stanno preparando il terreno per far sì che il nuovo farmaco venga accolto “con entusiasmo” da genitori, insegnanti e pediatri.
UNA MALATTIA ANCORA MISTERIOSA
La storia dell’Adhd, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, comincia da lontano. Già nel 1845 in un trattato del medico Heinrich Hoffmann si trovano tracce di una malattia dell’infanzia caratterizzata da distrazione e vivacità eccessiva, anche se bisogna aspettare la fine degli Anni ’60 perché il disturbo prenda il suo attuale nome, Attention Deficit/Hyperactive Disorder, e venga considerato una pericolosa patologia in grado di rendere la vita difficile ai genitori di tanti piccoli Gianburrasca: «Il vero problema relativo a questa malattia», sottolinea  Rita Dalla Rosa, autrice del recente volume La fabbrica delle malattie. Bambini e psicofarmaci: ecco come le multinazionali cerano di ammalare i nostri figli (Terre di Mezzo ed.), «è che non è ben chiaro come scoprirla, visto che non ci sono esami che la possono misurare. L’unica via da percorrere è andare per ipotesi e per accertarne la presenza si ricorre ai manuali di psicodiagnosi che riportano un elenco di sintomi che devono essere presenti per parlare di Adhd».
Non tutti i bambini vivaci soffrono di disturbo da deficit di iperattività.
Non tutti i bambini vivaci soffrono di disturbo da deficit di attenzione/iperattività.
L’ITALIA E LA VIA DELLA PRUDENZA
Se negli Stati Uniti l’Adhd si è trasformata in una sorta di epidemia da curare con farmaci ad hoc (qui i casi hanno registrato un’esplosione: erano 150 mila nel 1985, mentre oggi sono 11 milioni), in Italia per fortuna il panorama è più rassicurante. Il nostro Paese è, infatti, l’unico al mondo ad avere istituito un registro nazionale Adhd, che tiene nota del numero dei piccoli pazienti presi in cura e della durata del trattamento: «Un passo importante», sottolinea Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri e del registro lombardo, «che permette di avere il quadro della situazione e proporre delle linee guida, alle quali attenersi per affrontare una patologia che deve essere affrontata con molteplici approcci. In primo luogo con un percorso di tipo psicologico (dinamico, famigliare, comportamentale) e solo nei casi più gravi con il supporto farmacologico, sempre accompagnato da una terapia psicoterapica di sostegno».
NON SOLO ADHD
Ma l’Adhd non è l’unica malattia per la quale i piccoli vengono sottoposti a questo tipo di cure farmacologiche. In Italia oltre 57 mila bambini assumono psicofarmaci, in particolare 24.640 con antidepressivi e 7.100 con antipsicotici (dati del Rapporto Arno-bambini 2011, consorzio interuniversitario Cineca), mentre dai risultati di un’indagine condotta da Telefono Azzurro ed Eurispes emerge che tra gli studenti delle scuole superiori il 18,6% dichiara di assumere tranquillanti e il 14,7% di far uso regolare di antidepressivi. Numeri che preoccupano e che rivelano, come spiega il professor Bonati, «che ricorrere al farmaco è spesso la via più semplice e meno costosa da prendere, mentre l’idea di affrontare un percorso alternativo può spaventare perché lungo e faticoso. Ma sicuramente fondamentale nella prospettiva di una vera guarigione».
In Italia oltre 57 mila bambini sono in cura con psicofarmaci. E ben presto una nuova molecola verrà immessa sul mercato per curare ragazzini “un po’ troppo vivaci”. Mentre, infatti, la sperimentazione della guanfacina è in fase conclusiva – entrerà in commercio fra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – è già iniziato un battage mediatico per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’Adhd. Meglio nota come iperattività, è una patologia che provoca deficit di attenzione e problemi di autocontrollo. Ad affermarlo Luca Poma, portavoce del comitato indipendente di farmacovigilanza pediatrica Giù le mani dai bambini, che dal 2004 si preoccupa di tenere a bada l’eccessiva disinvoltura con cui vengono prescritti psicofarmaci a minori. Primo a intercettare la sperimentazione della guanfacina, iniziata in gran segreto alla Fondazione Stella Maris di Pisa, il comitato punta il dito sul conseguente bombardamento di articoli di giornale, servizi televisivi e siti web che stanno preparando il terreno per far sì che il nuovo farmaco venga accolto “con entusiasmo” da genitori, insegnanti e pediatri.
UNA MALATTIA ANCORA MISTERIOSA
La storia dell’Adhd, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, comincia da lontano. Già nel 1845 in un trattato del medico Heinrich Hoffmann si trovano tracce di una malattia dell’infanzia caratterizzata da distrazione e vivacità eccessiva, anche se bisogna aspettare la fine degli Anni ’60 perché il disturbo prenda il suo attuale nome, Attention Deficit/Hyperactive Disorder, e venga considerato una pericolosa patologia in grado di rendere la vita difficile ai genitori di tanti piccoli Gianburrasca: «Il vero problema relativo a questa malattia», sottolinea  Rita Dalla Rosa, autrice del recente volume La fabbrica delle malattie. Bambini e psicofarmaci: ecco come le multinazionali cerano di ammalare i nostri figli (Terre di Mezzo ed.), «è che non è ben chiaro come scoprirla, visto che non ci sono esami che la possono misurare. L’unica via da percorrere è andare per ipotesi e per accertarne la presenza si ricorre ai manuali di psicodiagnosi che riportano un elenco di sintomi che devono essere presenti per parlare di Adhd».
L’ITALIA E LA VIA DELLA PRUDENZA
Se negli Stati Uniti l’Adhd si è trasformata in una sorta di epidemia da curare con farmaci ad hoc (qui i casi hanno registrato un’esplosione: erano 150 mila nel 1985, mentre oggi sono 11 milioni), in Italia per fortuna il panorama è più rassicurante. Il nostro Paese è, infatti, l’unico al mondo ad avere istituito un registro nazionale Adhd, che tiene nota del numero dei piccoli pazienti presi in cura e della durata del trattamento: «Un passo importante», sottolinea Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri e del registro lombardo, «che permette di avere il quadro della situazione e proporre delle linee guida, alle quali attenersi per affrontare una patologia che deve essere affrontata con molteplici approcci. In primo luogo con un percorso di tipo psicologico (dinamico, famigliare, comportamentale) e solo nei casi più gravi con il supporto farmacologico, sempre accompagnato da una terapia psicoterapica di sostegno».
NON SOLO ADHD
Ma l’Adhd non è l’unica malattia per la quale i piccoli vengono sottoposti a questo tipo di cure farmacologiche. In Italia oltre 57 mila bambini assumono psicofarmaci, in particolare 24.640 con antidepressivi e 7.100 con antipsicotici (dati del Rapporto Arno-bambini 2011, consorzio interuniversitario Cineca), mentre dai risultati di un’indagine condotta da Telefono Azzurro ed Eurispes emerge che tra gli studenti delle scuole superiori il 18,6% dichiara di assumere tranquillanti e il 14,7% di far uso regolare di antidepressivi. Numeri che preoccupano e che rivelano, come spiega il professor Bonati, «che ricorrere al farmaco è spesso la via più semplice e meno costosa da prendere, mentre l’idea di affrontare un percorso alternativo può spaventare perché lungo e faticoso. Ma sicuramente fondamentale nella prospettiva di una vera guarigione».

Di Giovanna Canzi – fonte: Letteradonna.it